Dimissioni qualificate del dirigente: disciplina contrattuale e mutamento di posizione

La contrattazione collettiva di alcuni tra i più importanti settori prevede e disciplina alcune forme speciali di dimissione del dirigente, che vengono comunemente descritte come dimissioni “privilegiate” o anche “qualificate”. La particolarità che le contraddistingue risiede nella circostanza che sono connesse a particolari eventi dell’impresa, che si riflettono direttamente sulla situazione personale del dirigente e suggeriscono una fuoriuscita morbida dal rapporto di lavoro senza il rispetto dei termini di preavviso ordinari, altrimenti dovuto, e con l’aggiunta di una integrazione economica che costituisce proprio il fulcro e, in questo senso, la particolarità della fattispecie contrattuale. Così avviene in caso di “mutamento di posizione”, di “trasferimento di proprietà dell’azienda” (fattispecie, questa, di duplice disciplina, contrattuale e legale), laddove in ragione di tali eventi si concede la suddetta facoltà di dimissioni in deroga alla disciplina ordinaria.

I contratti collettivi di settore hanno da tempo introdotto una particolare disciplina, derogatoria e, in un certo senso, integrativa delle norme sulle dimissioni per giusta causa – dalle quali, peraltro, si differenzia nettamente – allo scopo di consentire al dirigente di potersi dimettere, a seguito di accadimenti e/o comportamenti aziendali incidenti sul corredo mansionatorio e sulla posizione professionale dello stesso, ovvero a seguito di un cambiamento sostanziale degli assetti proprietari dell’azienda.

Così, nel settore industria (art. 16) è previsto che “il dirigente che, a seguito di mutamento della propria attività sostanzialmente incidente sulla sua posizione, risolva, entro 60 giorni, il rapporto di lavoro, avrà diritto, oltre al trattamento di fine rapporto, anche ad un trattamento pari all’indennità sostitutiva del preavviso e spettante in caso di licenziamento.
Nota a verbale agli artt. 13, 14, 15 e 16
Le parti si danno atto che, considerata la particolare, specifica natura del trattamento corrispondente all’indennità sostitutiva del preavviso o frazione di essa, previsto dalle norme sopra indicate a favore del dirigente che risolva il rapporto di lavoro, il trattamento medesimo non ha effetto sulla determinazione dell’anzianità, né per il computo del trattamento di fine rapporto.
Il preavviso dovuto dal dirigente in caso di dimissioni di cui ai predetti articoli, è di 15 giorni”.

Nell’art. 13 è previsto che, “fermo restando quando disposto dall’art. 2112 c.c., in caso di trasferimento di proprietà dell’azienda, ivi compresi i casi di concentrazioni, fusioni, scorpori, non debbono in alcun modo essere pregiudicati i diritti acquisiti dal dirigente.

Tenuto conto delle particolari caratteristiche del rapporto dirigenziale, il dirigente il quale, nei casi sopra previsti, non intenda continuare il proprio rapporto potrà procedere, entro 180 giorni dalla data legale dell’avvenuto cambiamento, alla risoluzione del rapporto stesso senza obbligo di preavviso e con riconoscimento, oltre al trattamento di fine rapporto, di un trattamento pari a 1/3 dell’indennità sostitutiva del preavviso spettante in caso di licenziamento”.

Nel settore commercio/terziario (art. 24), è previsto che “il dirigente che, a seguito di mutamento delle proprie mansioni sostanzialmente incidente sulla sua posizione, risolva, entro sessanta giorni, il rapporto di lavoro, avrà diritto, oltre al trattamento di fine rapporto, anche all’indennità sostitutiva del preavviso di cui al successivo art. 35.
Dichiarazione delle parti in merito agli artt. 16, 20 e 24
Le parti chiariscono che le disposizioni contenute nel 4° e 5° comma dell’art. 16 (trasferimento), nel secondo comma dell’art. 20 (trasferimento di proprietà dell’azienda) e nell’art 24 (mutamento di posizione) si applicano solo nel caso in cui l’evento risulti sostanzialmente incidente sulla posizione del dirigente determinando nei confronti di quest’ultimo una effettiva situazione di detrimento”.

