Comunicazione intergenerazionale: un’opportunità per crescere

La velocità delle trasformazioni tecnologiche ha accentuato le diversità tra le generazioni e questo nelle aziende sta diventando un tema importante anche perché l’Italia si trova a fronteggiare molti passaggi generazionali nelle PMI.

Come sempre partiamo dalla “comunicazione” perché è da questa che si determinano processi efficaci o meno. Tutto parte da lì, da quanto riusciamo a connetterci con attitudini, abitudini e valori diversi aprendoci all’altro con curiosità ed interesse, sospendendo il giudice interiore subito pronto a etichettare e categorizzare il mondo che ci circonda.

I giovani digitali preferiscono scrivere whatsapp e email anziché parlare di persona, vanno veloce, saltano i preamboli, amano andare al sodo – “business is business” – mentre i più adulti preferiscono la comunicazione di persona, amano una certa formalità, si dilungano più nei dettagli, sono nostalgici e rimpiangono spesso i “bei tempi andati”!

È come assistere a una partita progresso/futuro contro tradizione/passato.

Questa distanza nelle modalità comunicative impatta sulla sostanza del flusso delle informazioni e delle decisioni da prendere, causando malintesi, malumori, conflitti, rallentamento dei processi e della produttività con danni economici e di benessere all’interno del luogo di lavoro.

Nella nuova organizzazione del lavoro sempre più orizzontale o “agile” in cui la leadership è diffusa, i team si creano intorno ad un progetto e sono intercambiabili come anche i ruoli, i senior che sono da più tempo in azienda sono disorientati perché spesso si trovano ad essere non soltanto affiancati ma anche “coordinati” e supervisionati da un/a giovane dotato di skill e competenze più aggiornate e idonee alle nuove esigenze; come far digerire e accettare che un trentenne arrivato da poco possa saperne di più su quel determinato progetto?

Anche l’atteggiamento nei confronti del lavoro è cambiato: una volta la durata della permanenza nello stessa società o ufficio era sinonimo di affidabilità del profilo del candidato; adesso i giovani cambiano molto rapidamente e al guadagno prediligono il tipo di lavoro che dovranno svolgere o la qualità di vita, in termini di equilibrio vita privata/lavoro o della città dove risiedere. Scelgono in base ai loro valori che spesso sono diversi da quelli dei genitori o dei nonni. Hanno una naturalezza nella flessibilità e nella capacità di adattamento in città, Paesi, culture diverse da ammirare e prendere ad esempio.

Ognuno di noi porta un bagaglio personale educativo, socio-culturale, emotivo e saperlo gestire e convogliare verso gli obiettivi e i risultati desiderati non è sempre scontato; in un contesto sempre più internazionale si mescolano lingue, usanze, tradizioni diverse oltre alle differenze di età e questo melting pot può essere un fattore importante di crescita se la contaminazione viene vista come opportunità e non come timore dell’ignoto.

Altro fattore che accresce la complessità sono i passaggi generazionali: i familiari giovani arrivano oltre alle auspicate competenze e ad un percorso di studi e lavorativo idealmente fuori sede almeno in un primo periodo, con un background emotivo e educativo che conferisce automaticamente il “pass di ingresso”, quasi un “diritto di prelazione inconscio” perché “figli” e quindi “geneticamente” preparati a ricoprire quel ruolo.

Alcuni sentono il peso dell’eredità della “chiamata” entrando in un conflitto personale tra i propri valori e personalità e quelli “imposti” dalla famiglia, in genere dal padre: questo li confonde e fa provare un senso di smarrimento, quasi una crisi esistenziale combattuti tra il desidero di ribellarsi alla tradizione per tracciare una propria strada autentica e il dovere di adeguarsi per non deludere le aspettative dei genitori. È un contrasto tra libertà e appartenenza al gruppo, spesso irrisolta, con conseguenze importanti e da non sottovalutare sulla serenità e sull’efficienza in azienda.

