Carenza di Laureati e vantaggio competitivo

Un po’ di storia

Fino agli anni ‘70 del secolo scorso molte professioni si acquisivano nelle botteghe.

I lavori più manuali erano lo sbocco di chi aveva necessità di aggiungere un reddito alle entrate familiari. I ragazzi meno inclini allo studio venivano avviati ai lavori manuali.

Progressivamente, anche professioni che si potevano apprendere senza una formazione specifica vennero “scolarizzate”. L’età di esordio nel mondo del lavoro venne procrastinata trasformando lo studio da diritto ad obbligo.

Quando l’esperienza vale più del titolo

Negli anni ’80 fui assunto come insegnante di “Cultura generale” in una scuola professionale per acconciatori.

I docenti tecnici, proprietari della scuola, erano parrucchieri esperti. Avevano imparato il mestiere a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, quando, nei loro ricordi i “maestri” non accettavano apprendisti sopra i 12 anni!

Un ragazzo con età superiore era considerato troppo vecchio per sviluppare destrezza nell’impiego di pettine e forbici.

Accademia vs. bottega

Nel tempo alcuni percorsi scolastici sono diventati talmente lunghi da prevedere l’esordio professionale a 25 anni o più tardi.

Non c’è alcun dubbio che la scuola fornisca elementi teorici utili, ma un esordio tardivo nel mondo del lavoro ha un punto debole.

Le attività che beneficiano di automatismi, come scrivere su una tastiera, applicare punti di sutura, tirare un pallone nel canestro, scrivere una riga di codice, necessitano di un addestramento precoce. La destrezza di chi impara il pianoforte da bambino non è accessibile per chi si appassiona da adulto allo strumento.

Per quanto il nostro cervello sia relativamente adattabile, l’acquisizione di un automatismo beneficia di allenamento protratto.

I programmi di alternanza Scuola/Lavoro sono un tentativo di colmare il vuoto di esperienza e di pratica, con tutti i limiti e le problematiche che conosciamo.

L’attuale carenza di personale tecnico, particolarmente grave in alcuni settori, pone alle imprese alcune questioni:

Quanto conta un titolo di studio?

Quanto rilevante è l’attitudine individuale?

Mitologia del Laureato Masterizzato

All’inizio del millennio in Italia sbarcò il termine “talento”, veicolato dalla pubblicazione del testo di Buckingham e Coffman “Primo, rompere le regole”.

Non si trattava di una vera e propria novità, visto che il termine deriva da una parabola della Bibbia, ma le imprese si dovettero misurare con la novità.

L’elaborazione del concetto portò in una direzione molto diversa da quella indicata dal testo americano.

Muoveva allora i primi passi in Italia il cosiddetto Human Resources Management. Titoli come HR Director o Human Resources Business Partner volevano comunicare un cambio di direzione rispetto al modello precedente, incarnato dal Direttore del Personale.

Agli specialisti HR fu chiesto, nelle grandi organizzazioni, di disegnare il profilo del “Talento”.

La strada indicata da Buckingham e Coffman prevedeva di individuare le attitudini individuali, le “strade della mente” che fanno la differenza. Per individuare i talenti psico-attitudinali servono percorsi specifici che, per mille motivi, non vennero mai attivati. In alcuni casi furono introdotti generici test psico-attitudinali nel Processo di Selezione, ma senza una declinazione specifica ruolo per ruolo.

L’Identikit del Talento, a partire dalle grandi imprese, fu disegnato su dati facilmente individuabili dal CV: Laurea in prestigiosa università e Master.

I selezionatori valutavano la frequentazione di un Master come segno di eccellenza, che si presupponeva significativo della presenza del potenziale per il ruolo.

Peso dell’esperienza

L’idea che un prestigioso titolo di studio sia predittivo di una prestazione professionale di eccellenza è una convinzione diffusa.

L’esame del percorso scolastico e professionale di un candidato è sicuramente più semplice di una valutazione del potenziale con analisi più raffinate. La tendenza a sopravvalutare la carriera scolastica si è estesa, per osmosi, dai ruoli manageriali ai ruoli tecnici.

Nelle imprese di Information Technology ci si immagina che un laureato in informatica sia meglio equipaggiato di un diplomato in agraria per scrivere righe di codice.

La carenza di tecnici, in molti settori, può essere un’opportunità per rivedere alcune convinzioni. Il modello di Buckingham e Coffman, rimasto fuori dalla porta, è oggi una soluzione per trasformare un problema in un vantaggio competitivo.

Per le imprese che sapranno attrezzarsi, un processo di selezione che individua il potenziale permetterà di ricoprire le posizioni vacanti con candidati che cresceranno rapidamente nel ruolo.

La lettura del CV e il colloquio generico non sono gli strumenti adatti per valutare candidati, né per ruoli manageriali e tanto meno per ruoli tecnici.

Il processo di Selezione, come peraltro già indicato da vari decenni, deve essere disegnato azienda per azienda, ruolo per ruolo.

Come valutare: punti chiave

Metodi appropriati di selezione devono recepire alcuni punti:

  1. la prestazione lavorativa futura dipende dal potenziale ovvero la presenza di attitudini/talenti;
  2. interviste a buon senso portano a valutazioni prive di valore. Analisi che non fanno emergere il potenziale dei candidati portano a scelte peggiori rispetto ad una selezione casuale[1];
  3. il processo di selezione va progettato per individuare le attitudini critiche, ruolo per ruolo
  4. la valutazione dei candidati si basa su test specifici;
  5. L’esperienza pratica del candidato è rilevante nelle professioni tecniche dove bisogna sviluppare destrezza e abilità pratiche.
  6. Il “pezzo di carta”, particolarmente per le professioni tecniche, non ha alcun valore predittivo della futura prestazione.

Conclusioni

Il processo di selezione del personale è critico per individuare candidati con il potenziale per uno specifico ruolo.

Dove sono richiesti automatismi, manualità e destrezza candidati più giovani possono colmare un gap di formazione scolastica.

Esperienza e titoli non garantiscono la presenza delle risorse specifiche per uno specifico ruolo.

Un esordio professionale tardivo può risultare problematico per ruoli tecnici, dove la prestazione di eccellenza passa dall’impiego di strumenti, anche informatici.

Un processo di selezione basato su test, non necessariamente di tipo psicologico, è essenziale per una stima predittiva della futura prestazione.

Un processo di selezione che valuta il potenziale più che titoli e storia professionale rappresenta un vantaggio competitivo nei settori con carenza di mano d’opera.

[1] Sul tema un’esaustiva e documentata trattazione in. D. Kahnemann. “Rumore, un difetto del ragionamento umano” Utet 202.

 

Articolo a cura di Luigi Rigolio

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