Bioeconomia: come, dove e perchè
Introduzione
In letteratura è ampiamente dibattuta l’idea che la diffusione di modelli di sviluppo fondati sui principi della bioeconomia possano rappresentare un’importante opportunità per rispondere alle urgenti questioni legate non solo alla sostenibilità (cambiamento climatico, inquinamento, erosione dei suoli, desertificazione, ecc…), ma anche alla necessità di individuare nuove traiettorie economiche e tecnologiche che consentano di risolvere urgenti problematiche connesse all’occupazione, alla creazione di nuova imprenditorialità, allo sviluppo e diffusione di innovazioni di processo, di prodotto e di servizio, ecc. Tutto questo sarebbe particolarmente rilevante per tante aree del nostro Paese dove è sempre più difficile intraprendere un’attività di impresa, trovare un lavoro, costruire un modello di crescita territoriale ecologicamente, socialmente ed economicamente sostenibile nel lungo periodo.
Tuttavia la questione pone alcune importanti domande di partenza: di cosa stiamo parlando? cosa si può fare in concreto?
Se qualcuno si mette a leggere la grande massa di lavori, analisi, articoli in materia, si può convincere che senza dubbio la bioeconomia in teoria potrebbe offrire molteplici vantaggi e opportunità. Ciò sarebbe di capitale importanza pensando a uno scenario come quello italiano, proprio per la presenza di un bacino di risorse molto vasto e variegato, capace di consentire la nascita di veri e propri distretti economici e ambientali che da un lato generano opportunità di impresa e posti di lavoro e, dall’altro, producono importanti benefici ambientali e sociali.
L’attivazione di un distretto bioeconomico, anche grazie al contributo dell’economia circolare, richiede, ancor prima che la mobilitazione di determinate risorse economiche, un notevole impegno sotto molti punti di vista. Questo impegno è un passo indispensabile per evitare che proprio le risorse economiche vadano inevitabilmente sprecate, sottoutilizzate o inutilizzate del tutto, come è avvenuto frequentemente in altre circostanze.
In primo luogo si delinea il ruolo critico del contesto istituzionale: servono processi decisionali e strategie di lungo periodo che superino la miopia di prospettive clientelari o di mediazioni dei più variegati tipi di interessi. È necessario poi un notevole impegno nella ricerca per espandere l’uso delle tecnologie esistenti che impiegano risorse biologiche, nonché la messa a punto di tecnologie innovative per la realizzazione di prodotti e servizi da destinare al consumo e/o agli impieghi agricoli, industriali ed energetici.
Bioeconomia: una definizione
La bioeconomia può essere definita come quella parte dell’economia che utilizza il know-how sui sistemi biologici e sulle risorse biologiche per scopi commerciali, agricoli e industriali, anche al fine di migliorare la qualità della vita per gli esseri umani.
Per comprendere il senso della bioeconomia bisogna partire dal nesso fra sviluppo economico e risorse biologiche che caratterizza questo tipo di disciplina, tale da rendere la bioeconomia una componente rilevante dell’economia delle risorse. In questo ambito analitico vengono innanzitutto distinti due tipi di risorse: quelle non rinnovabili e quelle rinnovabili. Le risorse non rinnovabili fanno riferimento a bacini finiti e limitati (ad esempio il petrolio o il carbone). Le risorse rinnovabili sono quelle che, a date condizioni e con un uso ottimale, possono essere prodotte a tempo indefinito.
Le risorse rinnovabili si distinguono poi fra quelle fisiche (ad esempio, il sole) e i sistemi viventi (ad esempio, una foresta) (fig. 1). È importante ricordare che le stesse risorse rinnovabili, soprattutto quelle connesse con i sistemi viventi, si possono esaurire poiché dipendono dal cosiddetto “tasso di estrazione”: se il livello di utilizzazione è superiore al tasso di rigenerazione anche le risorse rinnovabili possono diventare non rinnovabili. La definizione del corretto tasso di estrazione consente alle risorse rinnovabili di essere impiegate potenzialmente per un tempo indefinito.
