Come ottenere il massimo dalle relazioni
Un mio vecchio amico imprenditore tempo fa mi disse: “Sai, Alessandro, io mi sento perfettamente a mio agio come imprenditore: so pianificare, organizzare, fissare e perseguire obiettivi, vendere, acquistare… Non ho nessun problema con tutto questo. L’unica cosa in cui mi sento debole è nelle relazioni e delego una mia stretta collaboratrice ad occuparsi di questo.” Prontamente, gli risposi: “È una buona cosa che tu ne sia consapevole, ma la realtà è che se non sai gestire le relazioni, non hai un’impresa… è la tua collaboratrice ad averla!”
Non si possono eludere le relazioni, per il semplice motivo che sono sempre gli “altri” i beneficiari di ciò che abbiamo da dare. Questo vale per ogni area della nostra vita. Se un ragazzo ha un problema con il padre, spesso è la madre che cerca di mediare e di “sistemare” le cose. Magari ci riesce anche, ma il rapporto tra padre e figlio non si risolve e, di fatto, è la donna ad avere il controllo in quella famiglia. Magari il padre è colui che provvede al sostentamento della famiglia, che prende le decisioni, che fa la voce grossa… ma la realtà è che se la madre venisse a mancare per qualche motivo, la famiglia crollerebbe.
In azienda non è diverso. Le modalità cambiano, ma non la sostanza.
Può essere delegato quasi tutto, in un’impresa, ma mai la gestione delle relazioni, sia nei confronti dei collaboratori sia all’esterno (clienti, fornitori e altri stakeholders). Ciò detto, come si può potenziare la propria capacità di coltivare sane e forti relazioni in modo sostenibile nel tempo?
Cosa frena le relazioni
Essendo ogni individuo un sistema, cioè una struttura naturale (tutto ciò che esiste e che non sia una creazione dell’uomo è un sistema), intessere relazioni è un’attività del tutto spontanea. Pertanto, ogni difficoltà o disagio a gestire relazioni in modo efficace deriva unicamente da una visione distorta della relazione in quanto tale.
Qui voglio fornire alcuni semplici input per capire cosa accade a livello delle dinamiche, cominciando con ciò che inibisce una relazione sana e solida, attraverso i seguenti tre atteggiamenti.
Chiusura mentale ed emozionale – Così come una tartaruga si ritrae nel suo guscio quando si sente minacciata, allo stesso modo facciamo noi ritraendoci nel guscio della rigidità, dell’intellettualismo, dell’aridità emozionale, dell’opacità, del travestimento sociale e decine di altre cose che hanno il solo scopo di farci sentire meno vulnerabili. La differenza tra noi e la tartaruga è che mentre questa si ritira solo davanti ad un reale pericolo, il nostro sentirci vulnerabili ci induce a restare tappati dentro noi stessi in permanenza.
Il giudizio – La migliore difesa è l’attacco… o almeno, questo è ciò che pensano coloro che indugiano nel giudizio e nella critica. Questo atteggiamento è solitamente riscontrabile in chi non si sente adeguato o all’altezza e ha quindi bisogno di riprendere o sminuire gli altri per guadagnare dei punti con se stesso. Inoltre, “attaccando”, costringe gli altri a mettersi sulla difensiva a loro volta, trascinandoli sul suo campo di gioco. Non è difficile capire come questo comportamento possa non solo inibire, ma anche inasprire qualsiasi relazione.
L’autoreferenzialità – I valori, le convinzioni, i riferimenti interni sono pilastri irrinunciabili per chi sente il bisogno di giocare in difesa. Per questo motivo, ogni cosa (situazione, opinione, proposta, ecc.) viene rapportata a quei pilastri e diventa estremamente difficile e pesante per l’interlocutore sentirsi continuamente sotto esame e valutato sulla base di un suo allineamento – o meno – a quei rigidi riferimenti. L’egocentrismo che sta alla base di questo atteggiamento scoraggia qualsiasi salutare e doveroso scambio di vedute che sta alla base di ogni solida relazione.
Questi tre atteggiamenti, peraltro molto più comuni di quanto si sia disposti ad ammettere, sono assolutamente tossici ed è quindi fondamentale che vengano eventualmente riconosciuti e sradicati. Nessuna leadership può affermarsi o consolidarsi a queste condizioni.
Come potenziare le relazioni
Prima di lanciare un’auto a tutta velocità, occorre avere l’accortezza di togliere il freno a mano. Per questo era importante segnalare innanzitutto i tre atteggiamenti negativi, ma questo da solo non è ovviamente abbastanza per formare relazioni forti. Gli altri reagiscono specularmente a ciò che facciamo. Se ci mettiamo sulla difensiva, come abbiamo visto prima, essi faranno altrettanto. È anche vero, però, che se riusciamo a toccare le loro corde più profonde, risponderanno di conseguenza: è inevitabile.
Una volta corretti i nostri comportamenti controproducenti, occorre “risvegliare” negli altri questa loro naturale propensione a dare del loro meglio a beneficio dei contesti in cui operano.
Ecco alcuni fronti su cui lavorare.
- “Sfidare” le persone – Poiché crescere è il fine ultimo e comune di ognuno di noi, le persone reagiscono positivamente quando vengono sfidate a fare o dare di più: questo è un fatto che nessun leader (a qualsiasi titolo) può ignorare. Tuttavia, occorre procedere con molta sensibilità perché non tutti si trovano sullo stesso piano di crescita e spingerle a fare ciò per cui non sono ancora pronte verrebbe interpretato come sfruttamento. Anche in questo caso, però, non si dovrebbe rinunciare a proporre delle piccole sfide che sono in grado di affrontare.
