Comprendere e definire la Personalità: una teoria per imprese e organizzazioni

Il termine personalità ha una lunga storia ed è stato trattato da tantissimi autori, in vari contesti.

Il tema è tanto ampio quanto importante per imprese e organizzazioni.

Origine del termine, definizione e perimetro

“Persona” in latino significa maschera, il volto di cartapesta o di legno che copre il volto dell’attore del teatro o del figurante dei riti ancestrali.

La Personalità è ciò che di noi appare agli altri. Chi ride facilmente, comunica apertamente il proprio pensiero, canta volentieri è estroverso. Al contrario l’introverso non manifesta facilmente il proprio pensiero, preferisce tenere nascoste le proprie emozioni.

Non necessariamente un introverso è più intelligente di un estroverso né un estroverso più creativo di un introverso.

La prima impressione, che coglie alcuni dettagli della “maschera” ci dice pochissimo di ciò che potrà essere messo a frutto in un ruolo operativo. Per questo una comparazione fondata delle competenze professionali di un cuoco estroverso rispetto alle competenze di un cuoco introverso va fatto osservando la prestazione e assaggiando il prodotto piuttosto che tramite le prime impressioni.

È assodato dunque che ci sono caratteristiche individuali, fortemente percepite nelle interazioni, che non correlano con la prestazione.

Il termine Personalità ci aiuta a circoscrivere ciò che è rilevante nelle dinamiche interattive e irrilevante per la prestazione.

Nel contesto di impresa un modello che discrimini con ragionevole chiarezza le risorse rilevanti per la prestazione professionale è utile per:

  • ridurre gli errori nei processi HR, in particolare:
    • la valutazione dei candidati nel processo di selezione,
    • la valutazione della performance (Performance Appraisal);
  • nel migliorare il lavoro di squadra (Teamwork),
  • per lo sviluppo dei Manager nel ruolo di supervisori (Coaching),
  • prevenire o gestire la maggior parte dei conflitti improduttivi.

Personalità, “prima impressione” ed errori di valutazione

Le ricerche dimostrano gli umani giudicano chi incontrano a partire dalle prime impressioni, anche nei contesti professionali[1].

Uno studio condotto sulla relazione medico-paziente ha mostrato che la diagnosi è fortemente condizionata da ciò che il paziente dice nei primi minuti della visita. Anche ove emergono elementi che contraddicono chiaramente la prima ipotesi raramente la diagnosi viene modificata nella seconda parte della visita[2].

Questa informazione ha forti implicazioni per tutti i processi HR, a partire dalla selezione del personale ove l’impatto confondente dovuto alle “prime impressioni” è altissimo.

Ciò che avviene quando due persone si incontrano è prevalentemente un’interazione tra personalità, per cui è altamente probabile che nei primi minuti di un colloquio tra selezionatore e candidato non emergano informazioni critiche per prevedere la performance di lungo periodo.

Un selezionatore non preparato è sicuramente inconsapevole dell’influenza che possono avere le informazioni irrilevanti che catturano l’attenzione nelle prime fasi di un’interazione; gli errori di valutazione sono la norma ove il valutatore non sappia distinguere i tratti di personalità dalle risorse che impattano sulla prestazione.

Il modello proposto dunque mira a ridurre rischi di inefficienze rilevanti per l’economia di un’impresa.

La Personalità come fattore confondente: l’impatto sulla valutazione

La Personalità, proprio in quanto chiave della dinamica interattiva, è il principale fattore confondente nelle valutazioni della performance.

Ove non ci sia la capacità di classificare correttamente le risorse individuali, dipendenti che mettono in discussione, anche in modo civile e costruttivo, le decisioni dei capi patiscono conseguenze negative nelle valutazioni e nelle scelte.

I supervisori possono percepire come inaccettabili punti di vista che, se opportunamente trattati, possono portare vantaggi all’organizzazione; l’interazione problematica tra personalità porta a enormi danni per le imprese, per le persone e per la società umana (community). Eccellenti professionisti vengono espulsi dai processi produttivi, con tutte le conseguenze del caso.

Un’organizzazione che voglia migliorare l’efficienza deve prevedere programmi di istruzione per il personale che effettua valutazioni dei dipendenti, in quanto l’interpretazione delle interazioni problematiche impatta enormemente nei processi HR.

Modelli interpretativi utili nel contesto di impresa

I modelli descrittivi della Personalità sono reperibili in vari contesti, particolarmente in Psicologia e Psichiatria. Si tratta di teorie che non nascono per supportare la gestione organizzativa, per cui necessitano di semplificazioni per essere tradotti nei contesti professionali, ove è necessario soprattutto comprendere la rilevanza della Personalità come fattore confondente nelle valutazioni.