A loro volta, i sistemi biologici vengono divisi fra quelli che sono sottoposti a “raccolta” (ad esempio, risorse della pesca) e quelli sottoposti a “coltura” (ad esempio risorse agricole, quelle zootecniche, acquacoltura). Attualmente, a causa del sovrasfruttamento di queste risorse e il loro progressivo declino, si sta passando da un approccio basato sulla mera raccolta a quello basato sulla coltura, come nel caso dell’itticoltura o in quello dei biocarburanti.
L’obiettivo principale della bioeconomia è sviluppare dei sistemi produttivi che si fondano sull’impiego di risorse rinnovabili, limitando il più possibile il ricorso a quelle non rinnovabili, e agevolare il passaggio da un approccio a raccolta a quello a coltura nella gestione dei sistemi biologici.
Le dinamiche bioeconomiche
Le possibilità di conseguire questo obiettivo dipendono fondamentalmente da alcune variabili economiche critiche. Per esempio, una compagnia mineraria che estrae carbone dovrà affrontare degli elevati costi iniziali per la ricerca del giacimento che però, una volta individuato, presenterà dei costi di sfruttamento relativamente contenuti che tenderanno ad aumentare con il progressivo esaurimento del giacimento. Nel caso dello sfruttamento delle risorse rinnovabili (ad esempio l’energia solare) ci saranno dei costi iniziali magari anche molto elevati ma questi costi, proprio per la natura di questa risorsa rinnovabile, rimarranno costanti nel tempo perché l’output prodotto rimane costante, non si esaurisce. Anzi, con lo sviluppo tecnologico i costi tenderanno a diminuire e l’output tenderà ad aumentare. Questo significa che il ricorso alle risorse rinnovabili diventerà più conveniente via via che aumenteranno i costi di ricerca di nuovi bacini di risorse non rinnovabili, mentre nel frattempo l’innovazione tecnologica consentirà un aumento progressivo della resa dell’impiego di risorse rinnovabili. Bisogna poi considerare che – oltre ai costi economici e gli investimenti – devono essere tenuti in considerazione anche i costi sociali e ambientali. Inoltre, se il ricorso a risorse non rinnovabili è sottoposto a forme di tassazione (ad esempio ambientali) allora gli investimenti nella ricerca e il passaggio alle risorse rinnovabili diventano ulteriormente più convenienti.
Anche le attività di riciclo e riuso potrebbero essere considerate forme di ricorso a risorse rinnovabili. Pertanto, anche quando si esaminano queste attività da un punto di vista bioeconomico, nel confronto fra rinnovabili e non rinnovabili devono essere tenute in considerazione le varie tipologie di costi e le eventuali tassazioni/agevolazioni previste (fig.2).
Simili riflessioni possono essere fatte per quanto concerne le differenze fra l’adozione di un approccio a raccolta o a coltura per l’impiego dei sistemi biologici lungo tutta la catena dei relativi processi di produzione e di utilizzo coinvolti. Le attività di raccolta implicano costi e investimenti che si focalizzano sostanzialmente nella fase di procacciamento della risorsa come nel caso, ad esempio, della pesca. Le attività a coltura invece prevedono costi e investimenti che coinvolgono tutta la catena produttiva sin dalle prime fasi di predisposizione della stessa, come nel caso dell’acquacoltura dove bisogna investire nelle strutture, procedure e tecnologie di allevamento, nutrizione e conservazione degli animali vivi ecc… Nelle attività a coltura tecniche, tecnologie e procedure tendono tuttavia a minimizzare i costi di utilizzazione che, nelle attività a raccolta, sono inevitabilmente più alti: un conto è, ad esempio, uscire in mare con un peschereccio, un altro è recuperare dei pesci in una vasca di un impianto di acquacoltura. È altrettanto evidente che i costi e gli investimenti nelle attività di raccolta tenderanno ad aumentare con il diminuire del volume dello stock delle risorse biologiche coinvolte nello sfruttamento e con l’aumentare della domanda di questa risorsa. Questo contribuisce ad aumentare il valore delle corrispondenti attività a coltura sulla medesima risorsa e a favorire uno spostamento dall’attività fondata sulla raccolta alla corrispondente attività a coltura, considerando anche il ruolo che lo sviluppo delle tecnologie innovative può svolgere nell’abbattimento dei costi e nell’elevazione dell’efficienza.
