Come attirare e trattenere i migliori talenti
Nella mia attività di gestione delle risorse, mi ritrovo spesso a pormi il quesito sollevato nel titolo; e le risposte che ne derivano trovano in una riflessione specifica la loro genesi.
Pubblicare un annuncio di lavoro nel momento del bisogno significa avere la presunzione di selezionare il talento tra tutti coloro che, casualmente, si ritrovano a leggere quello stesso annuncio. Come a voler trovare la donna della propria vita imponendosi come deadline un tempo specifico: le alternative possibili sarebbero tutte dettate dai limiti oggettivi di quello spazio temporale e determinate dalla teoria del caso che governa i vari accadimenti della vita.
La medesima situazione la troviamo nella caccia al talento quando si apre una vacancy non prevista ovvero, anche se l’avevamo prevista, ci ritroviamo con tempi stretti da rispettare che ci impongono di correre aumentando la probabilità di compiere errori. Spesso, infatti, il risultato di medio periodo è un buco nell’acqua.
Credo che per evitare errori – o comunque diminuire le probabilità di compierli – la risposta si trovi proprio nel tempo e nella capacità di potercelo concedere con ricerche continue di talenti, soprattutto nei settori più strategici, al fine di intercettare in maniera proattiva tutti i potenziali candidati “ready to go”, tracciando così un sentiero per gli inserimenti del futuro. In questo modo saremo noi che detteremo il tempo in maniera attiva e non ne subiremo gli effetti passivamente.
Per poter creare tutto questo si deve partire da un buon network e da una persona che possa identificare nell’azienda che bussa alla sua porta, un’entità che come una madre si curi di lei, della sua formazione, del suo sviluppo, in un’ottica di crescita continua fatta di piccoli passi.
I talenti sono, infatti, attratti da organizzazioni nelle quali sia possibile sviluppare e accrescere il loro sapere e il loro “empowerment”, dove sia chiaro il metodo di lavoro, dove ci sia un riconoscimento del merito e dove infine, attraverso autonomia e responsabilità, si possa progredire nella scala gerarchica.
Nessuna organizzazione, nemmeno la più evoluta, può sopravvivere senza un sistema interno capace di riconoscere il talento, premiare i migliori e allontanare i peggiori, che come un virus possono generare danni e corrodere un sistema dall’interno. Se è vero che il principale asset delle aziende sono le persone, è anche vero che quelle “negative” possono distruggerlo come un cavallo di Troia.
Che fare per i talenti rimasti? L’azienda dovrà comunque continuare a vegliare su di loro, facendo sempre lavoro di sviluppo.
Faccio un esempio: chi non ricorda la rimonta del Barcellona qualche anno fa? Doveva recuperare quattro goal al Paris Saint Germain ed è stata capace di farne sei tra le mura amiche. Questo ovviamente non è il risultato di quella partita, ma è il frutto del lavoro della “società blaugrana” negli ultimi quindici anni.
Lavorando bene, gli atleti sono stati capaci di sviluppare il proprio talento trasformandolo in risultati, esprimendo la differenza competitiva verso una squadra ricca di campioni come pure è quella del PSG. Tutto nasce però dal saper riconoscere il “Messi” nella fase di selezione, nel saperlo rendere visibile ai vertici aziendali, nel tener monitorata la sua motivazione e nel remunerarlo correttamente in modo che non ci sia mai disallineamento oggettivo tra il valore reso e il pacchetto economico. Altrimenti il rischio è quello di perderlo.
L’organizzazione aziendale vincente ha quindi l’obbligo di implementare un processo di valorizzazione dei talenti, attraverso programmi di formazione del personale interno ovvero rafforzando le professionalità già esistenti. Le persone rimangono l’unico vero valore aggiunto di un’organizzazione e per aiutarle a sviluppare tutto il loro potenziale devono essere formate, accompagnate, sfidate, accompagnate su percorsi diversi se serve, ma soprattutto premiate quando portano risultati.
Le persone siamo noi: io, tu, l’altro. E possiamo, con l’aiuto delle organizzazioni per le quali lavoriamo, cambiare il mondo del business, giorno dopo giorno, un processo alla volta.
Articolo a cura di Andrea Zirilli
Andrea Zirilli è nato a Roma nel 1975. Dopo la Laurea in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi La Sapienza di Roma, ha iniziato la sua esperienza professionale come responsabile commerciale di Faress Italia nel 2001, per poi entrare nel Gruppo Adecco, la piattaforma leader nei servizi dedicati alla gestione delle Risorse Umane, nel 2003. Dopo diversi incarichi a livello territoriale, di Operations e nel Sales Department, dal 2017 è responsabile del Leading Sales Team come Head of Commercial Partnership & Account management in Italia. All’interno del proprio percorso professionale ha sviluppato attenzione verso le varie sfaccettature della leadership e l’evoluzione del management nelle organizzazioni. Autore di “La mia seconda pelle. Storia di una dipendenza” e di “Just be You. Storia di una rinascita”, è attivo nella sensibilizzazione contro le dipendenze patologiche.