Come gestire il passaggio generazionale
I parte, breve analisi PMI italiane
Il nostro Paese da sempre ha stimolato e costruito la propria base industriale sulle piccole e medie aziende, quasi sempre famigliari, come vedremo nel dettaglio. In Italia, quindi, molto di più che nei paesi nord europei, il passaggio generazionale assume importanza strategica per lo sviluppo futuro del tessuto industriale e della nazione nella sua interezza; perché, ad oggi, il 50% delle aziende italiane vede ancora al vertice fondatori over 60, il che significa che entro 10 anni dovranno affrontare il passaggio generazionale.
Ci si aspetterebbe, quindi, una maggiore attenzione al problema da parte dei governi in carica, con leggi appropriate, contributi a fondo perduto per la valorizzazione del patrimonio esistente, con l’investimento a favore di manager esperti, per condurre a buon fine il rito del passaggio. Invece, come vedremo dalle statistiche, purtroppo, esse mostrano il frequente estinguersi e decimarsi delle aziende nel giro di una o due generazioni successive a quella del fondatore: alla terza generazione ne sopravvive solo il 15-20%.
Sta cambiando molto anche l’aspetto sociale, dovuto all’aumento delle aspettative di vita dei fondatori che non mollano, tenendo il timone anche in tarda età; assistiamo spesso nelle aziende alla direzione di fondatori over 70 e ancora molto attivi, ma con una preparazione informatica e digitale spesso di basso livello, quand’anche inesistente. Inoltre, da questi presupposti deriva ovviamente scarsa propensione e propulsione all’innovazione in generale, che sarebbero più tipiche della giovane età e di una formazione più moderna (non dimentichiamo che Facebook e l’iPhone, sono stati inventati solo nel 2007).
Il prestigioso Financial Times, bibbia dell’economia globale, scrive che entro dieci o vent’anni cinque settori economici saranno soppiantati dalla tecnologia: spariranno, o quasi, le agenzie di viaggio (e fin qui la profezia è facile), ma anche i produttori di componenti industriali (un comparto essenziale dell’economia italiana), le officine auto, i venditori di polizze di Responsabilità Civile e (addirittura) i consulenti finanziari.
Ulteriore impatto sul sociale, lo avranno la robotizzazione delle aziende ed il ricorso a droni e tecnologie similari, che faranno perdere molti posti di lavoro, non a caso da alcuni mesi si sta iniziando a parlare di tassazione sui robot, per compensare la perdita sia dei posti di lavoro sia della correlata contribuzione pensionistica.
Negli USA si parla di milioni di posti di lavoro in estinzione (autisti, camionisti, tassisti ecc.) solo per i veicoli che in futuro si guideranno da soli; inoltre la robotizzazione e l’automazione industriale (“fabbrica 4.0”), rischiano – stime tratte da uno studio del 2013 della Oxford University – di contribuire al quasi dimezzamento dei posti di lavoro negli Stati Uniti entro 20/30 anni nei settori produttivi.
Sembrano numeri stratosferici, ma in realtà, in una nazione come gli USA, già oggi su 320 milioni di abitanti si contano solo il 20% di lavoratori nell’industria manifatturiera, a fronte dell’80% impiegato nel settore dei servizi. Solo alcuni decenni fa questi numeri avevano proporzioni ben diverse.
Visto che parlavamo di robot e di perdita di posti di lavoro, anche tra le forze dell’ordine, sul web si trova quest’ultima notizia sul robot-poliziotto: «è alto 1,5 metri e ha la capacità di leggere le espressioni facciali da una distanza di 20 metri. L’obiettivo è quello di utilizzarlo nelle forze di polizia per denunciare i crimini e far pagare le multe. È un robot multilingue, sviluppato per la lotta alla criminalità e, si preannuncia, costituirà un quarto della polizia di Dubai nel 2030.»[1]
Chi riesce a guardare avanti non può non capire quante altre incredibili innovazioni arriveranno, ed in tempi molto brevi, cambiando probabilmente anche radicalmente il nostro modo di vivere, di lavorare e di intendere un’azienda, proprio dalle giovani leve potrebbero arrivare gli input alle innovazioni che potranno essere introdotte in azienda.
Il contesto aziendale italiano: luci e ombre
Dal Rinascimento fino ai giorni nostri, la storia delle grandi imprese di famiglia equivale alla storia dell’imprenditoria italiana.
Attualmente il 73% dei 4,5 milioni di imprese italiane è costituito da aziende famigliari che rappresentano oltre il 90% del tessuto produttivo nazionale e sono responsabili del grande successo del Made in Italy, quel “brand Italia” – potremmo definirlo – a cui i consumatori di tutto il mondo attribuiscono un insieme eterogeneo di valori, sinonimo di qualità ed eleganza, che continua a contraddistinguerci, nonostante la crisi che ha colpito il nostro Paese a partire dagli anni Novanta.