All’interno di tutto questo complesso scenario, è evidente che ricerca scientifica, innovazioni e nuove tecnologie possono produrre impatti rilevanti nel passaggio da un’economia convenzionale a forme di bioeconomia. Conoscenze più avanzate sul funzionamento dei sistemi biologici e le tecnologie che permettono un uso più efficiente degli input hanno, ad esempio, consentito lo sviluppo dell’agricoltura di precisione con un aumento della produttività, una riduzione dell’impiego di input e una diminuzione dell’inquinamento.
Le innovazioni consentono quindi di rendere più conveniente il ricorso ad alcune tecnologie e approcci rispetto a quelli convenzionali, lungo tutta la filiera produttiva. Tuttavia bisogna ricordare che le imprese private, in generale, sono poco inclini a investire risorse economiche e tempo in attività di ricerca e sviluppo dirette a conseguire obiettivi di natura ambientale e sociale che non generano dei ritorni economici nel breve-medio periodo. Se, quindi, questo genere di obiettivi deve essere incluso in una prospettiva di sostenibilità, è necessario che la ricerca pubblica, sia a livello nazionale che internazionale, giochi un ruolo centrale e che i risultati di queste ricerche siano sottoposti a una valutazione di viabilità economica. Lo sviluppo della bioeconomia presuppone inoltre una facilitazione della diffusione, trasferimento e commercializzazione dei risultati della ricerca e delle innovazioni tecnologiche. In sostanza, un sistema produttivo bioeconomico dovrebbe tradurre la ricerca scientifica in sviluppo economico producendo non solo beni e servizi (privati e di mercato) ma anche beni pubblici.
Dai sistemi produttivi convenzionali a quelli bioeconomici
Apparentemente, il ricorso a risorse rinnovabili rispetto a quelle non rinnovabili – così come il passaggio da pratiche di raccolta a quelle di coltura – dovrebbe essere una cosa abbastanza ovvia, anche perché potrebbe apparire più sostenibile per lo meno da un punto di vista ambientale: quindi, una scelta benefica per tutti. In realtà, la questione è molto più complessa sotto molteplici punti di vista. Innanzitutto il rapporto fra sostenibilità, aspetti ambientali e attività legate alla bioeconomia deve tenere in considerazione l’azione di un gran numero di variabili connesse alle caratteristiche stesse delle risorse rinnovabili e dei sistemi biologici. Ciò significa che è necessaria una prospettiva che consideri l’intero ciclo di vita e le caratteristiche di tutto il ciclo produttivo. Una simile analisi potrebbe rivelare infatti che determinati processi legati all’impiego di risorse rinnovabili potrebbero non essere efficienti, ad esempio, in termini economici o ambientali perché magari molto costose o perché producono alti livelli di GHG (greenhouse gas – gas effetto serra). Pertanto, se questi processi implicano costi di produzione, costi sociali, esternalità superiori a processi analoghi legati all’uso di risorse non rinnovabili, tali processi appariranno inevitabilmente non praticabili. Inoltre, anche ammettendo la possibilità di risolvere tutti questi aspetti, l’intera questione presenta delle implicazioni tali da delineare un vero e proprio salto di traiettoria tecnologica e di cambiamento sistemico. Ciò significa che un simile shift coinvolgerà problemi di sostituzione e diffusione tecnologiche sostanziali, innovazioni più o meno distruttive, alterazione di prassi e sistemi stabili e prefissati: tutte cose che prevedono resistenze, opposizioni, rottura di routine e di interessi consolidati e via dicendo. È arcinoto che le innovazioni non vengono adottate in blocco da tutti in modo indifferenziato, perché l’adozione delle innovazioni è un processo in movimento che dipende da una estesa miriade di variabili connesse a dimensioni analitiche interconnesse. Tutto questo genera processi molto fluidi in cui i meccanismi di sostituzione sono immersi. La sostituzione è un fenomeno intrinseco della naturale progressione di un processo innovativo in cui una determinata tecnologia/processo/servizio (in un senso molto ampio del termine), o le modalità con cui questa tecnologia/processo/servizio viene impiegata, viene rimpiazzata da un sostituto migliorato o percepito come tale. La sostituzione può avvenire, come precondizione, se il “nuovo” possiede un’abilità intrinseca di fornire un modo migliore di fruire dei risultati nel suo uso e applicazione rispetto al “vecchio”. Insomma c’è una superiorità del primo sul secondo: il nuovo “does it better”. Solitamente questa superiorità, reale o percepita, si lega a elementi tangibili della nuova tecnologia/processo/servizio oppure a fattori connessi alla dimensione sociale o dello stile di vita, ai costi economici o al risparmio di tempo. Questo perché, quando si tratta di passare da una traiettoria tecnologica a un’altra, l’oggetto in questione viene valutato non solo come “as-developed” ma anche per la sua performance, “as-used”.
