Cambiamenti organizzativi e gestione delle persone

Innovazione e processi in atto

I processi di innovazione aziendale, siano essi endogeni o esogeni, comportano la capacità interna di gestire una serie di problematiche che in molti casi possono impedirne, inficiarne o rallentarne l’implementazione. Tali processi sono sempre pianificati, implementati, gestiti e controllati da persone la cui preparazione, motivazione e competenza risultano determinanti per il successo o meno di qualsiasi operazione di cambiamento sia esso organizzativo, tecnologico o strategico.
La centralità delle persone che devono condurre i processi di change management fa riemergere con forza l’annoso problema della gestione delle risorse umane, sia in termini di funzioni e strumenti operativi ma soprattutto in termini di filosofie gestionali adottate dai vertici aziendali verso le proprie risorse umane.
Questo è il vero punto di partenza per avviare qualsiasi processo innovativo.

Lo sforzo continuo e quasi ossessivo a cui le organizzazioni puntano oggi è orientato a una sempre maggiore efficienza, alla sempre maggiore capacità di adattamento al contesto economico internazionale e in particolare ai processi di digital transformation, una rivoluzione che si fa strada con prepotenza e pervasività all’interno di tutte le organizzazioni. Tale sforzo produce collateralmente molto spesso nelle aziende, un clima tendenzialmente turbolento e instabile. Nello scenario attuale di crisi strutturale, lungi dall’essere risolta, risultano sempre più pressanti le richieste di miglioramento dell’efficienza delle attività operative: le direzioni aziendali sono costantemente impegnate in programmi di razionalizzazione e reingegnerizzazione dei processi interni in ottica di riduzione dei costi della struttura. Tale ricerca di efficienza, tramite mutamenti organizzativi, genera un aumento di complessità che, se in parte è la risultante di cambiamenti pianificati (quindi voluta), in parte è frutto di contraccolpi esterni e stratificazioni spontanee di fenomeni non controllati e non pianificati. Le aziende procedono, ad esempio, nell’eliminare al loro interno o esternalizzare una serie di attività, funzioni e strumenti gestionali che precedentemente venivano intensamente e proficuamente utilizzati, frutto di decennali percorsi evolutivi; ciò li depaupera di capacità di risposta e rende più difficili i processi trasformativi. Spesso i cambiamenti introdotti nelle organizzazioni sono promossi da “tecnici” che analizzano in modo approfondito gli aspetti tecnologici, economici, produttivi e organizzativi, ma che spesso trascurano o sottovalutano gli impatti che tali modificazioni organizzative producono sulle risorse umane, su coloro che vivono in prima persona i mutamenti. Quindi la ricerca di soluzioni sempre più vantaggiose può anche generare, parallelamente, una maggiore vulnerabilità del sistema nel suo insieme in particolare sul versante umano, una spinta di tipo entropico, cioè un aumento di attriti interni e una dispersione di energie.

I processi di ristrutturazione di questi ultimi anni sono stati l’espressione di una strategia spesso di respiro corto, spesso incurante dei possessori di capacità distintive. Nei casi peggiori è venuta meno la fiducia tra il vertice aziendale da un lato e i dirigenti, i quadri intermedi e tutto il corpo sociale d’impresa dall’altro. E senza fiducia si riduce la cooperazione e si incrina l’efficacia dell’organizzazione nel suo insieme.

Dal lato delle persone, le problematiche relative ai processi di innovazione che emergono con maggior forza da tutte le imprese del territorio e le accomunano quasi indistintamente sono:

  1. processi decisionali dell’upgrading tecnologico connessi con la digital trasformation: ovvero le capacità di chi li decide, di chi li attua, sui livelli di consapevolezza delle prospettive strategiche e delle conseguenze operative sull’organizzazione attuale;
  2. gestione delle competenze specifiche della forza lavoro attuale e futura, dei livelli di motivazione, dei comportamenti organizzativi delle persone (e in particolare della generazione dei millennials);
  3. livello di consapevolezza e interventi sul clima organizzativo interno generale, che fa da “terreno di coltura” per un efficace e duraturo processo di innovazione o, al contrario, può determinarne il fallimento.

