Fingiamo di sapere, sapendo di fingere

Il rapporto tra l’uomo, il lavoro e la competenza non è così semplice come si può pensare. Partiamo da un esempio che dovrebbe chiarire le cose.

L’uomo non è un castoro

Il castoro è un animale che sa costruire una diga. Non c’è bisogno che qualcuno glielo spieghi: è nella sua natura. D’altra parte, anche se volesse non saprebbe assolutamente costruire un ponte. Non è libero di scegliere. L’uomo, al contrario, è libero in questo senso, in quanto può decidere se costruire una diga o un ponte. O di non costruire nulla.

Il problema sorge perché, mentre il castoro per costruire una diga segue un programma che ha dentro di sé (innato), per l’uomo la cosa è diversa. Se vuole costruire una diga deve seguire un percorso piuttosto complesso: prima imparare a comprendere una lingua, poi studiare come si progetta una diga, e se la vuole realizzare concretamente, convincere qualcuno che lui è in grado di costruirne una[1].

Le relazioni sociali sono la base dell’umanità

Cosa significa questo? Che il singolo individuo da solo non può fare nulla, ha bisogno delle relazioni sociali con altri uomini. Non solo. L’insieme di questi rapporti (istruzione, produzione, collaborazione, ecc.) costituisce la struttura della società, ovvero la base su cui poi si costruisce la sovrastruttura giuridica e politica e che alla fine determina la coscienza sociale delle persone.

D’altra parte, non hanno torto gli scienziati cognitivi Steven Sloman e Philip Fernbach[2] quando sostengono che gli uomini hanno costruito una società con tecnologie molto complesse ma che la maggior parte di loro non sa nemmeno come funziona una penna o un gabinetto.

Alla fine, gli uomini sanno molto poco

Riportiamo in sintesi la loro posizione: “Noi sopravviviamo e prosperiamo nonostante i nostri difetti mentali perché viviamo in una comunità ricca di conoscenze. La chiave della nostra intelligenza sta nelle persone e nelle cose che ci circondano. Attingiamo costantemente alle informazioni e alle competenze archiviate al di fuori delle nostre teste: nel nostro corpo, nel nostro ambiente, nei nostri beni e nella comunità con cui interagiamo, e di solito non ci rendiamo nemmeno conto che lo stiamo facendo. La mente umana è sia brillante che patetica. Abbiamo dominato il fuoco, creato istituzioni democratiche, siamo stati sulla luna e sequenziato il nostro genoma. Eppure ognuno di noi è incline all’errore, a volte irrazionale e spesso ignorante. La natura fondamentalmente comune dell’intelligenza e della conoscenza spiega perché spesso presumiamo di sapere più di quanto sappiamo realmente, perché le opinioni politiche e le false credenze sono così difficili da cambiare e perché gli approcci all’istruzione e alla formazione orientati all’individuo spesso falliscono.”

Riconoscere il valore degli esperti

Bisogna prendere atto, quindi, che anche la conoscenza – come sostiene il filosofo Philip Kitcher[3] – è il prodotto di una divisione del lavoro cognitivo. Ognuno di noi può essere esperto in una piccola area ma quell’area è delimitata da ogni parte dal lavoro degli altri, lavoro che noi non potremmo mai riprodurre. O lo potremmo fare in modo approssimativo e impreciso.

In altri termini, la società nel suo complesso, e ogni persona che la compone, traggono maggiore vantaggio a delegare agli esperti i giudizi e le decisioni in quei campi nei quali occorrono specifiche competenze.

Eppure, nonostante questa ovvia constatazione, ci illudiamo perennemente di essere individui intelligenti e di grande cultura. E questo è un errore molto pericoloso. Il fatto è che siamo condizionati dalla grande massa di informazioni alle quali noi possiamo liberamente accedere, in particolare attraverso Internet. In altre parole, ci illudiamo che una ricerca su Google, ad esempio, basti a farci capire come vanno le cose, o addirittura a diventare competenti in una materia.

Attenti all’informazione “fai da te”

In realtà, un conto è l’informazione, un altro è la formazione. Chi si informa lo fa generalmente in modo acritico, senza verifiche, mettendo insieme elementi diversi e spesso contraddittori.

La scienza, al contrario, è un processo formativo in cui una materia viene studiata in modo approfondito, e soprattutto con metodi adeguati, i cui risultati sono sottoponibili a un controllo rigoroso e intersoggettivo da parte della comunità di scienziati. Comunità che perciò è in grado di riconoscere chi può (o meno) farne parte.