- Iniettare fiducia – Tutti vogliono più di ciò che hanno, ma non tutti credono di poterlo avere e questo crea un enorme disagio in molte persone che, per questo motivo, da una parte vorrebbero affrontare nuove sfide, ma alla fine vi rinunciano. Qui il leader può fare la differenza quando “punta” su un suo collaboratore (o “discente”) manifestandogli piena fiducia. A sua volta, quest’ultimo si sentirà spronato a fare del suo meglio, all’inizio perfino più per il suo leader che per se stesso. Niente crea un legame più potente che iniettare fiducia negli altri!
- Spingere ad ambire di più – È la fusione dei precedenti due punti… con qualcosa in più. Chi si accontenta non è mai perché è davvero soddisfatto (da non confondere con l’essere grati) di ciò che ha, ma perché ritiene di non potere e, spesso, nemmeno di meritare di più. Un leader deve aiutare queste persone a sfondare questa gabbia mentale distruttiva, prospettando loro nuovi orizzonti e possibilità: non per un proprio tornaconto e nemmeno per il bene dell’azienda o altro organismo, ma per il loro esclusivo beneficio. Il resto viene da sé.
- Servire i collaboratori – La più grande differenza tra una visione meccanicistica ed una sistemica del business è che la prima ricerca il risultato “aggredendo” la situazione per girarla a suo favore; la seconda crea le condizioni affinché i risultati si manifestino spontaneamente. Molti imprenditori vedono spesso le loro risorse umane come strumenti per ottenere ciò che vogliono, quindi li “usano”… e i collaboratori lo sentono. Se però si ribalta questo paradigma, dov’è il leader a mettersi a disposizione dei suoi collaboratori, non è difficile intuire dove questo possa portare.
- Assumere un atteggiamento “duale” – Essere un leader efficace non significa essere un bonaccione: in effetti, non gli deve nemmeno sfiorare l’idea di essere “buono”. Viviamo in una realtà duale, dove per qualsiasi cosa esiste un opposto. Questo è ciò che le conferisce dinamicità e questo è ciò che permette l’evoluzione (la crescita) di ogni cosa, azienda compresa. Per questo motivo, un leader deve saper calibrare e somministrare input e comportamenti desiderabili (piacevoli) ed indesiderabili (disagevoli) per far crescere i suoi collaboratori.
- Proporre uno scopo più alto – Solitamente, gli obiettivi aziendali sono esclusivamente di tipo economico, ma se quello è il livello in cui si opera, sempre a quel livello risponderanno i collaboratori ed è inutile poi appellarsi alla lealtà aziendale quando il collaboratore di turno decide di abbandonare la nave. Un leader deve saper instillare nei cuori delle persone l’idea che ciò che stanno facendo è per uno scopo più alto di loro, di cui ne fanno parte a pieno titolo. Certo, ci deve poi essere anche un riconoscimento economico, ma non dev’essere mai quello il focus.
Le relazioni si rafforzano, ovvero si indeboliscono, nella misura in cui si aderisce o meno alle leggi dei sistemi, a cui sottostanno anche i mercati, l’economia o la psicologia. I punti elencati sono semplici e diretti e chiunque può attuarli nella propria realtà. La sola difficoltà sta nella disponibilità a cambiare paradigma, cioè quel modello manageriale (in questo caso) che abbiamo seguito per decenni e che ci sembra l’unico possibile.
D’altra parte, cambiare paradigmi è il pane quotidiano di ogni leader che si rispetti.
Se t’interessa approfondire l’argomento sulle Relazioni, martedì 23 ottobre 2018 terrò un webinar gratuito dal titolo: “Le Relazioni: il ‘cuore’ dell’Intelligenza Sistemica” a cui sei invitato/a.
Se vuoi saperne di più, clicca sul seguente link: https://goo.gl/8AYAxR
Se vuoi saperne di più su questo argomento o su altri temi che riguardano le dinamiche dei sistemi, puoi consultare i seguenti libri:
- I 5 principi del successo aziendale – A. Carli, ed. Franco Angeli – 2003
- E la borsa e la vita! – A. Carli, ed. Franco Angeli – 2008
- La Quinta Disciplina – Peter M. Senge, ed. Sperling & Kupfer – 2006
- La leadership centrata sui principi – Stephen R. Covey, ed. Franco Angeli – 2009
- Leadership e visione creativa – Robert Dilts, ed. Guerini Next – 2016
oppure puoi consultare il mio sito che è ricco di risorse che vertono su questo tema:
Articolo a cura di Alessandro Carli
Alessandro Carli è un trainer e coach italocanadese che da trent’anni opera nel settore del personal development.
Durante questo arco di tempo ha avuto modo di lavorare molto da vicino con qualche migliaia di persone tra imprenditori, dipendenti, privati e studenti, che gli ha permesso di farsi un’idea piuttosto chiara sul funzionamento della realtà in cui tutti operiamo, individuando degli schemi che si ripetono nei diversi contesti delle nostre vite.
Dal 2012 si è dedicato allo sviluppo di un vero e proprio “studio” che riguarda le dinamiche dei sistemi, che ha poi codificato nella cosiddetta Intelligenza Sistemica. Applicata al coaching e/o alla formazione in senso lato, questo studio può consentire a chiunque di scendere alla radice delle problematiche che ci troviamo tutti ad affrontare quotidianamente e risolverle a quel livello.