Competenze digitali e strategie di crescita con i servizi

Il contesto

La pressione competitiva cresce per effetto della globalizzazione dell’economia. Di conseguenza, si riducono i prezzi e le marginalità dalla vendita di nuovi prodotti. Al contempo, per l’impresa manifatturiera diventa sempre più sfidante soddisfare le mutevoli aspettative dei clienti. Aumentano infatti le richieste di nuovi contenuti tecnologici e si pretendono migliori esperienze d’uso del prodotto. Al contempo, si accorciano i time-to-market dei nuovi prodotti. Tutto questo pone seri interrogativi rispetto alla sostenibilità e alle chance di successo dei tradizionali modelli di business prodotto-centrici. Per rispondere a tutte queste sollecitazioni, molte imprese hanno scelto di potenziare l’offerta di servizi e soluzioni integrate prodotto-servizio.

Una strategia di crescita con i servizi (servitization), se ben attuata, può abilitare un vantaggio competitivo significativo, può concorrere alla fidelizzazione del cliente, alla differenziazione dell’offerta dai concorrenti e alla stabilizzazione di flussi di cassa. Queste trasformazioni sono però complesse, e richiedono tempo e committment da parte della direzione. Un ruolo fondamentale è svolto dalle nuove tecnologie digitali, oggi accessibili e alla portata di tutte le aziende, anche delle PMI.

Nel prosieguo, ci interroghiamo quindi su quanto l’introduzione di nuove tecnologie per favorire la trasformazione dei modelli di business delle imprese industriali stia modificando il modo di lavorare, le esigenze di formazione e le competenze del personale.

Il problema

Per abilitare le summenzionate trasformazioni, le imprese devono imparare a padroneggiare nuove tecnologie, quali il Cloud computing, l’Industrial Internet, i Big Data. La sfida consiste nello sviluppo di nuovi saperi e abilità.

Stephanie Carretero, Scientific Officer del Joint Research Centre della Commissione Europea, ha ribadito quanto questi temi siano rilevanti nell’agenda degli interventi dell’Unione Europea. Durante uno speech tenuto in seno al XIV Convegno Nazionale dell’ASAP Service Management Forum (www.asapsmf.org), la dottoressa Carretero ha illustrato le raccomandazioni che arrivano proprio dalla UE, e gli stimoli che il sistema educativo comunitario deve recepire per la formazione delle cosiddette “competenze digitali”.

L’Unione Europea ha appositamente elaborato dei modelli di riferimento (ad esempio, il DigComp), per la valutazione delle conoscenze e delle abilita digitali di lavoratori e cittadini. Dagli studi emerge un quadro preoccupante: il 45% della popolazione europea dispone di competenze digitali ridotte, il 26% non ne possiede affatto. Questi dati spiegano perché molte aziende (+40%) hanno difficoltà a trovare candidati con profili di competenze adeguati ai bisogni di innovazione e trasformazione digitale. Questo mismatch risulta critico per lo sviluppo economico di lungo periodo. Ogni iniziativa destinata a mitigare e risolvere queste problematiche è quindi prioritaria, anche per il Governo Italiano, che con la nuova legge di stabilità ha destinato importanti finanziamenti per la formazione digitale.

Per colmare il divario è cruciale identificare quali siano le figure professionali più ricercate dalle imprese, quali siano le competenze che ciascuna figura deve possedere, come sia possibile riqualificare il personale, piuttosto che reclutare giovani con l’adeguato skillset.

Per rispondere a questi interrogativi è stata lanciata un’indagine che ha coinvolto le imprese della community dell’ASAP. Di seguito si illustrano i risultati preliminari della ricerca[1], che è stata sviluppata in due fasi:

  1. Una serie di interviste strutturate a CEO, HR e Service Manager di 14 importanti realtà multinazionali;
  2. Una round table con CEO e HR di 5 aziende leader nei rispettivi settori.

