Diversity & Inclusion: con Barilla oltre i pregiudizi

Diversity evoca e traduce la parola Differenza. L’altro è differente da me, ma la differenza, la diversity, è anche dentro ciascuno di noi. Basti pensare alle contraddizioni, alle ambivalenze e più semplicemente alle diverse sfumature che caratterizzano l’interiorità di ogni persona sul piano del pensiero e sul piano delle emozioni (d’Ambrosio Marri, 2020).

Differenza a sua volta richiama il concetto di normale (il problema è rispetto a cosa e a chi!), ma richiama anche il concetto di disuguaglianza e la storia mostra come sia difficile, tortuoso e lungo il cammino verso le reali pari opportunità sia in termini di diritti civili, politici, e sia, soprattutto per le donne, anche nel mondo del lavoro, come mostrano i numeri del gender pay gap rispetto a retribuzioni e possibilità di carriera in Italia e nel mondo.

Diventa sempre più imperativo per le aziende gestire in modo positivo e inclusivo le differenze di età, cultura, orientamento di genere, abilità. Ciò è dimostrato da ricerche, studi e realtà: l’inclusione che valorizza le differenze va a vantaggio della fiducia e del clima interno, dei risultati di business, dell’engagement di chi lavora e del benessere organizzativo, dell’employer branding rispetto alle nuove generazioni. Insomma, tutti ci guadagnano e vivono meglio la vita!

Nel campo delle organizzazioni d’impresa è sempre più evidente l’importanza di mettere in atto politiche di Diversity & Inclusion, dove inclusione non è solo un processo di riconoscimento/accoglienza della diversità, ma di contemporanea valorizzazione di essa. Ciò concretamente passa attraverso l’identificazione di bisogni e di idee frutto di un’opera attenta di ascolto di chi è discriminato, di chi segnala il persistere di pregiudizi assolutizzanti e penalizzanti non solo verso le donne (che sono la metà del mondo), ma anche di tutti i soggetti coinvolti su più piani non solo decisionali e a differente titolo sulla questione.

Il ruolo quindi del feedback è prezioso nel processo autentico di ascolto attivo delle diversity, come lo è per la costruzione di rapporti di fiducia. Non a caso, per esempio, in Danimarca si sta diffondendo l’abitudine di valutare manager e collaboratori in base ai feedback delle persone che coadiuvano, invece che sulla base di processi o report periodici. Ruolo prezioso dunque, quello del feedback, secondo la cultura danese che pone la fiducia come una delle fondamenta del vivere in modo felice, un valore che vede i Paesi del nord Europa ai primi posti nella classifica del World Happiness Report 2020 dell’ONU. Ciò significa apprendere dal feedback e quindi anche dalle critiche quando esse sono date e recepite come costruttive.

Perché questo esempio danese a proposito di Diversity & Inclusion?

Perché imparare dalle esperienze e apprendere dal feedback come azienda è proprio quello che ha portato Barilla a vincere il Catalyst Award 2021 (insieme a Royal Bank of Canada–RBC). È così la prima azienda italiana a vincere questo premio che prende le mosse da un concetto chiaro alla base di Catalyst Award: “Il progresso non si ferma – L’equità non può aspettare”. Il premio è ideato da Catalyst, un’organizzazione no profit internazionale che vuole rendere visibile la tenacia e la determinazione delle organizzazioni per l’impegno verso la diversità, l’equità e l’inclusione e che è impegnata con CEO internazionali nel sostenere luoghi di lavoro che favoriscano sviluppo e carriera delle donne, premiando anche i migliori esempi.

Vediamo quindi da vicino il caso Barilla e il suo cammino verso il Catalyst Award 2021, accompagnati da due tra i protagonisti che hanno favorito e condotto il percorso verso questo traguardo: Kristen Anderson, Chief Diversity and Inclusion Officer, e Ruggero Rabaglia, HR Director Region Italy.

A proposito delle tappe principali di Barilla nel viaggio Diversity & Inclusion, secondo AndersonI passaggi più importanti che ci hanno portato a questo punto nel nostro D&I Journey sono: 1) avere il forte impegno di leadership e la sponsorizzazione del nostro CEO (a cui il ruolo di Chief Diversity and Inclusion Officer riporta) e del Presidente Guido Barilla; 2) forte coinvolgimento delle nostre persone Barilla tramite gli Employee Resource Groups e 3) imparare dagli altri con più esperienza, come i nostri consulenti esterni del D&I Board come David Mixner, Alex Zanardi e Patricia Bellinger”.

Non solo parole, dunque, ma fatti concreti. Dal 2013, a seguito di una eclatante manifestazione di pregiudizi e di conseguente eco nel mondo, Barilla si è messa in discussione rispetto ai suoi stessi stereotipi, si è interrogata sui pregiudizi più o meno evidenti o dichiarati e ha cercato di capire come essere innovativa a partire da se stessa, dalla sua cultura, e non solo rispetto ai processi di produzione e all’organizzazione del lavoro, che già la vedevano da sempre all’avanguardia.