All’interno di questo scenario generale, vediamo come si comportano le imprese più virtuose, cioè quelle che sono state palesemente in grado di superare la crisi e conseguire risultati complessivi oggettivamente brillanti. In una recente indagine sul campo svolta fra le imprese considerate più virtuose[1], le aziende esaminate fanno emergere una realtà avanzata e dinamica che è ovviamente in parziale contrasto con il resto del tessuto aziendale del territorio, ma in un certo senso ne rappresenta le problematicità e ne anticipa le possibili soluzioni.

Fra queste sono state intervistate alcune che costituiscono – secondo il gruppo di ricercatori che ha lavorato all’indagine – dei casi aziendali particolarmente significativi ed emblematici. In prima battuta possiamo affermare che, come già noto da tempo, anche a livello locale le aziende capaci di sopravvivere e crescere sono quelle con maggiore capacità di adattamento all’ambiente socio-economico, quelle più dinamiche e capaci di trasformarsi rapidamente rispetto alle minacce e/o opportunità del mercato

L’intero gruppo di aziende intervistate mostra di essere caratterizzato da elementi quali:

a) elevato numero di funzioni interne (dipartimenti, uffici funzionali, unità organizzative);
b) forte grado di autonomia manageriale;
c) alto numero di ore di formazione per addetto;
d) esistenza di una funzione del personale non meramente amministrativa ma di tipo strategico, capace di operare nel senso di una reale centralità delle persone.

Nuove identità organizzative e cambiamento dei modelli di lavoro

Dalle interviste emerge che le organizzazioni più virtuose mostrano, anche nel nostro territorio, di essere più portate ad abbandonare modelli organizzativi ormai inadatti e creare condizioni di lavoro che permettano da una parte di rispondere alle esigenze emergenti delle persone (lavoro remoto, mobilità, lavoro flessibile, work-life balance, meritocrazia) e, dall’altra, di migliorare la produttività del lavoro e ridurre i costi di gestione del sistema logistico-produttivo e degli spazi fisici.

Le tecnologie digitali giocano un ruolo sempre più importante nella trasformazione. Secondo i responsabili delle imprese intervistati, i tradizionali criteri per la progettazione organizzativa vengono sempre più messi in discussione e affiancati da principi quali la collaborazione, l’autonomia e la flessibilità nella scelta dei metodi e degli stili di lavoro, degli spazi, la valorizzazione dei talenti, la responsabilità e l’innovazione diffusa. I driver che stanno spingendo le organizzazioni verso lo sviluppo di nuovi modelli di lavoro sono in primo luogo legati all’evoluzione delle tecnologie e, in secondo luogo, alla cultura e alle esigenze emergenti delle persone. Per gestire e avviare il percorso di cambiamento dei modelli di lavoro, un ruolo rilevante svolgono le Direzioni del Personale, considerate sempre più lì dove sono presenti “leader della trasformazione”; esse hanno un ruolo fondamentale nei piani di change management, con azioni di riorganizzazione dei processi organizzativi interni, piani di formazione del management e della forza lavoro, piani di comunicazione interna e ridefinizione di coerenti sistemi meritocratici del tipo MBO (obiettivi di performances individuali e collettivi).

Nel complesso, emerge che le aziende più virtuose fanno un maggior ricorso a partner esterni rispetto alle altre aziende, ricorrendo spesso all’introduzione di soluzioni software specialistici per rispondere a requisiti di agilità e velocità; questo non solo per le attività amministrative, commerciali e di supporto alla produzione, ma anche per le attività di sviluppo delle persone (in particolare ricerca e selezione, formazione e valutazione delle performance) per supportare una forza lavoro sempre più mobile, specializzata e dispersa in sedi diverse.