Nell’art. 20 è previsto che, “fermo restando quanto disposto dall’art. 2112 cod. civ., in caso di trasferimento di proprietà dell’azienda, ivi compresi i casi di concentrazioni, fusioni, scorpori, non devono in alcun modo essere pregiudicati i diritti, a qualsiasi titolo acquisiti dal dirigente.
Il dirigente che non sia disposto a prestare servizio alle dipendenze dell’impresa subentrante, può, fino a 6 mesi dalla avvenuta comunicazione formale del trasferimento di proprietà, risolvere il rapporto di lavoro con diritto all’indennità sostitutiva del preavviso di cui all’art. 35”.

Simili previsioni si rinvengono nella contrattazione collettiva di altri settori dirigenziali.

La tutela prevista per il dirigente, nella prima di queste situazioni, descritta dalla contrattazione come “mutamento di posizione” e definibile, guardando le fattispecie dal lato del dirigente, come dimissioni “privilegiate” o, anche, “qualificate”, si presenta indubbiamente più ampia rispetto a quella derivante dall’applicazione dell’art. 2103 c.c. – sicuramente applicabile anche al lavoro dirigenziale – che assegna, a certe condizioni, al lavoratore il diritto di essere reintegrato nelle mansioni originarie.

In questo senso, la giurisprudenza ha affermato che il mutamento dell’attività, previsto nel settore industria ai fini del conseguimento dell’indennità supplementare, “non presuppone necessariamente un declassamento ai fini dell’art. 2103 c.c.” e, d’altro canto, non integra la fattispecie delle dimissioni per giusta causa (Trib. Torino 23 gennaio 2001): nel caso di specie l’azienda aveva richiesto al dirigente un impegno in un ambito professionale del tutto differente da quello in cui operava negli anni precedenti, con ripercussioni rilevanti per quanto attiene ai rapporti inter ed extra aziendali, ma non senza prima aver offerto allo stesso la possibilità di mantenere la gestione di progetti nell’ambito della sua originaria competenza ed ottenere un rifiuto da parte del ricorrente, cosa che ha provocato le reiezione del ricorso. Negli stessi termini, e per la stessa clausola contrattuale, può richiamarsi una decisione secondo cui la situazione dell’art. 16 settore industria in parola, unica legittimante il diritto alle dimissioni qualificate, “si realizza solo quando la ristrutturazione aziendale sia tale da comportare una effettiva lesione della posizione del dirigente”, e non quando si tratti di una modificazione dell’assetto aziendale, secondo la discrezionale valutazione dell’imprenditore (Cass. 26 maggio 1997, n. 4668). Ancora, può citarsi un’altra sentenza (Cass. 7 febbraio 1997, n. 1154, che richiama, su alcuni passaggi, Cass. 9 aprile 1987, n. 3532), riguardante il contratto industria del 1979, che sottolinea come “presupposto” dell’azione ex art. 2103 c.c. “l’affidamento di mansioni inferiori alla qualifica”, a differenza della fattispecie contrattuale, dove occorre focalizzare un “mutamento dell’attività del dirigente che incida sulla sua posizione di lavoro”.

La disposizione contrattuale, comunque, trae spunto dall’accentuata flessibilità operante nell’ambito del rapporto dirigenziale, ove decisioni aziendali intese ad una diversa utilizzazione della professionalità del dirigente, seppure legittime, possono non essere gradite allo stesso e indurlo alle dimissioni.

Occorre, dunque, aver riguardo non tanto alle mansioni contrattualmente previste ma, piuttosto, a una valutazione effettiva, caso per caso, della rilevanza riconosciuta ad una determinata “posizione” dirigenziale all’interno della Società.

In questo senso il dirigente può, quindi, far ricorso alla particolare tutela prevista dalle norme della contrattazione collettiva quando non gli è possibile azionare i diritti di cui all’art. 2103 c.c. Se si tratta di vero e proprio declassamento (mobilità verticale) può chiedere di essere reintegrato, eventualmente – ove esperibile – attraverso il ricorso alla procedura d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c., nelle mansioni già ricoperte, oppure può dimettersi per giusta causa (ex art. 2119 c.c.), con tutte le conseguenze previste per tale ipotesi, mentre, se il mutamento incide soltanto sulla sua “posizione”, può risolvere – entro in termine indicato dal contratto – il rapporto di lavoro, conservando il diritto, oltre che, naturalmente, al trattamento di fine rapporto ed alle altre competenze finali, anche all’indennità sostitutiva del preavviso, generalmente nella misura – ben più elevata – di quella spettante in caso di dimissioni.