L’azienda decide quindi una svolta non solo culturale rispetto ai pregiudizi e di sviluppare una maggiore consapevolezza a partire da quelli più o meno diffusi al proprio interno e sul proprio modo di agire. Con forza e impegno dal 2013 al 2020 in Barilla la rappresentanza femminile è aumentata nei rapporti diretti con l’Amministratore Delegato dall’8% al 28%. Dal 2014 al 2020 la rappresentanza femminile è aumentata anche nei riporti diretti al Global Leadership Team dal 23% al 36%; i riporti diretti ai dirigenti senior dal 40% al 47%; e le donne in posizioni di leadership a livello globale sono aumentate dal 33% al 38%. Inoltre nel 2020 in azienda è stata raggiunta la parità salariale di genere, è una delle prime aziende in Italia che ha raggiunto molti traguardi di inclusione, come la formalizzazione del lavoro flessibile in tutto il mondo e è stata la prima azienda italiana a supportare gli Standard di condotta delle Nazioni Unite per le imprese contro la discriminazione LGBTQ sul posto di lavoro. Quindi la cultura e le azioni si sono sviluppate non solo con attenzione alle donne verso i vertici e sul piano retributivo ma con sguardo ampio sull’espressione del mondo Diversity.

Certo, non è stato facile perché, aggiunge Anderson, tutti noi umani abbiamo pregiudizi inconsci, dobbiamo essere consapevoli di avere la tendenza a circondarci di persone che sono come noi, pensano come noi. Ciò blocca l’inclusione di nuove idee e porta al group think”.

Credo che sia interessante porre l’attenzione anche su questo: il group think è il fenomeno di appiattimento del pensiero studiato da Irving Janis, lo psicologo sociale che ha evidenziato la pericolosa tendenza che i componenti di un gruppo possono avere a adottare il pensiero dominante del gruppo stesso a scapito del proprio singolo punto di vista. Ciò risponde, tra l’altro, alla necessità inconscia di evitare di entrare in conflitto col pensiero dominante e con i componenti del gruppo che lo rappresentano, ma è pericoloso perché porta a comportamenti e a prese di decisioni che non sono frutto di consapevoli implicazioni e ragioni analizzate con spirito critico, ma di appiattimento conformista e superficiale unanimità.

Lavorare su questi terreni in ambito organizzativo è complesso perché chiama in causa tanti attori e solleva sottili questioni culturali, emotive, psicologiche. Barilla è un grande gruppo con più di 8.400 persone nel mondo di cui circa 4.000 in Italia. Un mondo di mondi di culture differenti e di generazioni che convivono e lavorano insieme in cui l’age diversity è un altro terreno di valorizzazione delle differenze.

Ecco allora l’importanza e la pratica del mentoring e del reverse mentoring. Come sottolinea Rabaglia, su questo “Abbiamo attivato alcuni percorsi, in realtà bidirezionali senior-junior: il mentore senior tramette la conoscenza dell’organizzazione dell’azienda, dalla creazione di network al passaggio delle competenze di mestiere e con il reverse mentoring (quasi un ossimoro!) chi è giovane è mentore del senior sulle competenze tecnologiche e conoscenze digitali, facilitando così i processi di digitalizzazione. Ciò ha favorito acquisizione di competenze che prima non c’erano, ha prodotto anche ottimi risultati di integrazione intergenerazionale e di coesione all’interno delle strutture”. A proposito di differenze e dialoghi intergenerazionali non sempre tutto fila liscio, spesso ci sono sempre state, e in qualsiasi azienda, le difficoltà relazionali tra chi è da più tempo nell’organizzazione e chi è neo assunto; ma, osserva Rabaglia, “oggi sono più ottimista e vedo i rapporti intergenerazionali meno conflittuali rispetto a tempo fa: da un lato chi è più anziano apprezza l’entusiasmo dei giovani, mentre chi è più giovane apprezza l’esperienza e la competenza posseduta dal senior, soprattutto quando questi due elementi vanno di pari passo con l’umiltà nel riconoscere il proprio limite. Quello che sappiamo oggi, domani non è più sufficiente. Per questo Change agility e Learning agility sono meta-capacità fondamentali per non diventare professionalmente obsoleti. Essere pronti a cambiare e essere pronti ad apprendere. Di certezze ne abbiamo poche e senza queste due capacità possiamo avere la certezza che perderemo. Cosa poi servirà nel futuro non lo sappiamo ma quello che sappiamo oggi non ci basterà più”.