Per questo, soprattutto nella aziende di maggiori dimensioni, si preferisce affidare a degli estranei, manager competenti, il ruolo di “traghettatori” con una posizione obiettiva, distaccata e neutrale rispetto alle contese tra fratelli e consanguinei. Peccato, perché una maggiore lungimiranza dei titolari più anziani potrebbe evitare di deteriorare i rapporti affettivi mettendo a volte a repentaglio la solidità e la continuità aziendale.

Ciò che accomuna le problematiche sopra evidenziate, è la gestione del proprio “ego”, ostacolo ad una comunicazione fluida, schietta, trasparente; l’argomento non riguarda soltanto l’oggetto di questo articolo, circoscritto all’ambito di come età diverse in azienda possano coabitare e collaborare nel modo più funzionale, ma in senso più ampio qualsiasi conversazione anche fuori dell’ambiente lavorativo.

Questo conflitto di potere ingaggiato – spesso inconsapevolmente – dall’ego determina un protagonismo che causa danni e impedisce alle aziende di innovare, evolvere e crescere indipendentemente dalle persone: ci vorrebbe un maggior allenamento nell’ intelligenza emotiva, per conoscere e gestire efficacemente le proprie emozioni nel rispetto e riconoscimento di quelle altrui. È necessaria una maggiore osservazione di se stessi in modo oggettivo, comprendere i processi mentali, emotivi e motivazionali che ci spingono ad agire, conoscere i propri e altrui bisogni ed armonizzare entrambi, accettare con umiltà che non siamo sempre noi i depositari del giusto ma che l’altro ha le sue ragioni, anche se fatichiamo a comprenderle.

Le soluzioni sono l’apertura all’altro con fiducia, l’ascolto empatico che si interroga sui mondi dell’altro con curiosità sensibile e attenta, l’uso funzionale e sapiente del linguaggio, che predilige il “noi” e la prima persona plurale all’“io”, l’assunzione di responsabilità sicura e onesta che ammette i propri errori e li interpreta come spunti utili per aggiustare il tiro a servizio dell’intero sistema.

Allora si schiudono porte che sembravano impossibili da aprire, si scovano risorse inaspettate e una condivisione valoriale che funge da volano al lavoro di tutti: l’azione diventa corale, non più melodie da solisti ma cori e pluralità di voci coordinate e accordate su una sola nota.

Come nella staffetta, ognuno fa il suo pezzo con le sue peculiarità, la velocità dei giovani sarà compensata dalla resistenza degli adulti, la reattività impulsiva che coglie all’istante collegamenti non così evidenti dalla saggezza che, con la calma, traccia strategie di lungo periodo ed evita attriti e rallentamenti poco produttivi.

Importante è fare squadra, creare un team che condivida valori, obiettivi, scopo a lungo termine, che abbia una comunicazione aperta e costruttiva fondata sul COSA e sul COME – e non sul CHI (tipico dell’ego) – che miri all’eccellenza dei processi ed esalti i meriti del gruppo, anziché quelli dei singoli.

 

Articolo a cura di Raffaella Iaselli

Profilo Autore

Business, executive e personal coach PCC, Professional Certified Coach, Membro Comitato Etica ICF Italia Chapter italiano della Federazione Internazionale Coaching.
Trainer per aziende, manager e team sullo sviluppo delle competenze trasversali: leadership, comunicazione efficace e gestione emozioni, sviluppo dei talenti e motivazione per mantenere un alto livello di energia e benessere. Certificata EQ Assessor Six Seconds e nella metodologia CoachingbyValues che utilizza spesso anche nei change management delle fusioni aziendali e nei passaggi generazionali per dare senso di scopo e congruenza ai sistemi.
Direttrice della Fondazione Olly Onlus, attiva nel supportare i disagi giovanili con sede in Biella favorendo sinergia e rispetto dei ruoli tra docenti e genitori a favore della crescita costruttiva delle nuove generazioni.

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