I modelli più adatti allo scopo sono quelli che migliorano la lettura dei casi piuttosto che quelli che mirano a correggere le disfunzioni comportamentali.

Tra i tanti possibile proponiamo 3 modelli che ha senso approfondire nel contesto organizzativo, dove manager e specialisti HR sono chiamati a valutare la performance professionale piuttosto che manipolare le interazioni e tantomeno ad improvvisarsi terapeuti. Di seguito le mie sintesi personali che non hanno pretesa di scientificità né di fedeltà all’originale.

1) Psicanalitico di matrice freudiana

L’impianto freudiano ha generato la terminologia ancora oggi in uso per descrivere i tratti individuali che possono risultare problematici o patologici.

Tratto Comportamento tipico

Fobico Evitamento

Ossessivo Rituali di controllo

Sadico Punire, provocare dolore

Masochistico Bisogno di essere punito, sottovalutato

Anale Conservare, di accumulare, comprare

Orale Bisogno di introiettare, di acquisire

Narcisistico Bisogno di sedurre

Paranoide (o interpretativo) Individuare nemici, complotti

Evitante Paura del confronto e dei conflitti

Passivo/Aggressivo Subire fino al limite per poi esplodere.

La psichiatria vede nei disturbi mentali una questione di grado. Ad esempio chi soffre di un disturbo ossessivo ha una necessità abnorme di controllare che si traduce in procedure di evitamento dei pericoli. Nascono così rituali e comportamenti compulsivi che non permettono di uscire di casa, di salire in ascensore, di calpestare righe tra le piastrelle.

In particolare per la psichiatria americana la patologia inizia ove l’individuo perde la capacità di svolgere una vita normale.

Chi soffre di una sindrome psichiatrica[3] non è in grado di integrarsi in un team, di giungere al lavoro in tempo, di affrontare con equilibrio un periodo di stress.

La funzione HR, tramite il traininge la consulenza, può supportare manager e dipendenti nella lettura di situazioni[4] che, senza un’adeguata interpretazione, potrebbero essere male interpretate. Ad esempio un calo nel tono dell’umore (distimia, depressione) può essere interpretato come demotivazione.

Oltre all’interpretazione c’è il tema dell’integrazione del lavoratore con disabilità di origine psichica, che può avvenire solo in un contesto ove le persone siano preparate ad interagire in modo appropriato. In un mondo ove regna l’ideologia della diversità come ricchezza, bisogna anche favorire la cultura dell’integrazione.

2) Analisi psicologica di origine Junghiana[5]

Lo psicanalista svizzero sviluppo’ il concetto di energia psichica, osservando le marcate differenze tra gli individui che veicolano l’energia dall’interno all’esterno (estroversi) e quelli che veicolano l’energia verso l’interno (introversi). Anche l’oggetto investito è diverso da persona a persona, visto che alcuni convogliano l’energia nelle relazioni affettive, altre nell’azione, altri ancora nel pensiero analitico o creativo.

Questo modello, combinato con la teoria del talento, aiuta a discriminare ciò che un individuo ama fare dal potenziale reale.

Ad esempio chi ama riflettere non è necessariamente eccellente nell’analisi, così come chi ama cantare, se stonato, non è adatto ad una carriera musicale.

3) Modello dell’orientamento

Ho avuto il piacere di essere formato a questo approccio da personale dell’Esercito Italiano, che lo ha sviluppato nei contesti di crisi tipici delle missioni internazionali. Nella loro esperienza le persone si distinguono sulla base di ciò che la loro mente percepisce come rilevante tra: compiti, persone, ostacoli, regole. Ne nascono quattro categorie di persone:

Orientate al compito (castori)

Stanno bene quando hanno davanti a loro compiti da svolgere, materiali e attrezzi. Faticano ad organizzarsi in quanto non riescono a staccarsi dal compito per cui spesso non si presentano spontaneamente ai training teorici. Tendono ad abbandonare organizzazioni ove il lavoro è scarso. Oltre un certo livello di caos organizzativo perdono la direzione. Entrano in conflitto con le persone orientate ai problemi.

Orientate ai problemi (dannati della terra)

Vedono nel mondo soprattutto ostacoli, problemi, guai in arrivo. Riescono a vedere il problema anche nelle opportunità, ed è inutile rassicurarli, meglio condividere e prendere in carico il loro punto di vista. Mantengono la prestazione anche in contesti altamente caotici. Quando la nave affonda sono gli ultimi ad abbandonare il posto assegnato in quanto per loro la nave sta sempre per affondare. Vengono solitamente sottovalutati. Entrano in conflitto con le persone orientate al compito.