Va da sé che il dirigente deve dimostrare che la nuova collocazione risulta deteriore rispetto a quella ricoperta precedentemente; in particolare, il lavoratore deve circostanziare i fatti o le situazioni che ritiene pregiudizievoli della sua immagine già nella lettera di dimissioni, anche per dar modo all’azienda di valutare l’effettività del pregiudizio lamentato.

Tale soluzione è confermata, per alcuni contratti, laddove figura una precisa clausola di specificazione del contenuto di quella principale, secondo la quale, come visto sopra, occorre individuare un evento “sostanzialmente” incidente sulla posizione lavorativa e professionale, idoneo a configurare “un’effettiva situazione di detrimento”.

Secondo la giurisprudenza (Pret. Guastalla 15 maggio 1992), rientra nella fattispecie prevista dalle norme contrattuali (nella sentenza si parla del settore industria) l’ipotesi di passaggio del dirigente da unico responsabile della direzione commerciale estero a corresponsabile della medesima, “determinando tale passaggio un mutamento sostanziale della sua posizione e non essendo necessario un mutamento delle mansioni concretamente svolte, che possono rimanere inalterate”. Il giudice sottolinea, in motivazione, come non sia privo di importanza il titolo della norma contrattuale – “mutamento di posizione” – che sta a significare che si è voluta dare preminenza alla valutazione della posizione intesa come status personale del dirigente all’interno dell’azienda, anziché alle mansioni concretamente svolte, che possono rimanere inalterate, come nel caso di specie, pur variando la condizione professionale del dirigente stesso. Più in generale, altra giurisprudenza, ha avuto modo di affermare che l’accertamento dell’equivalenza, o non, delle diverse mansioni eventualmente poste a confronto, deve tenere essenzialmente conto della “posizione gerarchica aziendale” assicurata dalle mansioni stesse; della qualificazione professionale che le stesse, per l’intrinseco contenuto, comportano; dei poteri e responsabilità complessivi che dalle stesse discendono, mentre rilievo minore va riconosciuto ad elementi “estrinseci”, quali la dimensione delle risorse materiali ed umane in ordine alle quali avviene l’esercizio delle mansioni. Nel caso di specie il giudice ha escluso la configurabilità del diritto alle dimissioni, essendo stato accertato che, pur con diminuiti compiti di organizzazione e gestione delle risorse materiali e umane, il nuovo incarico prevedeva impegni tecnicamente più articolati per l’impiego di una tecnologia più sofisticata, sì da doversi escludere una dequalificazione e, anzi, richiedendo lo stesso un qualche affinamento della professionalità già acquisita (Pret. Reggio Emilia 9 novembre 1991).

Sotto lo stesso profilo (Pret. Milano 2 aprile 1987), un’altra decisione ha stabilito che la posizione del dirigente e la rilevanza del suo ruolo vanno determinate sulla base di una serie di “indici”, che possono essere identificati, in via esemplificativa:
– nel fatturato del bilancio amministrativo;
– nel numero di persone dipendenti;
– nella quantità di settori aziendali affidati;
– nella estensione di poteri decisionali e della discrezionalità;
– nella maggiore o minore prossimità ai vertici aziendali; – nell’area di diffusione e di ripercussione delle sue decisioni, etc.

Sulla base di tali premesse, il giudice ha stabilito – contratto settore industria 1981 – doversi ravvisare il mutamento di posizione del dirigente che, in seguito a una ristrutturazione aziendale, è stato invitato a occuparsi della direzione marketing di alcune riviste, con evidente diminuzione della posizione, precedentemente ricoperta, di direttore dei servizi editoriali.

Ancora, in altra fattispecie (Trib. Padova 10 dicembre 2004), la giurisprudenza ha ben specificato che, ai fini della applicabilità dell’art. 16 c.c.n.l. dirigenti, “premesso che non è necessario il demansionamento ex art. 2103 c.c.”, l’accertamento della equivalenza, o non, delle diverse mansioni poste a confronto deve tenere essenzialmente conto: (*) della posizione gerarchica aziendale assicurata dalle mansioni; (*) della qualificazione professionale che le stesse comportano; (*) dei poteri e delle responsabilità complessivi che dalle stesse discendono; “mentre minor rilievo va riconosciuto ad elementi estrinseci quali ad esempio la dimensione delle risorse materiali ed umane in ordine alle quali avviene l’esercizio delle mansioni”.

