Costruire la propria leadership: carisma, potere e identità sociale
L’identità sociale e i nostri tanti volti
In ambito scientifico è un fatto oramai acquisito che le nostre identità – si noti il plurale – originano dal mondo sociale e per esser più specifici, dai diversi gruppi (nazione, famiglia, amici, partiti politici, clan, aziende, categorie professionali, team sportivi, etc., etc.) con i quali ci identifichiamo ogni giorno. Ognuno di noi vive nella convinzione di essere un’individualità separata dagli altri, indipendente, liberamente autodeterminata, poiché ci sfugge la natura particolare del legame che sussiste tra l’“io”, il “noi” e la “società”. Quest’ultima non è costituita dalla sommatoria di individui isolati ma da insiemi di persone strettamente interrelate e interdipendenti, le une alle altre, al punto che la sua struttura portante, come di ogni sua organizzazione (piccoli gruppi o grandi che siano) è disegnata sulle reti di relazioni che queste interdipendenze realizzano.
I gruppi sociali, tuttavia, non hanno a che fare solo con il vivere organizzato ma lo guidano, lo significano, si pongono a fondamenta del nostro modo di pensare e agire. Ciascuno di questi gruppi è costituito su dei tratti specifici (ideali, culture, valori, conoscenze, pratiche, ruoli, scopi, norme, etc.) che identificano e accomunano le persone che vi aderiscono. L’identità “sociale” di ogni singolo si struttura su tutti questi attributi e quando questa viene condivisa da tutti i membri, questo “noi”, ci spinge a mettere da parte i nostri personalismi per abbracciare gli scopi, gli ideali comuni e a porre il bene del gruppo davanti al proprio.
Gruppo, identità e leadership
Nell’adesione ai gruppi le persone trovano, dunque, risposte, coordinate, informazioni che filtrano attraverso il continuo confronto delle proprie idee con quelle degli altri. In questo gioco, l’influenza sociale che gli altri esercitano su di noi e il consenso che noi ricerchiamo negli altri, si pongono alla base di questa costruzione identitaria. Influenza e consenso però sono, al tempo stesso, gli strumenti della leadership ed è interessante osservare come essa nasce e si afferma alla luce dei processi legati all’identità[2].
Una differenza sostanziale tra manager e leader è l’autorevolezza che i membri del gruppo riconoscono alla sua autorità. Nel caso del manager, egli può anche disinteressarsi di ottenere questa investitura (almeno fino a un certo punto) poiché il suo potere è iscritto nel mandato organizzativo assegnatogli ed esso lo esercita senza troppi preamboli. Nel caso del leader, invece, il potere esercitato gli deriva da una legittimazione ricevuta dal gruppo che intorno a questo potere, non a caso, volontariamente si dispone e sottomette.
Innumerevoli studi psicosociali hanno dimostrato che questo riconoscimento, in seno al gruppo, comincia quando il candidato alla leadership inizia a incarnare, in maniera sempre più confacente, i tratti caratteristici dell’identità sociale condivisa (valori, ideali, scopi, pratiche, etc.). Fino a quando non ne diventa l’esemplare più rappresentativo (in gergo, non a caso, si parla di prototipo) e si trasforma, in questo modo, in un riferimento naturalmente “attrattivo” per gli altri. La reiterazione, nel tempo, di questa evidenza ne consolida la visibilità, il prestigio, lo status all’interno del gruppo ed egli acquisisce una sempre maggiore capacità di influenzare gli altri membri. A questo punto, sulla scia di quello che in psicologia viene chiamato “errore fondamentale di attribuzione”, gli altri membri, incapaci di comprendere la vera origine di questa sua attrattività, tenderanno ad attribuirla alla sua personalità parlando, al riguardo, di carisma. Mentre in realtà questa influenza gli deriva dalle caratteristiche proprie dell’identità sociale condivisa e dal fatto che egli ne è diventato l’esteriorizzazione o alter ego.
La costruzione di una leadership
Questo percorso varia a seconda se “la” o “il” candidato leader è estraneo al gruppo, quindi ingaggiato dall’esterno, o se, al contrario, è un membro stesso che si eleva a quel ruolo; l’essenza del processo resta però la medesima e bene si riassume con la parola “assimilazione”.
