Ferie annuali – Spunti della disciplina legale e contrattuale

Le ferie annuali: principi generali

Il diritto ad un periodo di ferie annuali trova la sua genesi nell’art. 36 della Costituzione, il quale dispone che “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.

La legislazione ordinaria disciplina l’istituto nell’art. 10, d.lgs. 66/203 e stabilisce i seguenti punti fermi:

  • Il lavoratore ha diritto ad un periodo di ferie annuali retribuite non inferiore a quattro settimane.
  • Tale periodo, salve diverse previsioni della contrattazione collettiva e/o individuale, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nell’anno (di calendario) di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi all’anno di maturazione.
  • Tale periodo minimo non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.

Normalmente, la contrattazione collettiva prevede un numero di giorni di ferie maggiore alle quattro settimane di legge, soprattutto per il comparto dirigenziale (ad esempio, per i dirigenti industriali il periodo di ferie stabilito dal CCNL è di 35 giorni).

La disciplina legale sancisce espressamente il c.d. principio di introannualità delle ferie, a mente del quale le ferie maturano di giorno in giorno, in proporzione al servizio prestato, secondo la nota sentenza della Corte costituzionale 63/1966, che ha dichiarato l’illegittimità della previsione del codice civile, art. 2109, nella parte in cui richiedeva un anno di ininterrotto servizio per la maturazione delle ferie nella misura prevista dalla legge o dai contratti collettivi.

Nella prassi applicativa il calcolo della maturazione delle ferie è effettuato sulla base di ratei mensili che, accumulandosi, raggiungono in dodici mesi il numero di ferie annuali spettanti al lavoratore. Così, ad esempio, ipotizzando che il CCNL preveda 26 giorni di ferie annuali, verrà accreditato mensilmente sul monte ferie spettante, un rateo corrispondente ad 1/12 del valore annuale. Nel caso di specie, ipotizzando 26 giorni di ferie annuali, al dipendente spetteranno 26 :12 = 2,16 giornate per ogni mese (o frazione di mese di almeno 15 giorni) di servizio effettivo.

La sospensione del periodo feriale

Parlando di servizio effettivo, occorre precisare che vi sono alcuni periodi di assenza dal lavoro durante i quali il lavoratore interessato matura ugualmente le ferie annuali pur in mancanza di prestazione lavorativa.

Vengono in esame, a questo proposito, le assenze per malattia, maternità, infortunio. La cassa integrazione a zero ore, in assenza di prestazione produttiva, non si computa per la maturazione dei ratei mensili; la cassa integrazione ad orario ridotto permette la maturazione del rateo mensile in proporzione alle ore di lavoro prestato.

Il godimento delle ferie viene sospeso in caso di sopravvenuta malattia durante il medesimo periodo, giacché la malattia impedisce la funzione essenziale delle ferie, ossia il recupero delle energie psicofisiche (Corte cost. 616/1987). In simili casi, peraltro, è opportuno accertare se l’effetto sospensivo della malattia sul periodo feriale, con la conseguente conversione della assenza per ferie in assenza per malattia, sia ragionevole e razionale. Il principio interruttivo non ha valore assoluto, ma tollera eccezioni per l’individuazione delle quali occorre avere riguardo alla specificità degli eventi morbosi denunciati ed alla loro incompatibilità con l’essenziale funzione di riposo, recupero delle energie e ricreazione, propria delle ferie (Cass. 8016/2006).

L’organizzazione del piano ferie annuale

Essendo ancora in vigore l’art. 2109 c.c., nella parte che qui interessa, le ferie annuali sono stabilite dal datore di lavoro, tenendo in debito conto le ragioni organizzative e produttive, mentre al lavoratore residua la facoltà di indicare il periodo durante il quale intende fruire del riposo. Questa indicazione del datore di lavoro in materia di durata e collocazione del periodo di ferie annuali, incontra dei limiti di legge, posto che le quattro settimane di ferie garantite per legge devono essere fruite per due settimane nell’anno (di calendario) di riferimento e per la restante parte entro 18 mesi successivi al 31 dicembre dell’anno di riferimento.