Orientati alle regole (Ricci di mare)

Si sentono sicuri in contesti normati da regole e procedure (come i ricci sullo scoglio). Sono in difficoltà nell’emergenza/urgenza, in quanto hanno sempre bisogno di seguire una linea guida approvata. Se consultati fanno riferimento alle procedure. Entrano in conflitto con le persone orientate alle persone.

Orientati alle persone (Camaleonti)

Si adattano a chi hanno di fronte, accettandone il punto di vista. Faticano a difendere la propria posizione, e non amano il conflitto. La loro facilità relazionale spesso li conduce a carriere commerciali, anche ove non abbiano i talenti adeguati. Vengono frequentemente sopravvalutati. Entrano in conflitto con le persone orientate alle regole.

Il modello dell’orientamento è funzionale all’interpretazione dei conflitti cronici, improduttivi, inestirpabili. Nei casi ove le incomprensioni, le antipatie e le incompatibilità individuali nascono da modi radicalmente diversi di vedere il mondo non c’è soluzione.

Un team che vuole svilupparsi deve prevedere la presenza di persone con orientamento diverso, ciò che spiega come il conflitto non sia estirpabile in un gruppo performante. Antipatie e contrasti sono assolutamente compatibili con un clima di fiducia, che dipende piuttosto dalla capacità del Management di generare una prospettiva piuttosto che dal lavoro pacificatore del personale HR.

Le dinamiche problematiche e i conflitti

Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi.
Eraclito di Efeso, sec. VI a.C.

Se le dinamiche problematiche derivano dalle interazioni tra Personalità, che è un lato poco modificabile degli individui, puntare all’azzeramento del conflitto è inutile e costoso.

Inutile in quanto le interazioni problematiche sono endemiche ed ineliminabili a meno di repressioni autoritarie che eradicano le espressioni di dissenso. Il prezzo da pagare è l’isolamento della Leadership e la riduzione dello scambio informativo tra i piani della gerarchia.

Costoso in quanto il conflitto è essenziale alla sopravvivenza di un’organizzazione, soprattutto quando compreso e gestito. A questo proposito, la diversità è una risorsa in quanto il dissenso porta valore. C’è molto accordo in letteratura su questo punto ma sono necessari forti investimenti in cultura perché il management di un’organizzazione impari a trasformare obiezioni e conflitti in occasioni di sviluppo del Business[6]. Bisogna infatti generare consapevolezza[7], in modo che i Capi siano in grado di accettare le obiezioni[8]. Bisogna anche intervenire sulla comunicazione per diffondere la capacità di estrarre valore dalle interazioni problematiche.

Personalità e processi HR: implicazioni etiche

Quale uso possiamo fare delle informazioni relative ai tratti della personalità, accertato che non sono rilevanti ai fini della prestazione quanto le capacità, i talenti, le conoscenze? Abbiamo diritto di descrivere e trattare informazioni così personali?

Nei fatti sono molto maggiori i danni derivanti dalla negazione dell’argomento rispetto a quelli che nascono dall’eccesso di indagini.

Comunque, poiché tra Personalità e altre risorse individuali non esistono confini chiari la strada più etica ed economica è la crescita culturale, compatibile con il rispetto delle persone in difficoltà e con la tutela delle informazioni personali.

La crescita culturale sul tema permette di migliorare i processi fondamentali della Gestione del Personale, in particolare la Selezione e lo Sviluppo, incentrati sulla valutazione delle risorse individuali. Anche ove siano in uso algoritmi semi-rigidi come i sistemi di Performance Management (o Performance Appraisal) grandi benefici possono derivare da una migliore capacità di individuare le risorse che generano la prestazione.

 

Note

[1] Mark Rowh, First impression count. American Psychological Association Magazine 2012

[2] Olga Kostopoulou, PhD, Miroslav Sirota, PhD, Thomas Round, MBBS, Shyamalee Samaranayaka, MD, Brendan C. Delaney, MD, The Role of Physicians’ First Impressions in the Diagnosis of Possible Cancers without Alarm Symptoms. US National Library of Medicine, Medical Decision Making, Apr 2016.

[3] Recentemente la Harward Business Review sta dando spazio rilevante alle tematiche psichiatriche in contesto di impresa. Vedi in particolare: Morra Aarons-Mele: We Need to Talk More About Mental Health at Work, nov. 2018.

[4] Liz Kislik, How to work with a manipulative person, HBR nov. 2017

[5] Tale modello è proposto nel mondo del Business come “Insight” (marchio depositato). L’azienda titolare del metodo non lo propone per la classificazione della Personalità come proposto in questo articolo.

[6] Christensen, Raynor, Mc Donald: What is disruptive innovation, HBR dicember 2015

[7] Goleman, What Makes a leader?, HBR january 2004.

[8] Hougaard-Carter, Ego is the Ennemy of Good Leadership, HBR november 2018

 

Articolo a cura di Luigi Rigolio

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