Ascoltare la voce dei propri collaboratori

Nel precedente articolo, abbiamo messo in evidenza come sia importante costruire dei canali di comunicazione tra il vertice dell’azienda e la base. Quando questa funzione è carente, i problemi che si creano possono essere davvero drammatici.

Il Caso della Banca Wells Fargo

A questo punto crediamo sia importante fare un esempio concreto, citato dalla stessa professoressa Edmonson durante una sua recente intervista. Riguarda la Banca americana Wells Fargo, che ha sede a San Francisco in California. Nel 2015 era considerata una delle più belle realtà finanziarie degli Stati Uniti, specializzata in servizi bancari, finanziari, ipotecari, investimenti personali e a piccole imprese, con un grande numero di clienti affezionati.

Partendo da queste premesse, l’idea strategica del management – che ha una indubbia logica – è stata quella di spingere sul cross-selling, anziché sulle nuove acquisizioni, proponendo altri servizi ai clienti già fidelizzati e quindi più facilmente disponibili all’acquisto. In concreto, si trattava di offrire ai clienti un pacchetto di otto diversi prodotti di servizi finanziari. L’idea era ottima ma purtroppo si scontrava con la realtà e cioè che i clienti non avevano grandi disponibilità finanziarie, e l’operazione era difficile da proporre.

I collaboratori della rete di vendita, dal canto loro, non hanno avuto il coraggio di segnalare quanto stava accadendo, né hanno cercato di opporsi a questa strategia anche se si erano resi conto che non avrebbe mai dato i risultati attesi. Faticavano a raggiungere i budget richiesti e le loro prestazioni produttive calavano in modo impressionante. Il mercato non reagiva come sperato e da parte del management l’unico sistema fu quello di intervenire sulla forza vendita con il pugno di ferro.

Cosa è successo? Quello che era prevedibile. Alla fine, il personale addetto alle vendite, pressato da questa situazione drammatica e insostenibile, ha cercato di porvi rimedio, oltrepassando la soglia etica: ha cominciato a forzare in maniera scorretta le vendite, a mentire ai clienti, fino ad arrivare a inventarsi clienti falsi. Ma, questo andazzo non è proseguito a lungo: in breve, tutto è venuto alla luce.

Lo scandalo della Wells Fargo è scoppiato alla fine del 2016 e sono emerse numerose irregolarità per milioni di dollari che hanno riguardato molti clienti, ingannati o coinvolti senza il loro consenso.

Altri esperimenti o esempi di mancata comunicazione

Un altro esperimento conferma quanto sia determinante il ruolo del capo. A due gruppi di collaboratori viene detto che dovranno prendere la decisione di bloccare un progetto che sta mostrando molti difetti e problemi tecnici. Solo al secondo gruppo viene data un’informazione aggiuntiva: il loro capo ha investito molto tempo in questo progetto. Il risultato? Le persone appartenenti a questo gruppo si sono dimostrate molto meno propense a sospendere il progetto, frenate dalla paura di danneggiare in qualche modo il proprio capo.

Allora, per raccogliere le opinioni dei collaboratori si può percorrere la strada dell’anonimato. Sembrerebbe la soluzione migliore per incoraggiare un contributo franco e libero da condizionamenti. Ecco, quindi, fiorire nelle aziende caselle di suggerimenti, sondaggi sulla soddisfazione, linee telefoniche per segnalazioni, difensori civici. Tutti rigorosamente anonimi.

Questi sistemi hanno diversi aspetti critici ma il più importante sta proprio nella loro struttura. Consentire ai dipendenti di rimanere non identificati sottolinea in realtà che esistono concreti rischi di parlare e rafforza le paure delle persone. In altre parole è come ammettere: “Non è sicuro condividere apertamente le tue opinioni in questa organizzazione. Quindi abbiamo creato altri canali anonimi per ottenere le informazioni di cui abbiamo bisogno “.

Perché la comunicazione tra il vertice e la base dell’azienda è così difficile?