L’effetto sostituzione riflette pertanto la scelta di un consumatore o di un imprenditore di smettere di utilizzare una tecnologia/processo/servizio precedente e iniziare a impiegarne una nuova. Ciò significa che non solo bisogna considerare la traiettoria ed il sistema tecnologico della nuova tecnologia, ma anche la traiettoria e il sistema tecnologico di quella vecchia. Un esempio tipico è quello delle auto elettriche. Spesso vengono confrontate con le auto convenzionali in termini di efficienza energetica o emissioni: viene insomma fatto un confronto fra singoli prodotti. In realtà, il confronto andrebbe fatto fra i rispettivi sistemi (ad esempio disponibilità di stazioni di rifornimento) e traiettorie tecnologiche. Questo per dire che, se si considera una prospettiva di sistema, la competizione fra auto convenzionali ed elettriche non dovrebbe essere fatta solo fra prodotti isolati ma anche sulla base del contesto dell’intero ecosistema tecnologico da cui dipende la performance del prodotto.
Il progresso di una data tecnologia o innovazione (in senso molto ampio) dipende fortemente dalle interdipendenze presenti in questo ecosistema tecnologico. Questo vuol dire che nel passaggio verso forme di bioeconomia e tecnologie e approcci sostenibili, non si tratta di confrontare semplicemente singole tecnologie e approcci consolidati con quelli nuovi ma bisogna tenere presenti queste interdipendenze e il conseguente confronto fra i rispettivi ecosistemi tecnologici di riferimento.
Questo porta alla definizione, secondo il modello di Adner e Kapoor, di due parametri principali per la caratterizzazione degli ecosistemi tecnologici:
- grado di problematicità, ovvero le sfide che un ecosistema tecnologico deve affrontare e risolvere per consentire all’innovazione di raggiungere un adeguato livello di commerciabilità una volta introdotta sul mercato;
- grado di evoluzione, ovvero la capacità intrinseca di un ecosistema tecnologico di generare future opportunità per ulteriori miglioramenti nelle performance di impiego delle tecnologie sviluppate al suo interno.
Nel caso del confronto fra auto elettriche e auto convenzionali bisogna quindi anche considerare la capacità dell’ecosistema tecnologico delle auto convenzionali, ad esempio, di migliorare l’efficienza dei propri motori e di ridurre le emissioni. Quindi il tasso di sostituzione sarà influenzato anche dal tasso con cui il nuovo ecosistema tecnologico sarà in grado di superare, nonostante i problemi intrinseci di introduzione sul mercato, il tasso con il quale il vecchio ecosistema tecnologico riesce a sfruttare le sue opportunità e capacità di evoluzione e miglioramento.
Se si mettono in relazione questi due parametri, si ottiene un diagramma da cui emergono quattro scenari (fig. 3)
Quadrante 1. Quando le innovazioni hanno un grado di problematicità basso e il vecchio ecosistema tecnologico ha una capacità evolutiva altrettanto bassa, il potenziale di sostituzione della nuova traiettoria sarà elevato. Le probabilità di innescare il cambiamento saranno quindi elevate. Si tratta dello scenario tipico delle innovazioni distruttive.
