Che si tratti di skill gap, carenza di competenze, reskilling o upskilling, una cosa è certa: è difficile ignorare la crescente ansia legata alla rilevanza sempre maggiore delle competenze, o skill, e all’estremo senso di urgenza per crearle il più velocemente possibile. Al giorno d’oggi, i dipendenti si chiedono come continuare a essere competitivi in termini di competenze e come superare la paura di non essere al passo con le nuove skill richieste. Inoltre, temono di essere messi da parte in caso non diano priorità a questo aspetto.
Secondo l’analisi dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, una delle principali difficoltà per le organizzazioni in Italia sta nell’individuare le competenze che saranno necessarie nei prossimi 3-5 anni per pianificare in maniera strategica le attività di riqualificazione, fondamentali per garantire l’impiegabilità futura delle persone e il successo del business.
I timori sulle competenze, dunque, sono evidenti a livello collettivo: come è emerso dal Global Skills Report 2022, le organizzazioni e i dipendenti continuano a considerare lo sviluppo delle skill un aspetto sempre più importante per il loro futuro comune. Attualmente, si registra un’incertezza generalizzata su come strutturare i giusti programmi di competenze, come garantire che le organizzazioni dispongano del giusto budget e quali siano gli strumenti e i sistemi corretti da utilizzare.
Se è vero che per essere sempre competitivi e innovativi è fondamentale possedere le giuste competenze, questa sorta di panico, comprensibile ma ampiamente diffuso, fa sorgere una domanda spontanea: si sta davvero delineando all’orizzonte una grave crisi delle competenze?
Tale ansia non è completamente fuori luogo, perché segnala la consapevolezza di doversi preparare per il futuro. Porsi domande è già un segno di proattività e aiuta le aziende ad adattarsi alla forza lavoro di domani. Tuttavia, è necessario chiarire a livello collettivo che non c’è nessuna “apocalisse delle skill” in agguato dietro l’angolo. Lo sviluppo di competenze non è una novità, bensì avviene da oltre un secolo. Infatti, il reskilling risale al XX secolo, quando è iniziata l’automazione delle linee di produzione. Gli operai nelle fabbriche dovevano imparare a utilizzare i nuovi macchinari, ripararli e gestire più rapidamente la produzione, acquisendo e consolidando altrettanto rapidamente le competenze necessarie a svolgere tali mansioni.
Il fatto è che lo sviluppo di competenze organizzate è fondamentale per molti settori, dal comparto manifatturiero a quello militare. Dunque, anziché permettere all’ansia di infondere paura, perché non ribaltare la prospettiva e trasformare la necessità in un’opportunità? Grazie a best practice collaudate, tecnologie emergenti e sete di conoscenza si potrà procedere a vele spiegate.
É necessario applicare il framework fondamentale che le aziende utilizzano da anni e fare un passo alla volta, esaminando i singoli fattori di successo di un’azienda che ha come priorità le competenze del suo personale per capire in quale ordine procedere. Secondo Deloitte, i quattro principi su cui deve basarsi un’azienda skills-led sono i seguenti:
Tenendo presente questi principi, è possibile affrontare a piccoli passi tutto il talent journey e, nel tempo, utilizzare i suddetti dati per continuare a perfezionare e ampliare i programmi di sviluppo di competenze all’interno delle organizzazioni. Secondo McKinsey, le aziende devono iniziare dagli obiettivi più facilmente raggiungibili, ad esempio focalizzandosi sulle competenze già durante la fase di recruiting. Come? Ripensando gli annunci di selezione del personale e segnalando le competenze di cui l’organizzazione ha bisogno piuttosto che i requisiti accademici. Un’altra idea è dare priorità agli obiettivi basati sulle skill nella gestione delle performance e tracciare il livello di competenze negli abituali cicli di review.
Comprensibilmente, tale trasformazione può sembrare più facile a livello teorico e non pratico. Come evidenziato dal già citato Osservatorio HR Innovation Practice, le Direzioni HR ricoprono un ruolo chiave nel far evolvere le professionalità e le competenze, ma il supporto oggi non è sempre soddisfacente: in Italia solo il 48% delle persone dichiara di avere a disposizione strumenti e tecnologie adatte ad aggiornare le proprie competenze in maniera adeguata.
Lo stesso framework di sviluppo delle competenze utilizzato da decenni vale ancora oggi. La differenza, tuttavia, tra gli operai delle fabbriche del XX secolo e la forza lavoro di oggi è che, adesso, è possibile contare sull’intelligenza artificiale. L’AI è in grado di utilizzare i dati riguardanti i dipendenti, analizzare quelli relativi alle skill all’interno dell’azienda e individuare le caratteristiche del personale, le competenze disponibili e quelle da acquisire, tenendo conto anche dei profili professionali che serviranno in futuro. L’AI può, quindi, aiutare le persone a trovare i contenuti formativi di cui hanno bisogno per colmare gli skill gap.
Mentre l’AI spiana la strada, gli approcci testati sul campo possono aiutare a mettere in atto un piano in materia di competenze in caso di timori, incertezze o dubbi legati alla realizzazione della strategia ottimale. I passaggi collaudati includono:
Grazie a questi metodi affidabili, a risorse nuove e innovative e alla grande esperienza collettiva, le aziende saranno in grado di superare senza problemi qualsiasi incertezza o ansia legata alle competenze. Il mondo può cambiare e i luoghi di lavoro continueranno a subire notevoli trasformazioni, ma basta imparare dal passato e guardare al futuro per capire che non non c’è nessuna apocalisse in arrivo.
Articolo a cura di Federico Francini
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