Mi piace l’immagine di una foresta per descrivere un’azienda che migliora. Perché proprio una foresta? Anche se in quantità impercettibile, praticamente tutti gli alberi crescono inesorabilmente. Ovvio, per qualche motivo, ci sarà una trascurabile percentuale di alberi che ha problemi e che purtroppo seguirà strade diverse: malattia, incendi, smottamenti, deforestazione artificiale; rimane comunque l’idea di un insieme compatto di esseri viventi che cresce e diventa più forte, alto, sano e rigoglioso.
Per migliorare o risanare un’azienda occorre partire dalle radici e far sì che non siano solo pochi a migliorare, men che meno se i pochi ma buoni non stanno alla base o nei reparti chiave dell’organizzazione. Ci sono diversi tipi di aziende che, per loro specifica natura, possono seguire dei processi di miglioramento diversi, con terapie d’urto che spesso vanno bene. In ogni caso mi sento di poter dire che, nella maggioranza dei casi, occorre innescare il movimento dalla base: un pò alla volta, con costanza e metodo, spingendo i progetti importanti senza mai deviare, anche se spesso l’ urgente tende a nascondere l’ importante.
Qual è la ricetta affinchè tutte le componenti dell’azienda diventino loro stesse fonti di miglioramento continuo? Coinvolgimento, trasversalizzazione, condivisione, team building, spirito di squadra, motivazione, gratificazione e via via discorrendo: possiamo riempirci di concetti e metodi di cui la letteratura è ricca: tutti sicuramente ottimi. Ma poi, in pratica, che si fa? Quale albero della foresta crescerà meglio di altri?
Mi piace pensare che, in una moderna organizzazione, un’attenzione particolare, durante la fase di interazione con i candidati, debba esser data nell’ intravvedere nel candidato la propensione, naturale o costruita, a favorire l’avanzamento delle carriere altrui, in particolare dei diretti collaboratori. Spesso mi è successo di “vedere” abbastanza velocemente la soluzione ad un problema oppure un bel miglioramento; in quel momento mi fermo a riflettere: faccio meglio a partire da solo, pensando di accelerare così i tempi, facendomi leader e capo del progetto, o chiedo aiuto a “Mario”, che vive il processo quotidianamente e, chiacchierando al caffè o in mensa, gli illumino la strada facendolo prima consapevole del problema, poi facendogli intravvedere la soluzione?
La pausa caffè termina, qualche giorno passa, ma non mi dimentico della chiacchierata avuta in precedenza. Ebbene, se anche una volta su cinque Mario chiama e mi fa vedere come ha lavorato sul problema, puoi considerare questo un successo personale.
Non sbandierarlo, fa sì che sia Mario a prendersi i meriti: lui aumenterà la sua autostima, migliorerà la sua capacità di risolvere i problemi perché semplicemente avrà più “voglia” di riconoscerli e farsene carico. E’ difficile al momento della selezione capire chi sono i candidati che hanno questa abilità, o se saranno in grado di costruirla. Sicuramente deve essere un obiettivo. La capacità di migliorare l’organizzazione passa anche dal riconoscere quando occorre mettersi in ombra per dare luce ai collaboratori alla base: tu vai dove loro ti portano.
Ecco quindi che il concetto si ribalta: un capo “illuminato” significa allora un capo che illumina gli altri. Un albero che vive sotto l’ombra “protettrice” di un altro, più grande e rigoglioso, sarà sempre vivo, ma non potrà svilupparsi in pieno: sicuro ma soffocato. Il capo si trasforma così in un leader, da illuminato ad illuminante.
Non tutti coloro che sentono di voler e poter sviluppare un miglioramento sono però in grado di formalizzarlo e diventare così dei “nuovi” responsabili di progetto. Più la base è in grado di “vedere” problemi o semplici opportunità di miglioramento, tanto più è importante migliorare il livello di formalizzazione, senza eccedere nella burocrazia: infatti la “carta” prende tempo e contrasta con la natura di molti lavoratori i quali non possono o non pensano di esserne in grado.
Qui il capo illuminante interviene e insegna a formalizzare in maniera chiara, semplice e veloce un piano, definirne gli attori, i tempi, le criticità (senza nominare i percorsi critici), i vincoli, i costi e il ritorno, sia esso in qualità, profitto o entrambi, valutare i risultati, agire con qualche azione correttiva e standardizzare ove possibile. Di fatto abbiamo combinato il PDCA con un pò di 5S
Quando i vostri ragazzi saranno in grado di spiegarvi il report settimanale o mensile, in meno di 10 minuti, con lo stato di avanzamento dei progetti in corso, invece di tergiversare in riunioni in cui si parla di tutto e si dice poco, non la smetteranno mai di ringraziarvi. Specie se le riunioni consuntive sono di venerdi pomeriggio…
I programmi di project management sono sofisticati, oltre a non essere proprio gratis, e possono essere intimidatori nei confronti di che project manager non è. Un chiaro e semplice foglio excel molto spesso può essere quello di cui abbiamo bisogno, anche se sarebbe utile per lo meno standardizzarlo all’interno dell’organizzazione. L’importante è che sia sempre il riferimento e che sia sempre aggiornato.
Articolo a cura di Fabio Bordignon
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