Evidenze preliminari della ricerca

Servitization e Digital Transformation sono oggi visti da tutte le aziende intervistate, come pilastri su cui sviluppare la propria strategia, innovare il proprio modello di business e ridefinire gli attuali vantaggi competitivi. In questo nuovo scenario economico-produttivo, analizzare e stabilire le competenze chiave per il futuro è visto come elemento inevitabile per la competitività delle imprese.

Allo stesso tempo, non sorprende quindi che proprio l’assenza di competenze allineate con i nuovi fabbisogni, rappresenti oggi l’ostacolo principale per le imprese per intraprendere con successo questa trasformazione.

Secondo l’indagine sono 4 i pilastri da sviluppare.

Le competenze chiave per la trasformazione digitale dei servizi

Oltre alla capacità di gestire, analizzare, elaborare, interpretare i dati – competenze che tipicamente caratterizzano la figura del data scientist – è emerso che per meglio supportare la trasformazione digitale verso i servizi le aziende necessitino di figure con la capacità di creare e ideare contenuti e soluzioni digitali (anche partecipando a progetti di sviluppo applicativo e di software), di figure con il giusto appetito per l’innovazione, in grado di catalizzare l’attenzione verso le nuove tecnologie, di valutare rischi e opportunità, di supportare i progetti di introduzione. Infine, le soft skills: la capacità di comunicare, spesso in inglese dato il contesto sempre più internazionale e globale, l’attitudine al lavoro in team, la leadership e l’orientamento ai risultati.

Per quanto attiene ai ruoli, ne sono stati indicati otto, che i manager intervistati ritengono più fondamentali di altri per favorire il cambiamento organizzativo e la trasformazione digitale dei servizi. Si tratta di ruoli in linea con le competenze di cui sopra: in particolare il data scientist e l’esperto di cybersecurity, per il primo pilastro (data management). Il Service Architect (progettista di servizi digitali) e l’esperto di comunicazione digitale (social, canali interni ed esterni) per il secondo pilastro (digital creativity), e altri ruoli a supporto della innovazione guidata dalle tecnologie, e della gestione (con orientamento al successo) dei processi e progetti di trasformazione.

Chiarite competenze e ruoli, la ricerca ha voluto approfondire come le aziende si stanno organizzando per sviluppare tali competenze in-house (formare, riqualificare, potenziare).

Infatti, per le aziende intervistate, sapere gestire la riqualificazione delle persone, che possono continuare a rappresentare un valore aggiunto se e solo se opportunamente coinvolte e (ri)formate. In questo senso, l’indagine ha mostrato come esistano oggi specifici percorso di formazione, volti ad introdurre il digitale in azienda e nel service, elemento chiave per il governo della digital servitization. Ad esempio, sono sempre più comuni, esempi dove anche il tradizionale e specialistico personale tecnico, sempre più spesso dotato di nuove tecnologie utili per erogare e comunicare l’esito del processo di assistenza, viene coinvolto in corsi di formazione che riguardano aspetti digitali (utilizzo tool, linguaggio digitale, sicurezza dati, …), soft (comunicazione, relazione cliente, critical thinking, …) e di business (es. marketing, statistica, economia, …). Le aziende intervistate sono però concordi nel vedere la riqualificazione del personale, per quanto importante, non sufficiente: per cogliere appieno le opportunità della trasformazione in atto è necessario che le aziende investano anche nell’acquisire nuovi talenti che siano in grado di ricoprire ruoli, quasi inesistenti fino a pochi anni fa.

Di questi aspetti si è trattato proprio nel secondo step della ricerca, attraverso la tavola rotonda alla quale hanno partecipato Roberto Montaruli, General Manager di Stilmas; Magda Pagetti, direttore risorse umane di CGT; Ida Sirolli, Head of Education and Communication di TIM; Mauro Trucchia, Direttore HR di Canon Italia, e Francesco Turrini, Amministratore Delegato di Men At Work.

L’esposizione dei risultati della ricerca sulle nuove competenze è stata subito integra dalla riflessione più ampia di Turrini, che ha voluto lanciare un segnale di allarme. Se è pur vero che per la trasformazione digitale le competenze richieste sono quelle indicate, le aziende – e in particolar modo le PMI industriali dell’area centro-nord soffrono oggi di penuria di ruoli tecnici (periti, ingegneri) da impiegare nelle attività produttive: progettazione, gestione dei processi di fabbricazione, acquisti, logistica. Secondo Turrini questo è il primo problema da risolvere.