Rispetto a questi processi di innovazione, il nostro territorio si trova in profondo ritardo e le differenze fra imprese virtuose e il resto del tessuto industriale locale si misura proprio in questi ambiti.
Dalla Ricerca condotta risulta chiaro che le migliori aziende locali nel campo dell’innovazione hanno lavorato per rendere i loro organigrammi generalmente meno verticali e più “piatti”, riducendo il numero dei livelli gerarchici.
Soprattutto esse utilizzano più estesamente gli strumenti operativi di trasformazione connessi allo “sviluppo organizzativo”, in particolare:

  • il Welfare aziendale;
  • la formazione aziendale estesa su tutte le fasce professionali;
  • strumenti di selezione avanzata sia in ingresso che in itinere;
  • strumenti di valutazione del potenziale e delle performances;
  • il frequente ridisegno organizzativo di ruoli e funzioni;
  • le indagini sul clima e le diagnosi organizzative.

Questi strumenti di “sviluppo organizzativo” – a cominciare dal welfare aziendale che, se efficacemente impiegato, oltre a creare un clima migliore nell’ambiente di lavoro, produce engagement, motivazione, senso di appartenenza – sono tutti strettamente collegati fra loro e per funzionare devono essere integrati in un quadro coerente ed equilibrato di gestione delle risorse umane in una filosofia gestionale trasparente e flessibile. Se uno degli strumenti non è ben “accordato” come in una orchestra, tutto il risultato finale diventa un pezzo musicale sgradevole. Man mano che cresce la complessità nei sistemi produttivi, tecnologici e organizzativi, deve proporzionalmente e parallelamente crescere con coerenza l’articolazione dei sistemi di controllo e di sviluppo.

Le imprese virtuose dichiarano di partire dalla strategia complessiva dell’intera azienda (piano strategico triennale, in generale), stabiliscono quali sono i fabbisogni quantitativi e qualitativi di competenze professionali necessari da oggi per i prossimi anni. Provano a darsi piani di formazione annuali che investono tutta la popolazione aziendale e non solo alcune fasce professionali. Queste imprese infatti dichiarano di fare molta formazione (o almeno molto più della media delle altre aziende locali). Al loro interno queste imprese mostrano di saper generare figure professionali del tutto nuove, prima inimmaginabili, che rispondono all’esigenza di fronteggiare e gestire i processi di innovazione.

Nel contempo dichiarano di trovare difficoltà nell’inserire tali figure flessibili e modificabili negli attuali sistemi di inquadramento giuridico, molto spesso non riscontrabili nei mansionari dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Un altro aspetto di innovazione nel campo della gestione delle risorse umane è quello retributivo. La maggior parte di queste imprese mostrano di muoversi dalle voci salariali fisse uguali per tutti, come da C.C.N.L. comunque sempre rispettati, verso sistemi salariali meritocratici legati alla qualità delle prestazioni e agli obiettivi raggiunti, sempre più personalizzati e differenziati. Per fare ciò è stato necessario per loro creare sistemi di valutazione delle prestazioni validi, efficaci, il più delle volte riconosciute e apprezzati dai lavoratori. I sistemi incentivanti legati alla valutazione delle prestazioni costituiscono elementi della complessità gestionale in forte evoluzione, oggetto di confronti e negoziazioni non sempre facili (non sempre tali sistemi sono legittimati in accordi di secondo livello). I sistemi incentivanti sono alcuni degli strumenti che le direzioni hanno per governare le innovazioni e i cambiamenti organizzativi, agendo direttamente sui comportamenti individuali.

Ancora degna di nota è la capacità di queste imprese di comunicare con il personale in modo diretto e bilaterale, utilizzando gli strumenti digitali a disposizione; in tal modo le voci “bottom-up” arrivano più facilmente e senza filtri al vertice dell’organizzazione.