Assimilare e lasciarsi assimilare, a sua volta, per trasmutare in quel “noi” portando a compimento un processo di assorbimento verso tutto il materiale identitario che caratterizza il gruppo. Il che la dice lunga su quanti insistono sull’atipicità del leader, rispetto agli altri membri, è invece vero l’esatto contrario; più egli si assimila a quel “noi” più ne diventa parte integrante e può così aspirare a divenirne l’interprete.
Questa operazione passa inevitabilmente attraverso la profonda conoscenza del gruppo, la sua storia presente, passata e tutto ciò che lo ha reso quello che oggi è.
Quando il candidato leader è già un membro interno, queste conoscenze si presuppone siano già presenti essendo che esso o essa, a quel gruppo, già appartiene. Quando invece si tratta di un manager scelto all’esterno, magari da terze persone estranee al gruppo (come spesso avviene nelle organizzazioni), egli deve dedicarvisi con particolare attenzione. Osservazione, studio, ascolto attivo, reale non simulato e la rinuncia a tutte quelle strategie retoriche di apparente (e falsa) condiscendenza, di cui ci si serve per dissimulare attenzione e confronto con l’altro. Ci si deve interessare realmente a tutto quel materiale promuovendo così, da un lato, quel processo che lo porterà a “vestirne gli abiti identitari” e dall’altro, a intercettare quegli aspetti sui quali sarà necessario intervenire, quelli da rettificare, guidare, indirizzare.
La comunicazione e le sue strategie in questa fase hanno un ruolo preminente. Non tanto, come molti erroneamente penseranno, per “persuadere” gli altri a fare quello che al manager interessa facciano. Quanto a rappresentare il candidato in maniera credibile, schietta, genuina, autentica e a impostare tutti i suoi atti comunicativi, favorendo l’aspetto relazionale. Questo non significa entrare in amicizia o in confidenza con le persone ma guadagnarsi la loro fiducia e per questo è di vitale importanza promuovere il confronto e la partecipazione attiva di tutti i membri su tutti gli aspetti della vita del gruppo (es. le regole da seguire, le pratiche da adottare, il gergo tecnico, etc.); non per lasciarsi guidare dal gruppo ma perché questo ha a che fare con l’ingaggio profondo di tutti i membri nell’impresa comune che come leader si dovrà patrocinare.
Conosciuto il materiale identitario, si dovrà iniziare a dimostrare di far parte di quel “noi” fornendo la riprova che si sta operando realmente per i suoi interessi. La leadership è, sotto questo punto di vista, un abito stretto, pesante ed estremamente rigido che costringe chi lo indossa ad adeguarsi a esso mai il contrario.
Questa fase coincide spesso con la messa in campo, da parte del candidato leader, di una serie di azioni che hanno il duplice fine di: (a) rafforzare, consolidare, unire, armonizzare il gruppo in virtù dei suoi obiettivi; (b) porre in essere tutte le condizioni affinché il gruppo raggiunga i propri scopi.
Di là dalle belle parole, la leadership si concretizza e consolida con i fatti e con la coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa.
Entrambi questi traguardi si ottengono lavorando duramente sia su quegli aspetti che nel gruppo non funzionano, lo rallentano, lo frammentano (es. assenza di regole condivise, scarsa disciplina, scarsa motivazione, eccessivo protagonismo dei membri, alto tasso di litigiosità, etc.), sia galvanizzando le sue energie intorno a una visione comune che funga da grimaldello. Quest’ultimo aspetto si ottiene operando sempre a livello di identità sociale condivisa, individuando quali aspetti di questa far risaltare, quali trasformare e quali introdurre di nuovi così da polarizzare intorno a questi il gruppo. Ogni leader deve essere un manager dell’identità (non deve subirla) poiché (e lo vedremo meglio nel prossimo articolo quando ci occuperemo di comunicazione), operando a quel livello tutto (dai successi agli errori) può diventare combustibile cui al momento giusto dare fuoco per rinnovare la motivazione e perfezionare la bontà dell’azione collettiva.