Tenendo conto del periodo pandemico e della drammatica situazione affrontata da tutti, come persone e come aziende, mantenere la rotta è un’impresa nell’impresa: considerando il mondo Barilla, anche rispetto all’immaginario, appare arduo fare biscotti, pasta e sughi in smart working! Se già dal 2014 la possibilità di smart working è stata abitudine per alcuni tipi di lavoro e dipendenti, di fronte all’emergenza Covid 19, Rabaglia racconta: “lo scorso anno già prima del primo DCPM avevamo raccomandato lo smart working per garantire la sicurezza delle persone, sanificando ambienti e mettendo in sicurezza anche i colleghi delle vendite, raccomandando la sospensione delle visite ai clienti. La seconda priorità, dopo quella delle persone, è stata quella di garantire l’operatività degli stabilimenti e la consegna dei prodotti, poi la richiesta è aumentata perché i consumi in casa aumentavano, e si trattava di garantire la capacità produttiva nonostante la situazione con minore personale presente per motivi di sicurezza. E poi c’è stata l’attenzione che i Fratelli Barilla hanno voluto portare alle comunità locali a supporto delle strutture sanitarie riferimento per il territorio con cui Barilla ha da sempre uno stretto legame, oltre con il Paese!”

Mantenere l’attenzione rispetto alle politiche di Diversity & Inclusion anche in questo periodo di crisi sanitaria, economica e sociale, periodo complicato e che continua, è fondamentale e Anderson, proprio come Chief Diversity & Inclusion Officer, ritiene che “La nostra sfida futura è non fare passi indietro rispetto all’inclusione durante questa pandemia”.

Se da una parte indietro non si torna, va detto che in molte aziende ci si è resi conto – e così anche in Barilla – che modi di lavorare e cultura aziendale, saranno sempre più centrati su “modelli di leadership vincenti necessariamente inclusivi”, come sottolinea Rabaglia dal suo angolo di visuale di HR Director Region Italy, così come, a proposito di trend 2021, “sarà importante individuare il giusto balance tra lavoro da remoto e lavoro in presenza perché identità, cultura e senso di appartenenza si fortificano in presenza e così il processo creativo alla base dell’innovazione, centrale per ogni tipo di organizzazione!”

Conclusioni

Con questo articolo e con il caso Barilla, sono offerti una serie di stimoli di riflessione per chi come persona e come azienda voglia uscire dalla concentrazione sulla auto-referenzialità e, in direzione di Diversity & Inclusion, voglia andare oltre i pregiudizi, e guardare alto.

Certo, un approccio di D&I Management non è la panacea: l’azienda non può essere un Eden, o un limbo privo di tensioni o conflittualità che, nelle imprese più intelligenti sul piano gestionale e di sviluppo delle persone, assumono configurazioni e piani differenti, ma non spariscono. Ciò perché il conflitto fa parte della dialettica sociale, quindi anche organizzativa, oltre che dell’essere umano e della sua parte più intima e inconscia. Il punto quindi non è di per sé eliminare i conflitti ma gestirli in modo costruttivo per vivere meglio, in ogni campo (Castiello d’Antonio, d’Ambrosio Marri, 2019). E farlo concretamente, al di là degli slogan. Per questo la visione a lungo termine che guarda anche la crescita interna dell’impresa concentrandosi su come potenziare in modo inclusivo il proprio patrimonio, umano e intellettuale, di competenze visibili e invisibili, è un asse strategico per l’impresa 2021 e del futuro.

Bibliografia

 

Articolo a cura di Luciana d’Ambrosio Marri

Profilo Autore

Sociologa del lavoro, specializzata in psicologia del lavoro e esperta di gestione dei processi formativi. Da oltre trent’anni è consulente di management, in particolare per attività di selezione, valutazione, formazione, benessere organizzativo, coaching e sviluppo delle persone nel mondo delle imprese, PA e scuole di management. Si occupa di Diversity Management, empowerment e di tematiche di genere. Docente in master universitari, è autrice di numerose pubblicazioni in ambito HR, e coautrice di CONFLITTI. COME LEGGERE E GESTIRE I CONTRASTI PER VIVERE BENE (Giunti, 2019); RISORSE UMANE E DISUMANE. COME VIVERE OGGI SUL PIANETA R.U. (Giunti, 2017); YES WE STEM (SGI, 2016); EFFETTO D: SE LA LEADERSHIP È AL FEMMINILE: STORIE SPECIALI DI DONNE NORMALI (FrancoAngeli, 2011); COME MUOVERE I PRIMI PASSI IN AZIENDA (FrancoAngeli, 2010). Ha anche pubblicato DONNE ALL’OPERA CON VERDI (2013). Intervistata da riviste, radio e tv, interviene in convegni su temi di scenario e attualità. E’ sposata e ha un figlio. www.lucianadambrosiomarri.it

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