Clima organizzativo e gestione del personale

Questo gruppo di imprese dimostra che non c’è cambiamento e crescita se il vertice dell’azienda non prende consapevolezza che qualsiasi progetto innovativo o strategia evolutiva passa attraverso la valorizzazione delle persone e il loro coinvolgimento.
Esiste un nesso forte fra performance aziendale e investimento nel capitale umano, fra ragioni di mercato e responsabilità sociale.

“Le strategie aziendali camminano sulla gambe delle persone che le devono implementare, anzi con i cuori delle persone”, ci ha detto il direttore di stabilimento della Merck di Bari. “Per questo da diversi anni ci siamo adoperati per il benessere del nostro personale, affinché si creasse un clima di fiducia, rispetto e valorizzazione delle risorse umane; l’impresa si preoccupa del loro benessere complessivo e loro, di rimando, rispondono con un atteggiamento positivo e propositivo. Quando sono stati creati dei premi per la raccolta di idee di miglioramento aziendale sono arrivate moltissime proposte dal basso, ad esempio intuizioni risolutive avute dall’operaio sulla linea e non solo dall’ingegnere preposto a trovare soluzioni; tali intuizioni hanno consentito all’azienda di risparmiare e migliorare, sono state perciò premiate con benefit di vario genere. Molto spesso a livello locale o alla base della scala gerarchica possono essere trovate soluzioni innovative e adatte, non prevedibili dall’alto”.

Questa tipologia di interventi innovativi dal basso si affianca e rafforza le strategie innovative che ovviamente nella maggior parte dei casi cala dall’alto. Le migliori soluzioni sono quelle che, partendo dalle condivisione delle best practices e dall’applicazione delle direttive del vertice, vengono rielaborate, adattate e modificate “in loco” grazie al pensiero critico, alla conoscenza del contesto tecnico, alla creatività soggettiva allenata al problem solving. È quello che nei modelli della learning organization viene chiamato “miglioramento continuo dal basso e dall’interno” e che presuppone l’esistenza di una delega diffusa ad agire per il bene comune superiore.

“Affinchè però quei lavoratori possano agire in questo modo e prendere, al momento giusto, decisioni risolutive e innovative per l’azienda, occorre che essi siano stati precedentemente informati, formati, preparati, coinvolti, motivati, immersi in un contesto di fiducia e sfida, dove sia anche ammesso sbagliare e non si viene sistematicamente colpevolizzati, in un contesto dove esiste il TEAM, la squadra, il gruppo di colleghi fra i quali vige reciproco sostegno, mutuo soccorso, sinergia, rispetto, ove si siano create precedentemente situazioni di benessere, di forte senso di appartenenza, di responsabilità, ove le persone siano incoraggiate a muoversi con un approccio ‘intraprenditoriale’”.

Quindi questo coinvolgimento ampio e ricco consente alle persone di “dare senso” alla loro presenza dentro un’organizzazione e li spinge a fare ciò che la sola incentivazione economico-monetaria non potrà mai fare.

Nelle organizzazioni vincenti vince la squadra, non ci sono “prime donne”, scienziati, tecnici o manager risolutori solitari; solo il gruppo di persone può portare risultati validi e duraturi nel problem solving e nel decision making, come nel project management. In organizzazioni sempre più complesse servono team competenti e affiatati, ove si sviluppa fiducia reciproca, senso di collaborazione e di responsabilità collettiva. La formazione contribuisce grandemente in queste aziende ad orientare verso lo sviluppo della cultura del team. Con gli interventi di team building esse provano a dare grande slancio e supporto ai processi di costruzione di ambienti lavorativi sereni, laboriosi, creativi e stimolanti.