Sotto un altro aspetto, la giurisprudenza di merito ha precisato che il mutamento di posizione deve essere riconducibile a una decisione aziendale che, pur libera nella sua determinazione, “non sia stata resa necessaria, cioè determinata, da fatto del dirigente” (Trib. Genova 18 febbraio 1985), come nel caso concreto affrontato dalla sentenza in esame, laddove nel momento in cui il dirigente interessato ha presentato le dimissioni dalla carica di amministratore delegato, ha inevitabilmente posto le premesse per un mutamento della sua posizione di dirigente al massimo livello e, di conseguenza, va attribuita a lui, in via esclusiva, l’iniziativa delle successive dimissioni in tronco dal rapporto e l’addebito dell’indennità di (mancato) preavviso.

Da notare che la normativa in parola non presuppone che il mutamento di mansioni disposto unilateralmente dall’azienda sia peggiorativo ex art. 2013 c.c., essendo volta a tutelare, sostanzialmente, il disaccordo del dirigente al mutamento di posizione (Trib. Torino 30 settembre 2005); nel caso portato all’attenzione della giurisprudenza, il mutamento di mansioni è dipeso dal rifiuto del dirigente di accettare l’incarico di responsabile della prevenzione degli infortuni e della sicurezza aziendale reputato troppo gravoso e non confacente, ed è ricollegabile alla conseguente decisione aziendale di attribuire al dirigente compiti e funzioni corrispondenti alle aspirazioni dal medesimo formalmente espresse al presidente del consiglio di amministrazione: deve pertanto ritenersi – secondo la decisione – che il dirigente ha consentito implicitamente al mutamento di mansioni da parte datoriale senza l’indennizzo di cui alla clausola specifica del contratto di categoria.

Per quanto riguarda il momento iniziale di computo dei giorni utili per presentare le dimissioni e conservare il diritto all’indennità sostitutiva, occorre fare riferimento, considerato il particolare scopo della tutela assegnata al dirigente, al momento in cui il mutamento di posizione diventa effettivamente constatabile. In questi termini, se, per esempio, il mutamento viene comunicato alcuni mesi prima, ma è solo al momento dell’insediamento che il dirigente prende atto della situazione deteriore, il termine decorre non già dalla decisione aziendale, ma da quando l’interessato ha preso atto dell’incidenza negativa della nuova condizione (secondo Pret. Lodi 2 agosto 1983, in Or. giur. lav., 1984, 156, il termine decorre dalla prima oggettiva manifestazione del demansionamento con cui il datore di lavoro porta a conoscenza del dirigente la definitiva decisione di operare il cambiamento di mansioni).

Così, anche nel caso di esautoramento graduale del dirigente, il termine decorre non dal primo atto pregiudizievole nei suoi confronti, ma, piuttosto, dall’ultimo che determina la effettiva estrinsecazione del mutamento di posizione.

Peraltro, nel periodo intercorrente tra il momento iniziale del pregiudizio e il termine finale stabilito dal contratto, il dirigente è, comunque, tenuto ad attenersi alle direttive aziendali, non potendo trovare legittimazione un suo rifiuto in tal senso.

D’altro canto, la giurisprudenza ha stabilito che la clausola del settore industria non può trovare applicazione nel caso in cui la modificazione delle mansioni sia stata semplicemente progettata, ma non ancora attuata (Cass. 5 aprile 1993, n. 4097) argomentando, sul punto, nel senso che proprio il tenore della clausola precisa come la stessa espressione “mutamento” abbia una chiara connotazione letterale, nella quale sta a significare una modificazione effettiva e, comunque, se non ancora in atto, del tutto certa e imminente.

Considerato lo scopo precipuo delle norme contrattuali, è da ritenere che il dirigente non debba essere tenuto a prestare il periodo di preavviso salvo che il contratto lo preveda specificamente, come nel testo del settore industria. Sembra, infatti, logico che non si possa pretendere dal dirigente di restare al suo posto, in una situazione che si assume essere pregiudizievole della sua professionalità, dopo avergli accordato un motivo legittimo di dimissioni.

Peraltro, un argomento a favore della tesi opposta potrebbe essere quello facente leva sulla considerazione che i fatti generanti il mutamento di posizione sono meno gravi di quelli che danno luogo alla violazione dell’articolo 2119 c.c., sulla giusta causa di recesso e, quindi, non impediscono la prosecuzione del rapporto.

 

Articolo a cura di Pasquale Dui

Profilo Autore

Avvocato - Partner presso DV-LEX DUI VERCESI & PARTNERS Studio Legale - Professore a contratto di diritto del lavoro - Revisore Legale - Giornalista pubblicista

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