Cultura della responsabilità per il benessere delle persone e delle organizzazioni

Per favorire il benessere all’interno delle organizzazioni, è importante concentrarsi sulla motivazione che spinge le persone a compiere scelte lavorative e di carriera per vedere se combaciano e possono essere compatibili con la “cultura” dell’organizzazione, quell’insieme di valori, regole, consuetudini, credenze e comportamenti che formano nel tempo il sistema all’interno del quale gli individui si incontrano e agiscono.

Vivendo in sistemi complessi, l’individualismo e il protagonismo sono entrambi atteggiamenti che rischiano di avere effetti negativi sullo stato di benessere percepito dalle persone all’interno dello stesso ufficio sia pure con sfumature e impatti diversi. L’individualismo tende a privilegiare e scegliere le azioni in linea con gli interessi particolari e a vantaggio del singolo soggetto, a scapito di quelli della comunità di riferimento; si abbina spesso a scarsa disponibilità all’ascolto e alla mediazione, a scarsa volontà di trovare soluzioni innovative con l’intento di imporre, a volte con prepotenza, le proprie ragioni.

Assimilabile e ancora più marcato nelle peculiarità sopra descritte, è il protagonismo che, avendo bisogno di “nutrire” l’ego, accentua ed esalta le priorità personali in modo non oggettivo minando lo spirito di squadra e impattando sulla produttività ed efficienza perché di fronte alla scelta tra tempo, costi e qualità del lavoro e proprio tornaconto il protagonismo tenderà a scegliere il secondo a scapito del risultato finale e dei valori di equità, condivisione e collaborazione.

Per superare questi atteggiamenti purtroppo frequenti, possiamo farci ispirarci dal modello contrario osservando una cultura organizzativa che poggia le fondamenta sui valori della fiducia, del rispetto e della collaborazione tra i suoi componenti.

Questa “cultura della responsabilità” mette in risalto i comportamenti costruttivi e virtuosi, si concentra sull’insieme delle prassi e delle relazioni, coltiva un approccio e una mentalità che vede l’errore come parte naturale del processo evolutivo e dell’apprendimento e un utilizzo corretto del feedback come osservazione neutrale sui comportamenti/azioni, così da renderlo un utile e prezioso esercizio del pensiero critico sulle modalità operative che sa scindere le critiche dai giudizi, limitandosi ai fatti e salvaguardando sempre le persone.

Per superare la tendenza all’individualismo e al protagonismo, che spesso favoriscono l’insorgere di rivalità e invidie alimentando i conflitti, è importante mettere in risalto i valori su cui poggia l’organizzazione definendo il contributo che vuole portare alla società e l’obiettivo eccellente a cui tende; questo per spingere le singole persone a chiedersi qual è l’impatto che vogliono avere e cosa sono disposte a dare.

Non sarà da subito spontaneo e naturale educare alla responsabilità virtuosa e appunto “diffusa” perché estesa a tutte le funzioni e osservabile anche dall’esterno ma in alcuni campi è una sfida non più rinviabile basti pensare ai settori dell’educazione, delle istituzioni o del no profit dove i termini “vocazione”, “servizio” e “etica del lavoro” dovrebbero essere congruenti all’agire sul campo, orientando le scelte dei singoli e dei sistemi di appartenenza con un’evidente ricaduta positiva sulla società.

Per qualche spunto ulteriore sulla motivazione e su come “spingere gentilmente” le persone ad un’azione più altruistica e responsabilmente aderente al sistema di riferimento, ho trovato utili le considerazioni di Charles Duigg, nel suo libro “Smarter, faster, better”. Duigg sostiene che la motivazione è più facile quando trasformiamo un compito in una scelta con la responsabilità che ne consegue, perché questo suscita un senso di controllo. Quando il compito è sfidante, se riusciamo a far sì che le persone inizino il primo passo intraprendendo un’azione che le fa sentire di poter scegliere e di avere margine di manovra ad esempio definendo i loro ambiti di intervento, le modalità e delimitando l’area di gioco, diventa per loro più facile proseguire. Poter dire sì o no conferisce autonomia e “locus of control interno” che genera energia motivante e allineamento tra compito e direzione.

L’auto motivazione è inoltre collegata al fatto di considerare le scelte come affermazioni dei propri valori e obiettivi. É il “perché” facciamo certe cose, il dove vogliamo andare o chi vogliamo essere che fa nascere l’autodeterminazione che ci carica positivamente perché siamo noi che scegliamo di fare quell’ azione anche se costa fatica e implica rinunce. Aver chiara la meta attribuisce significato ai nostri sforzi e coerenza alle nostre decisioni.

Per diventare sempre più abili nel prendere le decisioni più adatte al nostro benessere e allineate con i nostri scopi, è importante ampliare il ventaglio dei “futuri” possibili, un esercizio utile per cercare di prevedere le conseguenze delle nostre scelte ipotizzando diverse opzioni di svolgimento delle situazioni con mente aperta a nuove idee e prospettive. Nel delinearle, sarà più chiaro identificare l’opzione preferibile e indirizzare i nostri intenti e scelte verso quella direzione. Anche in corso d’opera, saremo più concentrati sui possibili deragliamenti e deviazioni dal percorso auspicato, pronti a correggere la rotta e tornare sulla via maestra anticipando eventuali intoppi o rispondendo prontamente alle proposte che potrebbero distrarci o farci perdere tempo o, peggio ancora, vanificare il nostro piano d’azione.

Affinché i team siano motivati è importante costruire quella “sicurezza psicologica” che dà a ciascuno la tranquillità di poter condividere le idee in egual misura al di là dello status o dell’influenza e in cui ci si concentra sul “come” si fanno le cose e non sul “chi”. Favorendo l’autonomia e la padronanza dei singoli membri, la persona più adatta a risolvere un certo tipo di problematica si ritroverà in modo spontaneo ad esprimere le sue soluzioni senza timore di essere giudicata e con la certezza che eventuali errori non le si ritorceranno contro.

Possiamo essere più efficaci, produttivi e soddisfatti delle nostre scelte se impariamo ad usare il pensiero divergente in modo creativo, così da espandere la visuale e il ventaglio delle alternative.

In questo mondo di possibilità ancora inesplorate, impareremo a considerare un passo falso come un prezioso incidente di percorso che svela qualcosa in più su di noi, sui nostri comportamenti e sulle interazioni con gli altri, un’opportunità per aggiustare il tiro modificando abitudini non più funzionali e scegliere gli approcci cognitivi, emotivi e comportamentali più idonei a coniugare motivazione, benessere e responsabilità diffusa.

 

Articolo a cura di Raffaella Iaselli

Profilo Autore

Business, executive e personal coach PCC, Professional Certified Coach, Membro Comitato Etica ICF Italia Chapter italiano della Federazione Internazionale Coaching.
Trainer per aziende, manager e team sullo sviluppo delle competenze trasversali: leadership, comunicazione efficace e gestione emozioni, sviluppo dei talenti e motivazione per mantenere un alto livello di energia e benessere. Certificata EQ Assessor Six Seconds e nella metodologia CoachingbyValues che utilizza spesso anche nei change management delle fusioni aziendali e nei passaggi generazionali per dare senso di scopo e congruenza ai sistemi.
Direttrice della Fondazione Olly Onlus, attiva nel supportare i disagi giovanili con sede in Biella favorendo sinergia e rispetto dei ruoli tra docenti e genitori a favore della crescita costruttiva delle nuove generazioni.

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