Riteniamo che con questo approccio si superi la naturale, spontanea, fisiologica resistenza al cambiamento che appare molto spesso nei lavoratori, messi improvvisamente di fronte ad un cambiamento organizzativo o a una innovazione tecnologica, subito percepita non tanto come opportunità ma piuttosto come minaccia e rischio di perdita del proprio posto di lavoro. Il “meccanismo psicologico di difesa”, non è solo paura del nuovo, ansia da carenza conoscitiva, opposizione a quanto viene dall’ esterno o dall’ alto, ma può anche essere, in una accezione positiva, un meccanismo che genera prudenza, riflessione, verifica, valutazione critica, ulteriore necessità di controllo.

In un’altra azienda ci è stato detto: “Attore fondamentale nella nostra organizzazione è il capo, inteso sia come vertice apicale (l’imprenditore stesso e i suoi manager) sia come responsabile intermedio, ovvero chiunque abbia anche un solo collaboratore. Il capo è per noi il primo soggetto da curare e formare perché egli stesso è quotidianamente “un formatore” sui luoghi di lavoro ed ha grandissima influenza sul benessere delle persone (o sul loro malessere), responsabilità etica prima ancora che organizzativa. Quindi, è fondamentale insegnare ai nostri capi cosa significa esercitare la leadership, come gestire in modo negoziale problemi e conflitti, come prendere decisioni, come mantenere elevata la motivazione della squadra, come prendersi cura del benessere dei singoli collaboratori”.

Sempre sull’importanza del gestire bene le persone, un importante manager di azienda ci ha confessato nella sua intervista: “Ho lavorato in diverse aziende prima di venire qui e posso dire che spesso le organizzazioni, se guardate con occhio critico che va oltre le apparenze, possono apparire come luoghi senza senso, con enunciati di principio che non sono affatto in linea col vissuto quotidiano, piene di “zombies” aziendali, o di scimmiette del “non vedo, non sento, non parlo”, con lobbies contrapposte orientate solo all’accrescimento della propria influenza, con sottogruppi di individui caratterizzati da invidia, pettegolezzi, rancore. Ho visto strategie aziendali accuratissime, sostenute da cospicue disponibilità economico-finanziarie e validi supporti tecnologici fallire miseramente, perché osteggiate e boicottate da persone arrabbiate, demotivate o frustrate. Le organizzazioni sono eccellenti palcoscenici teatrali che sintetizzano tutto il malessere delle persone, enfatizzandolo e spesso facendolo esplodere… ma al contrario, a volte, le organizzazioni consentono la realizzazione degli individui in tutte le loro potenzialità perché lì i sogni diventano progetti e i progetti realtà concrete. Qui, in questa impresa, cerchiamo di farlo, non so se ci riusciamo ma almeno ci proviamo con consapevolezza, umiltà e convinzione”.

In un’altra impresa, l’imprenditore afferma che oggi lavoratori e lavoratrici ancor più cercano, nonostante una crisi che non finisce più, un lavoro ritenuto soddisfacente, che non entri in conflitto con la propria vita privata.

Cercano di salvaguardare ciò che viene chiamato work-life balance, un equilibrio instabile e difficile nel quale i datori di lavoro hanno un peso determinante nella vita delle persone e non se ne rendono conto. Soprattutto i “millennians” più scolarizzati e preparati appaiono lavoratori dai tratti caratteriali nuovi e spesso inafferrabili, certamente meno docili e fedeli all’azienda; questo porta ad avere un turnover più elevato, inimmaginabile in un territorio come il nostro con un alto tasso di disoccupazione giovanile.

Conclusioni

Le aziende devono mantenere oggi la loro solidità, la loro continuità, la loro stabilità pur dovendo trasformarsi e adattarsi con prontezza e innovazione ai nuovi scenari, fatti di minacce e/o di opportunità che si presentano ogni giorno di fronte a loro.
Viene in mente il cubo di Rubik, come metafora: una forma esterna che resta la stessa, ma il cui layout interno può essere e deve essere modificato continuamente, combinando tra loro i diversi colori per ottenere immagini nuove.