Il datore di lavoro deve predisporre il piano di ferie annuali, spesso condizionato da esigenze di chiusura della azienda, deve dunque contemperare le esigenze dell’impresa con gli interessi del lavoratore, a cura del quale spetta l’onere di presentare, con debito anticipo, nei primi mesi dell’anno, le sue richieste specifiche, le quali, unitamente a quelle degli altri colleghi saranno tenute in debito conto per assicurare un equo contemperamento degli interessi contrapposti.

Sussiste una regola, contenuta nell’art. 10, d.lgs. 66/2003, per cui le due settimane di ferie da godere in corso d’anno devono essere continuative, in caso di richiesta del lavoratore, e il datore di lavoro deve tenere in debito conto tale richiesta. Ovviamente il problema non si presenta in caso di chiusura della azienda, magari di una o due settimane, o in misura anche maggiore, ma il datore di lavoro, laddove la azienda non chiuda per ferie, deve strutturare una equa rotazione del personale che assicuri il rispetto dei principi sopra indicati.

Durante il periodo di godimento delle ferie lo svolgimento di attività lavorativa in favore di terzi non è illegittimo, ma è sanzionabile, anche con il licenziamento, ove l’attività, impedendo la reintegrazione delle energie psico-fisiche del lavoratore, risulti pregiudizievole al corretto adempimento della prestazione lavorativa verso il datore di lavoro, ovvero violi il dovere di fedeltà (art. 2105 c.c.).

Il divieto di monetizzazione delle ferie

La disposizione sul divieto di monetizzazione delle ferie annuali, di cui sopra, ha avuto l’effetto di rendere nulle tutte le clausole dei contratti collettivi, o degli accordi individuali, che prevedevano automaticamente la monetizzazione delle ferie non godute entro un determinato periodo di tempo (sul punto può vedersi anche la risposta ad interpello del Ministero del lavoro 27 luglio 2005).

Il principio di irrinunciabilità ed il divieto di monetizzazione si applicano al solo periodo previsto dalla legge, cosicché gli ulteriori periodi aggiunti dalla contrattazione collettiva e/o individuale, potranno essere fruiti anche successivamente ai 18 mesi della loro maturazione ed essere oggetto di monetizzazione.

Nella risoluzione di casi specifici occorre avere riguardo al contratto collettivo applicato in azienda. Nel comparto “dirigenti industria”, considerato il normale accumulo di giorni di ferie non godute, atteso il numero di giorni spettanti elevato, di 35 giorni di lavoro effettivo, occorre agire con ragione. In questo e negli altri settori della contrattazione collettiva, occorre tenere sempre in debito conto gli accumuli di ferie e, possibilmente, liquidare i residui entro il periodo di legge, i 18 mesi successivi all’anno di riferimento. Per contenere questi fenomeni di accumulo diffusi nell’area dirigenziale, il contratto “dirigenti industria” ha inserito una disposizione specifica nell’art. 7, comma 4, relativo alla disciplina delle ferie:

“Fermo restando il principio dell’irrinunciabilità delle ferie retribuite per un periodo non inferiore a quattro settimane, il restante periodo di ferie, eccedente le 4 settimane, fatta salva ogni diversa intesa, è regolato come segue. Qualora eccezionalmente il periodo eccedente non risulti comunque fruito, in tutto o in parte, entro i ventiquattro mesi successivi al termine dell’anno di maturazione, per scelta del dirigente, la fruizione di tale periodo non potrà più essere richiesta, sempre che vi sia stato espresso invito del datore a fruire di tale periodo, con contestuale informativa che, se non fruito, il periodo di ferie non potrà comunque essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute. In assenza del suddetto invito del datore di lavoro, verrà corrisposta, per il periodo non goduto, un’indennità pari alla retribuzione spettante da liquidarsi entro il primo mese successivo alla scadenza dei ventiquattro mesi”.

La disposizione sembra apprezzabile e lineare, sia a salvaguardia della posizione del datore di lavoro, sia a salvaguardia del dirigente.

 

Articolo a cura di Pasquale Dui

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