Di come la digital servitization stia effettivamente avendo impatti radicali sulle imprese, ne ha parlato Trucchia. Infatti, anche un’azienda come Canon è oggi in forte trasformazione, specialmente nel mercato consumer, dove l’avvento di videocamere sempre più performanti a bordo dei comuni smartphone ha cannibalizzato le vendite di video e foto camere di gamma medio-bassa. Per questo motivo, non solo nel contesto B2C, il modello di business di Canon è in forte evoluzione, e per supportare questa trasformazione sono state create delle nuove divisioni – come ad esempio la divisione BIS, Business Information Services – che hanno il compito di mettere a terra tutte le opportunità di vendita di prodotti e servizi digitali. Canon ha quindi demandato a queste nuove business units la definizione delle competenze digitali che sarà necessario sviluppare per il business del futuro mettendo al centro le persone. In questo senso, Canon rappresenta un esempio virtuoso di Formazione Continua: il sistema è molto sofisticato, ed è centrale ad ogni progetto di cambiamento. Oggi infatti, ogni dipendente – insieme al proprio responsabile/tutor – deve progettare il proprio percorso di crescita, facendo combinare il proprio interesse con quello dell’azienda. Questo presuppone l’auto-responsabilizzazione dell’individuo, a cui l’azienda delega le decisioni più importanti in materia di crescita e futuro professionale. Non tutti però sono pronti ad assumere questo ruolo.

Un’azienda che ha subito una radicale innovazione del modello di business è CGT, che ha intrapreso un percorso di servitizzazione già a metà anni novanta. Magda Pagetti però ha illustrato come le nuove tecnologie stiano effettivamente continuamente rivoluzionando i servizi erogati da CGT. Per questo CGT ha avviato recentemente una business unit digitale, e sta lanciando un’app dedicata al noleggio di mezzi, dove cliente può noleggiare una macchina e il venditore può fornire il servizio al cliente, indicando la disponibilità delle macchina (dove si trova, in quanto tempo sarà pronta, etc.). Tuttavia questi nuovi progetti necessitano anche di nuove competenze che CGT sta tentano di sviluppare internamente attraverso un duplice piano di acquisizione talent e reverse mentoring.

Infine Montaruli di Stilmas ha evidenziato che anche le aziende di piccole-medie dimensioni non possono più oggi sottrarsi alla digital servitization. Soprattutto per questo tipo di aziende, secondo Montaruli, l’Università ha l’obbligo di agire, come effettivo supporto alle imprese, favorendo il trasferimento di metodi e conoscenze per guidare le trasformazioni in atto.

Oggi quindi, non basta saper etichettare i trend tecnologici e le principali applicazioni digitali, nominare con scioltezza le sigle tecniche, decantare i benefici di una specifica applicazione digitale o essere addestrati al suo utilizzo per sviluppare nuove offerte prodotto-servizio. Serve un autentico nuovo processo di individuazione, acquisizione e formazione per sviluppare con successo la digital servitization. Serve infatti poter creare in aziende non solo la conoscenza tecnica delle nuove tecnologie ma anche la consapevolezza delle precondizioni di utilizzo e dei potenziali effetti collaterali delle nuove tecnologie, analizzando e gestendo le implicazioni organizzative e, soprattutto, strategiche che ne possono derivare.

[1]La ricerca è tutt’ora in corso. Per chi fosse interessato a saperne di più o a partecipare, maggiori dettagli a: http://www.asapsmf.org/competenze-per-la-digital-servitization/

A cura di: Federico Adrodegari*, Theoni Paschou*, Nicola Saccani*, Mario Rapaccini**

*Laboratorio di ricerca RISE – Research & Innovation for Smart Entrerprises – Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale, Università di Brescia – www.rise.it

** Laboratorio di ricerca IBIS – Dipartimento di Ingegneria Industriale, Università degli Studi di Firenze

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