Gli obiettivi che le imprese più virtuose nel loro insieme sono riuscite a conseguire sembrano essere i seguenti:

  1. hanno saputo mantenere e sviluppare le capacità di adattamento e crescita di fronte alle minacce esterne e alle conseguenti modificazioni;
  2. sono state capaci di migliorare la motivazione e il coinvolgimento delle persone nella gestione aziendale e in particolare nei processi di innovazione, i quali sono stati fortemente supportati proprio da motivazione e coinvolgimento delle persone;
  3. hanno saputo migliorare le capacità di affrontare e gestire problemi sin ai più bassi livelli gerarchici, sviluppando metodi e approcci di miglioramento continuo;
  4. sono riuscite a sviluppare un modello interno di apprendimento delle competenze, grazie alla formazione e all’affiancamento, facilmente trasmissibile, replicabile trasversalmente e capace di supportare i punti precedenti.

L’indagine sottolinea inequivocabilmente che solo il binomio “innovazioni aziendali e benessere degli individui” può generare risultati globali positivi e duraturi. Quindi occhio al clima interno: è un indicatore fondamentale. Il clima va curato e migliorato in continua interazione con i processi di cambiamento e soprattutto nelle fasi più critiche della vita aziendale. Anche risposte organizzative interessanti come orari flessibili, permessi, agevolazioni economiche, pur nella loro estrema utilità rischiano di non migliorare il clima se non incidono poi sulle relazioni interne, sullo stile di leadership, sui processi decisionali, sui sistemi di comunicazione, se non si applicano concreti modelli di empowerment e delega.

Coniugare gli interessi delle organizzazioni con gli interessi delle persone, il più delle volte, significa in realtà conciliare gli interessi delle persone con quello delle organizzazioni, perché il benessere delle persone si trasforma quasi sempre in benessere dell’organizzazione, mentre non è sempre vero il contrario: il benessere delle organizzazioni non significa automaticamente il benessere delle persone, sia come individui che come comunità o territorio. Benessere inteso come dare senso al lavoro, trasformarlo in una dimensione molteplice, variegata, ricca di relazioni positive, di sentimenti, emozioni, esperienze auto-realizzative, ove l’individuo può gratificarsi attraverso la crescita professionale e il raggiungimento delle mete lavorative e soggettive.
Tutto ciò porta un automatico aumento dell’engagement individuale e collettivo verso il raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Ogni anno la rivista americana Fortune elenca le 500 aziende di maggior successo al mondo; ve ne sono di tutti i tipi e settori merceologici, situate in tutti i continenti. Che cosa le accomuna davvero? Non i prodotti, le tecnologie o le strategie di mercato; le accomuna il tipo di rapporto instaurato con i propri dipendenti. La loro eccellenza sta nel modo in cui gestiscono le persone al loro interno, le coinvolgono e ne mantengono viva la motivazione, l’engagement, la passione.

 

Note

[1] Nella seconda metà del 2019 è stata condotta un’indagine qualitativa, mediante interviste e raccolta dati su un campione selezionato di imprese pugliesi, scelte fra quelle più innovative e orientate al change management, i cui risultati di bilancio erano del tutto positivi. La ricerca è stata condotta da un pool di manager, ricercatori e docenti universitari provenienti da: FEDERMANAGER, Istituto di Politica Economica dell’Università di Bari, Istituto di Sociologia della stessa Università, AIF (Associazione italiana formatori), Fondazione MAIEROTTI.

 

Articolo a cura di Vito Carnimeo

Profilo Autore

Esperienza ventennale di direttore del personale in quattro aziende, una esperienza di direzione generale e di amministratore delegato. A lungo consulente direzionale per decine di imprese nell'ambito del cambiamento gestionale, passaggio generazionale. Docente a cattedra per l'università di Bari in Organizzazione aziendale, Gestione del personale, soft skills.

Condividi sui Social Network:

Articoli simili