Le porte aperte e gli atteggiamenti di disponibilità dei capi si rivelano semplicemente troppo passivi. Spetta sempre ai collaboratori fare la prima mossa, spetta a loro avvicinarsi al capo per iniziare una conversazione, e questo può essere difficile e, in certi casi, addirittura considerato intimidatorio.

La mancanza di dialogo può anche derivare banalmente da una situazione logistica. Ecco un esempio reale. In una azienda vi era un manager molto simpatico e apprezzato dai collaboratori perché aveva la fama di essere sempre disponibile e aperto nei confronti delle persone.

Eppure, nessuno dei collaboratori spontaneamente si era mai recato da lui per fargli presente un problema o suggerire una soluzione per rendere più efficiente il lavoro. Il motivo era semplice. Il suo ufficio era situato in un altro piano. Per arrivarci bisognava superare diverse porte chiuse e farsi ricevere passando attraverso le sue segretarie. In realtà, la maggior parte dei collaboratori non l’aveva mai visto di persona e nutriva una certa soggezione ad avvicinarlo.

Opportunità strutturate per presentare le idee

Abbiamo visto che non è sufficiente avere semplicemente una “politica delle porte aperte” per far sì che i collaboratori possano far arrivare le loro idee ai manager responsabili. Per evolversi, le aziende hanno bisogno di opportunità strutturate e ufficiali per favorire questo atteggiamento proattivo.

D’altra parte, le soluzioni per risolvere questo problema ci sono già. Sessioni di ascolto, in cui un gruppo di manager stabilisce tempi e modi per esaminare le idee dei collaboratori, form aziendali ai quali iscriversi per appuntamenti (slot), tramite una relativa timeline, oppure concorsi interni a premio per le idee migliori. Senza dimenticare eventuali sessioni di braistorming, nelle quali è importante però che il moderatore svolga il lavoro delicato di aiutare i dipendenti, in particolare quelli timidi e introversi, a sentirsi a loro agio per poter partecipare pienamente.

Ma la domanda più importante che ci si deve porre è la seguente: che cosa succede quando qualcuno presenta un’idea? Che processo segue? La maggior parte delle organizzazioni non lo prevede. Esiste un comitato che possa valutare l’idea, in una riunione settimanale o mensile? Oppure sono previsti filtri attraverso i quali i manager devono esaminarla in modo approfondito con il collaboratore per poi passarla a una fase successiva?

La soluzione ideale sarebbe che vi fosse la possibilità di realizzare un diagramma di flusso, da rendere visibile a tutti, che seguisse passo per passo il percorso dell’idea per evitare che finisca nel dimenticatoio.

Siamo ben cosci che la maggior parte delle idee non si trasformerà in grandi opportunità di cambiamento per l’azienda. E, soprattutto, che mettere in atto queste procedure richiede tempo e fatica. Ma non dimentichiamo mai che se l’organizzazione è in grado di attingere alle idee innovative dei propri collaboratori avrà la capacità di evolversi molto più rapidamente.

Chiuderei questo intervento con una frase di Primo Levi che mi sembra molto opportuna: “Comunicare [in azienda] si può e si deve: è un modo utile e facile di contribuire alla pace altrui e propria, perché il silenzio, la mancanza di segnali, è a sua volta un segnale, ma ambiguo, e l’ambiguità genera inquietudine e sospetto” (da I sommersi e i salvati).

 

Articolo a cura di Ugo Perugini

Profilo Autore

Ugo Perugini. Giornalista, blogger, collaboratore di “Vendere di più”- https://www.venderedipiu.it/, “Az Franchising” - https://azfranchising.com/az-franchising-magazine/ -, DM&C - http://www.dmcmagazine.it ; HR on line - www.aidp.it/riviste/indice-hronline.php. In passato, ha collaborato con “Beesness”- www.beesness.it ; Together HR, blog di Sky Lab http://www.togetherhr.com/bloghr-blog-risorse-umane/- “Senza Filtro” https://www.informazionesenzafiltro.it e altre pubbllicazioni
Il blog che cura è https://capoversonewleader.wordpress.com/

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