Gli esperti e le loro caratteristiche

Tom Nichols[4] sostiene che sono quattro i principali elementi che caratterizzano le persone realmente esperte: la rilevanza, il supporto, l’accordo e l’imparzialità.

Vediamole in dettaglio:

  1. un esperto deve essere rilevante, cioè esprimersi nel proprio campo di competenza e specializzazione. Non bisogna fidarsi, ad esempio, di un esperto di arte che pretende di parlarvi di vaccini. Perché? Perché non si può essere veri esperti tranne che in ambiti altamente specializzati;
  2. un esperto deve sostenere le proprie asserzioni con argomentazioni cogenti e di evidenza scientifica. Un esperto saprà usare la propria familiarità con la disciplina per riconoscere quali affermazioni sono supportate da dati, pubblicazioni nel suo campo e risultati coerenti;
  3. un esperto dovrà riconoscere l’accordo o meno della propria posizione rispetto al punto di vista della professione sulla stessa materia. Maggiore l’accordo, maggiore l’autorità dell’esperto;
  4. un esperto deve essere imparziale, cioè evitare che la propria opinione sia influenzata da interessi di tipo economico o ideologici. Bisogna diffidare quindi di esperti di parte: senza indipendenza non può esservi sapere scientifico.

Inoltre, si è osservato che gli esperti si contraddicono poco, e hanno una grande abilità nel riconoscere sottili differenze tra problemi in apparenza molto simili tra loro, ma in realtà diversi l’uno dall’altro. Questi due criteri si chiamano “coerenza” e “discriminazione”, e il rapporto tra di essi è statisticamente correlato alla vera expertise.

Illudersi di sapere porta ai pregiudizi

C’è poi un fattore psicologico che non va sottovalutato. Le persone che pensano di sapere più di quello che sanno in realtà (ad esempio sul sistema sanitario, sul riscaldamento globale, ecc.) in genere sono portate a manifestare opinioni forti, che all’apparenza possono suonare convincenti.

Ciò in parte è dovuto al fatto che queste persone colmano le lacune della loro conoscenza con posizioni ideologiche o di schieramento politico precostituito.

Secondo Cass R. Sustein[5], studioso di diritto, Internet favorisce la possibilità di personalizzare il nostro ambiente informativo, fornito dai social media, e in questo modo rende sempre meno probabile che i cittadini si possano imbattere in informazioni che potrebbero cambiare le loro idee o avere incontri casuali che offrano prospettive diverse dalle loro.

Usciamo dalle “prigioni epistemiche”

Si tratta di vere e proprie “prigioni epistemiche” che costruiamo per noi stessi e che non solo ci bloccano nelle opinioni che abbiamo attualmente, proteggendo le nostre idee più stupide da una possibile revisione, ma tendono a rendere le nostre opinioni più estreme, oltre a isolarci sempre di più gli uni dagli altri.

La forma moderata di questa sindrome – continua Sustein – si traduce in una cittadinanza caratterizzata, oltre ché da reciproco sospetto e incomprensione, da atteggiamenti complottisti o estremisti, che possono anche diventare violenti e incontrollati.

Ecco il grande pericolo dal quale bisogna tenerci lontani.

 

Note

[1] Il contributo è ricavato da un saggio di Felice Cimatti contenuto nel libro collettaneo Il transindividuale, Mimesis editore, 2014.

[2] Steven Sloman e Philip Fernbach, L’illusione della conoscenza. Perché non pensiamo mai da soli, Raffaello Cortina Editore, 2018.

[3] Paul Kircher, La divisione del lavoro cognitivo, 1990.

[4] Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia, Luiss University Press, 2020

[5] Carl R. Sustein, Republic: Divided Democracy in the Age of Social Media, 2017.

 

Articolo a cura di Ugo Perugini

Profilo Autore

Ugo Perugini. Giornalista, blogger, collaboratore di “Vendere di più”- https://www.venderedipiu.it/, “Az Franchising” - https://azfranchising.com/az-franchising-magazine/ -, DM&C - http://www.dmcmagazine.it ; HR on line - www.aidp.it/riviste/indice-hronline.php. In passato, ha collaborato con “Beesness”- www.beesness.it ; Together HR, blog di Sky Lab http://www.togetherhr.com/bloghr-blog-risorse-umane/- “Senza Filtro” https://www.informazionesenzafiltro.it e altre pubbllicazioni
Il blog che cura è https://capoversonewleader.wordpress.com/

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