È pertanto fin troppo evidente che, nel momento in cui le piccole e medie imprese italiane producessero tutte con profitto, fossero sufficientemente innovative, godessero di solide basi finanziarie, potessero contare su ulteriori normative di sostegno, sia economiche che fiscali, l’economia del sistema-Paese potrebbe scommettere senz’altro su prospettive a lungo termine più che ottimistiche. Purtroppo, però, le cose non stanno così, e le nostre piccole e medie imprese, cuore pulsante dell’economia, si dibattono in acque abbastanza burrascose, e i motivi sono davvero tanti.
Tra i punti deboli delle aziende famigliari, secondo gli osservatori e le ricerche condotte dagli istituti specializzati, potremmo individuarne alcuni determinanti che potrebbero pregiudicarne crescita e sviluppo futuri; successivamente comprenderemo come e perché il Temporary Manager costituisce il profilo d’eccellenza per gestirli con successo.
Alcune PMI, probabilmente quelle più piccole, si scontrano soprattutto con la difficoltà di attrarre e conservare i talenti chiave all’interno della propria struttura. Per altre, il problema principale è saper osservare e interpretare il mercato, perché sono strutturalmente sprovviste di risorse interne organizzate che possano dedicarsi a questo compito. Da questa “lacuna” scaturisce poi, subito, un’altra necessità relativa alla formazione del personale, intesa come bisogno di potersi affidare a soggetti autenticamente specializzati.
Secondo alcuni studi recenti condotti dall’associazione Cerif (Centro di ricerca sulle imprese di famiglia dell’Università Cattolica di Milano), il 50% delle imprese famigliari italiane scompare alla seconda generazione e solo il 15% supera la terza. Se poi si calcola che il 92% delle imprese è di carattere famigliare, risulta evidente che le criticità del ricambio o passaggio generazionale e della conseguente continuità non sono affatto trascurabili, anzi, si impongono decisamente come le principali da affrontare. Inoltre il 98% delle imprese ha meno di 49 dipendenti e si identifica fortemente con il nome del fondatore.
Altro aspetto chiave è che al vertice del 53% delle aziende italiane ci sono imprenditori con più di 60 anni di età: è lapalissiano perciò che, per poterne garantire crescita e sviluppo anche nei decenni successivi, sia necessario investire sul passaggio generazionale e sull’inserimento di manager esterni. Però, dato confortante, sembra che il 23% abbia già affidato la gestione a manager esterni e che più del 22% di queste imprese presenti azionisti non appartenenti alla famiglia.
Del resto la gestione dei percorsi legati alla successione è di per sé un processo lungo e complesso. Esso non può avere luogo compiutamente e con successo, se non si mette in cantiere anche un ripensamento della formula imprenditoriale, con l’obiettivo di rinnovare l’azienda e reinventarla (passando attraverso la commercializzazione di nuovi prodotti o servizi). Questo sforzo servirebbe ad approdare anche all’internazionalizzazione, di cui oggi si parla sempre più, e a diventare protagonisti a pieno titolo, pur in una logica di mercato completamente nuova, caratterizzata da una marcata segmentazione e un livello di specializzazione e competitività decisamente elevati.
La scelta di avviare un percorso di questo tipo vuol dire attirare manager esterni qualificati, costringendo l’azienda, in molti casi, ad aprirsi a capitali esterni e dotarsi di una governance più articolata, che non abbia come suo unico punto di riferimento il fondatore, e quindi più solida.
Link utile: www.passaggiogenerazionale.info
Fonte: “Come gestire il passaggio generazionale nelle PMI italiane” di Gian Andrea Oberegelsbacher & Leading Network, Wolters Kluwer Italia (Ipsoa)2017
[1] Vitale F., Robocop, presentato a Dubai il primo robot poliziotto, Focustech, Scienza e hi-tech, del 24.05.2017
A cura di: Gian Andrea Oberegelsbacher
Gian Andrea Oberegelsbacher, nato a Verona nel 1964, dal 2005 nella veste di Executive Temporary Manager, può contare su 25 anni di esperienza a livello direttivo, in multinazionali statunitensi e tedesche, come Gore-Tex® e Quelle Schikedanz Group; è stato Amministratore Delegato di Air Machine e di Zippo Fashion Italia. Manager dal taglio operativo, esperto nel "far succedere le cose", nella gestione del cambiamento, in start-up di nuovi business ed in M&A, in implementazione strategica di business esistenti e in ottimizzazione, riorganizzazione e rilancio aziendale, anche in veste di Consigliere indipendente nei C.d.A. in situazioni delicate, conflittuali o con passaggi generazionali in fieri. Dal 2010 è Vice-presidente di Leading Network, dal 2003 al 2005 è stato Consigliere di A.I.M.P.E.S. (Associazione Italiana dei Produttori di Pelletteria e Succedanei); è socio fondatore di Studio Temporary Manager e di Leading Business School.