Quadrante 2. In questo caso, in presenza di un potenziale di sviluppo delle vecchie tecnologie ancora sostenuto, ci sarà una competizione abbastanza serrata fra la nuova traiettoria e quella consolidata. L’ecosistema tecnologico preesistente è in grado di competere attivamente con il nuovo e il passaggio da una traiettoria all’altra potrebbe richiedere molto tempo: per lo meno fintantoché non si erode il potenziale evolutivo del sistema consolidato.
Quadrante 3. In questo scenario l’introduzione delle innovazioni sarà piuttosto lenta e dipenderà, fondamentalmente, dalla capacità del nuovo ecosistema tecnologico di risolvere le varie criticità che rendono difficile la penetrazione sul mercato delle innovazioni. Qui il ruolo della ricerca sarà fondamentale poiché, una volta superati questi ostacoli, il cambiamento potrà essere attivato alacremente.
Quadrante 4. In questo caso il nuovo ecosistema tecnologico apparirà come poco realistico, mentre il sistema consolidato si rafforzerà grazie a miglioramenti sostanziali in termini di efficienza ed efficacia. In questo scenario solitamente finiscono quelle innovazioni che sembrano rivoluzionarie ma che non sono sostenibili economicamente e socialmente.
Conclusioni
Forme di bioeconomia sostenibili richiedono non solo solide basi economiche e ambientali ma anche, come premessa, delle stabili fondamenta istituzionali, di conoscenza, innovazione, ricerca e sviluppo.
L’avanzamento, la diffusione e divulgazione delle conoscenze sono elementi fondamentali per l’emersione di una coscienza e di una responsabilità individuali e collettive di fronte alle grandi sfide che il cambiamento climatico e la non sostenibilità degli attuali modelli di sviluppo stanno ponendo all’umanità. In questa prospettiva si collocano le opportunità offerte dalla bioeconomia che, per sua natura, implica una visione di lungo periodo proprio come risposta al “presentismo” in cui l’umanità è scivolata nell’ultimo secolo. Potrà sembrare paradossale, ma la distruzione del passato e la distruzione dei meccanismi cognitivi che connettono l’esperienza delle generazioni contemporanee con quelle precedenti costituisce il prerequisito critico per la distruzione dell’esperienza e della responsabilità dei contemporanei con le generazioni future. Finché perdura una cultura diffusa fondata su un presente permanente, nel quale manca qualsiasi rapporto organico fra il tempo in cui viviamo, quello passato e quello futuro, la bioeoconomia e la stessa sostenibilità continueranno ad apparire come questioni astratte e teoriche. Le emergenze ambientali, sociali ed economiche (oltretutto intimamente interconnesse) sono i sintomi di un evento di straordinaria complessità la cui comprensione appare tutt’altro che banale. Proprio per l’interconnessione sempre più stretta fra più o meno latenti catastrofi ambientali, sociali ed economiche questo evento complesso si manifesta sotto diverse forme, con livelli di gravità diversi, alimentando differenti interpretazioni sugli stessi fenomeni ma tutti riconducibili a ben determinate traiettorie tecnologiche e a patologizzazioni finanziarie, politiche e burocratiche.
L’introduzione di innovazioni connesse alla sostenibilità e alla bioeconomia dovrebbe tener presente questo background culturale nonché le logiche delle varie traiettorie e dei relativi ecosistemi tecnologici. Ciò costituisce un passo essenziale per poter comprendere la natura e le varie dinamiche connesse ai tanti colli di bottiglia che inevitabilmente si creano nel passaggio da una traiettoria all’altra sulla base dei meccanismi di diffusione e sostituzione delle innovazioni.
È evidente che è impossibile stabilire quando e come determinati processi di cambiamento tecnologico prenderanno più o meno piede, ma la comprensione di certi meccanismi alla base di questi processi possono permettere almeno di supporre fino a quando non prenderanno piede. E ciò, per la sostenibilità e la bioeconomia, è un fattore di non secondaria importanza.
Articolo a cura di Carmelo Cannarella e Valeria Piccioni