Accettare la sfida della diversità

Affrontare il tema della Diversity in questo momento storico è senza dubbio impegnativo oltre che sfidante.

Sebbene questo sia argomento di attualità ormai da alcuni decenni, le vicende sociali e politiche di cui siamo testimoni in questi mesi sembrano smentire e vanificare tutte le buone intenzioni e tutte le iniziative volte a migliorare la gestione delle diversità, qualsiasi esse siano: culturali, di genere o generazionali.

A questo punto viene spontaneo domandarsi se dobbiamo considerare il lungo dibattito sulla Diversity un semplice esercizio di retorica piuttosto che una moda. Ha ancora senso crederci?

Stiamo forse vivendo una commedia paradossale in cui da un lato è sentita l’esigenza di attingere alla diversità per costruire un futuro migliore, ma dall’altro emerge forte il bisogno di difendere ciò che siamo e ciò che abbiamo raggiunto da qualsiasi rischio di cambiamento.

Diversità (dal lat. Divertere: volgere altrove, deviare) è un concetto che racchiude un doppio significato. Può rappresentare il cambiamento e l’ignoto che suscita timore o una potenziale minaccia, ma al tempo stesso questo termine ha la medesima radice etimologica della parola divertirsi, concetto che, al contrario, ci dispone al mondo della curiosità e del piacere.

Il tema dell’altro, nei discorsi sulla diversità, viene affrontato generalmente in modo idealistico, superficiale, consolatorio, o illudendosi che lanciando un qualsivoglia programma “quote” ogni problema possa risolversi. Quasi mai si è sfiorati dalla consapevolezza che ognuno di noi – a prescindere dalla categoria di appartenenza – è a sua voltal’altro” per qualcun altro.

Comprendere questa dinamica è paragonabile ad un viaggio in un paese sconosciuto. Potremmo sentirci dei novelli Gulliver che, incontrando i lillipuziani, ridono dei loro usi e costumi, ma, come Gulliver naufragato in un viaggio successivo, potremmo finire nella terra dei giganti e, in quanto a nostra volta nani, divenire oggetto di scherno.

Nel nostro mondo, sia esterno che personale, ci sono usi e costumi che per noi sono giusti ed ovvi, ma se ci riflettiamo sono arbitrari e soggettivi tanto quanto quelli dell’altro, anche se apparteniamo alla stessa cultura, parliamo la stessa lingua, consumiamo gli stessi prodotti. Non è affatto scontato.

Ogni volta che entriamo in relazione con l’altro ci troviamo quindi di fronte a una scelta: possiamo considerarlo un antagonista e nemico oppure farci catturare dalla curiosità di conoscerlo. Ma anche in quest’ultimo caso, le cose non sono così semplici.

Ben dice Pessoa nel suo “Il libro dell’inquietudine”: “…una delle mia prime preoccupazioni costanti è capire com’è che esistano anime che non sono la mia anima, coscienze estranee alla mia coscienza, che mi sembra l’unica possibile..”

In tanti anni di attività all’interno delle organizzazioni, la mia esperienza mi ha portato ad osservare quanto sia complesso ed impegnativo a tutti i livelli – sia per i leader che per i collaboratori – definirsi in maniera integrata piuttosto che per le differenze che si rilevano con colleghi, superiori, altre divisioni aziendali.

La mia identità si definisce in contrapposizione alle caratteristiche che rilevo nelle persone che mi circondano.

Questo modo di discriminare alimenta incomprensioni e fratture all’interno del medesimo contesto organizzativo: è stata la pratica dell’ascolto, sospendendo ogni giudizio, che mi ha permesso di aiutare le persone a “vedere” gli altri e il loro mondo, a considerarli come interlocutori preziosi con cui confrontarsi, scambiare valore, anche passando attraverso il conflitto, per poter infine costruire un rapporto migliore e più completo.

Se vogliamo percorrere il sentiero che ci porta alla scoperta del valore insito nella Diversità, diventa essenziale accettare queste dinamiche, ascoltare, vedere e riconoscere le opportunità che questo turbamento ci offre nel contesto in cui viviamo, sia esso Azienda o Società.

Se vogliamo uscire da ogni retorica sulla Diversity e costruire non tanto e non solo “programmi” spesso sterili, ma un nuovo mindset autenticamente aperto e disponibile, dobbiamo investire sulle nostre competenze di leadership: l’ascolto, l’empatia, il desiderio profondo di capire l’altro, il mettersi in gioco, l’accettazione, la gestione costruttiva del conflitto e di quella quota di intolleranza che è implicitamente presente ogni volta entriamo in contatto con l’altro.

Affrontare la diversità significa essere disposti a farsi contaminare, a ripensare a sé stessi come portatori di pluralità, mettersi nei panni dello “straniero”, ricordandoci che misurarsi con la diversità implica inevitabilmente farsi conoscere nella propria unicità.

È frequente vedere organizzazioni che, per loro struttura, non favoriscono cooperazione e integrazione. Più facilmente esse premiano la competizione e separazione incentivando strategie, ruoli e obiettivi individuali anziché di squadra.

Invece Diversity & Inclusion è la direzione strategica verso cui puntare e qualsiasi azienda, qualsiasi leader che voglia realizzare un progetto serio su questo tema, deve partire innanzitutto da una attenta introspezione per comprendere la propria realtà, la propria visione del mondo, le proprie motivazioni e la propria struttura valoriale.

All’interno dell’organizzazione questo lavoro ci aiuta a scoprire a fondo le barriere esistenti da cui spesso si generano conflitti che coinvolgono uomini e donne, ma anche generazioni o etnie differenti e che possono sfociare in vere e proprie battaglie ideologiche.

Una strada virtuosa è compiere un esercizio costante di Emotional Intelligence per sviluppare la nostra capacità di favorire l’inclusione e allenarci a comprendere prima di giudicare: mettere a confronto lo sguardo maschile e femminile, esplorare le priorità e le motivazioni delle diverse generazioni, far dialogare le prospettive delle differenti culture.

A cura di: Patrizia Sangalli

Profilo Autore

Coach e Formatore, Partner I&G Management, con un passato di HR manager in una grande multinazionale nel settore IT. Ha una consolidata esperienza nella gestione delle risorse umane, comunicazione e sviluppo della leadership. La sua carriera si è sviluppata in aziende multinazionali che le hanno offerto la possibilità di approfondire tematiche di gestione di culture diverse.

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