Quando il candidato, operando indefessamente per il bene del gruppo, arriva a rappresentarne al meglio gli ideali, ne difende i valori, lotta strenuamente per raggiungere gli scopi, inizia a essere percepito dagli altri come il miglior “esemplare”. Acquisisce visibilità, esercita una sempre maggiore influenza e come naturale risposta, le persone iniziano a conformarsi alle sue posizioni, idee, indicazioni, adeguando anche i propri comportamenti. Quando questa caratteristica, viene reiterata nel tempo, come già detto, si consolida il suo prestigio, lo status all’interno del gruppo, la persona diventa carismatica e il gruppo si fa strumento della sua visione. Ciò che permette questo miracolo è un processo che in psicologia sociale prende il nome di auto-oggettivazione, nel quale una persona si auto-percepisce come un “oggetto” oppure come nel nostro caso, uno “strumento” funzionale al raggiungimento di uno scopo.
Dobbiamo tuttavia ricordare che è la “prototipicità” a guidare la percezione dei membri. Se, ad esempio, questa cambia poiché i gruppi sono organismi viventi che evolvono (specie al variare dei contesti sociali e organizzativi in cui operano) muterà, probabilmente, il tipo di leader adatto a incarnarla. Inoltre dobbiamo tenere presente che spesso nei gruppi ci sono più membri prototipici che incarnano, anche se a un grado minore, quella stessa identità; questi sono dotati ugualmente di un certo potere di influenza sugli altri e competono per avvicendarsi in quel ruolo.
Tutto quanto detto ci rivela quale grande lavoro ci sia dietro la nascita e consolidamento di una leadership, essa non è qualcosa che si possiede, né un traguardo che una volta conquistato possa considerarsi concluso ma un processo in itinere, che si alimenta lavorando quotidianamente per quel “noi” da cui tutto inizia e a cui tutto di sé si sacrifica pur di realizzarne gli scopi.
Note al testo:
[1] Il riferimento è a un nostro precedente articolo:
[2] Il libro di Haslam S.A., Reicher S.D., Platow M.J., “Psicologia della leadership”, 2013, Il Mulino. Testo consigliatissimo, facile e scorrevole da approcciare è stato ristampato nel 2020 in una seconda edizione disponibile nella versione in lingua inglese: “The New Psychology of Leadership: Identity, Influence and Power”, 2020, Routledge;
Ulteriori riferimenti bibliografici specialistici:
[a] Un riferimento per questo tipo di studi è il testo di D. van Knippenberg, M. Hogg, “Leadership and Power: Identity Processes in Groups and Organizations”, 2004, SAGE Publications;
[b] Validissimo, per analizzare i legami tra identità sociale e comportamenti organizzativi, il testo di Haslam S.A., “Psicologia delle organizzazioni”, 2015, Maggioli Editore;
Per un’introduzione più generale a questi temi:
[c] Mandolini R., “Project Management. Fondamenti psicosociologici di Leadership e Comunicazione nella gestione dei gruppi di lavoro”, 2021, Youcanprint;
Articolo a cura di Romina Mandolini
Romina Mandolini Classe 1971, certificata Project Management Professional presso il Project Management Institute (PMI), la più importante associazione internazionale di Project Management. Lavora presso un’importante azienda di Telecomunicazioni italiana dove ha ricoperto diversi ruoli e maturato un’importante esperienza in termini di partecipazione e guida di progetti e gruppi di lavoro. Laureata in “Comunicazione, Media e Pubblicità” continua i suoi studi di indirizzo psicosociale al di fuori del mondo accademico ed è impegnata nella diffusione di queste conoscenze, nell’ambito professionale. È autrice di due libri, l’ultimo “Project Management, Fondamenti psicosociologici di Leadership e Comunicazione nella gestione dei Gruppi di lavoro. (2021). Sensibile allo sviluppo del potenziale umano, si è dedicata allo studio della Philosophia Perennis e in questo contesto ha approfondito lo Yoga e le diverse forme di meditazione.
Cura il blog https://www.leadershipcomunicazionegruppi.com/