Gli sprechi nella società
La caccia agli sprechi, che nelle aziende è storia di sempre, negli ultimi decenni si è intensificata con l’adozione di metodologie sempre più rigorose e diffuse. Nella società civile, invece, un atteggiamento analogo nel nostro Paese si impone con lentezza e, però, gli sprechi riguardano – con un peso incomparabilmente superiore – l’ambiente, le risorse umane e i beni materiali. Da un lato la gestione manageriale con la sua naturale snellezza – pensiero e azione si rincorrono -, dall’altro la politica e la burocrazia con le loro lungaggini. Fortunatamente si tratta di un terreno che offre molto spazio all’innovazione.
Nel sistema di produzione Toyota il termine giapponese muda è centrale. Indica le attività inutili, che non aggiungono valore, e dunque comportano sprechi. Taiichi Ohno le classificò in sette gruppi e il suo riferimento era la fabbrica. I metodi messi a punto per affrontarli sono numerosi, ma si fondano tutti sull’elementare buon senso. Hanno in comune la descrizione delle attività in sequenza, la separazione di quelle che producono valore da quelle che non ne producono e l’analisi approfondita dei modi per eliminare o ridurre queste ultime. Alla base c’è la convinzione profonda che tutto sia migliorabile.
A rifletterci, gli sprechi nella vita di tutti i giorni sono ben più rilevanti e meriterebbero l’intervento determinato di tanti Ohno. E gli strumenti utili non sono dissimili da quelli che danno ottimi frutti in azienda. Il mondo è pieno di risorse sottoutilizzate.
Concettualmente il modo più semplice e diretto di misurare l’efficienza di un processo è quello di fare un rapporto fra i risultati ottenuti e le risorse impiegate. Più basso ne è il valore, maggiore è lo spreco. E lo spreco costituisce la somma dei risultati mancati.
Tanti canali televisivi, centinaia, migliaia, certamente di più. E tutti a trasmettere pubblicità, notizie, sceneggiati, film, documentari. Averne un certo numero – cinque, dieci, cinquanta ad esagerare – è utile, addirittura indispensabile per una quantità di buoni motivi. Averne tante centinaia comporta un dispendio di risorse materiali, umane e finanziarie che potrebbero essere canalizzate verso altri più validi obiettivi. Probabilmente con un decimo dei canali si potrebbero conseguire gli stessi risultati e aumentare l’efficienza del processo e ridurne gli sprechi.
Le seconde case al mare e in montagna sono spesso un altro esempio in negativo. Vengono aperte per uno o due mesi all’anno – quando va bene – e incamerano polvere per il resto. Per costruirle si investe danaro, si cementifica, si distrugge territorio e, come non bastasse, i proprietari devono correre per riunioni di condominio – tanto tempo e, spesso, tanti litigi -, per le piccole e grandi manutenzioni – un rubinetto versa, la casa è allagata -. E le tasse. O non ci sono gli alberghi, le pensioni, i bed and breakfast, gli agriturismo? Accoglienti, ordinati, offrono quello che si chiede, si paga e si torna liberi alle proprie faccende. Se non rispondono più alle esigenze, li si cambia. Ma, se la casa in montagna non va più bene ai figli che, cresciuti, si sono appassionati del mare, che si fa? Con l’albergo è semplice, si saluta l’amico albergatore e se ne trova un altro in costiera.
Non di rado anche per le prime case il discorso non cambia. Disporre di abitazioni di tre o quattrocento metri quadri sarà pure un segno di distinzione, ma serve sempre? Quante colf occorrono per rassettarle? Viene in mente il caso di una persona che si compiaceva molto del fatto che il figlio avesse acquistato una casa di mille metri quadri. Con dieci figli e trenta nipoti? No, lui e la moglie e – si immagina – una corte di domestici. Occorre precisare che il contesto era straniero, ma le superfici sono quelle, Europa o USA non fa differenza. Viene in mente Tomasi di Lampedusa che nel suo Il Gattopardo descrive nel palazzo del principe di Salina una teoria di stanze vuote e abbandonate da tempo.
Un caso macroscopico – meriterebbe uno scritto a parte – è quello del trattamento dei rifiuti che ancora oggi non prendono la strada del riciclaggio. Lo spreco fa da contrappunto al riutilizzo, cresce il secondo e diminuisce il primo.
Le statistiche del nostro Paese indicano in due milioni il numero degli appartamenti non abitati. E il loro costo in termini economici e – ancor più – ambientali? Immaginiamo, per assurdo, che quelle stesse risorse fossero state utilizzate per sistemare alvei di fiumi, costoni di montagne e strade che franano, spiagge che si ritirano, condotte idriche che perdono la metà dell’acqua che dovrebbero far arrivare ai rubinetti… O per completare quelle veramente necessarie – poche, ma ce ne sono – fra le opere avviate da decenni e rimaste a mezz’aria: autostrade, linee ferroviarie,… O, ancora, per migliorare la formazione propria e quella dei figli, Dio sa quanto necessaria nell’attuale contesto.
Un caso svetta su mille altri: il quinto centro siderurgico di Gioia Tauro. Pensato in un momento in cui anche i sassi sapevano che in Occidente la parabola dell’acciaio era in rapida discesa, con i grandi centri statunitensi che si avviavano alla chiusura, con quelli italiani sullo stesso percorso con lo sfasamento di un decennio o poco più – Bagnoli, Cornigliano, Piombino -. Numerosi politici a battersi per questo incredibile progetto che prevedeva per di più la cementificazione di vasti terreni di buona agricoltura. E’ il tipo di spreco peggiore perché, derivando da una strategia palesemente sbagliata, invece di tappare i buchi ne apre di nuovi.
Quasi ogni famiglia dispone oggi di una piccola officina: un trapano elettrico, i vari tipi di chiavi fisse, morsa, pinze, serie di cacciavite… Talvolta addirittura strumenti ancora più sofisticati come compressori, tagliaerba,…. Frequenza di utilizzo bassissima. Passate le settimane subito dopo l’acquisto – magari servivano per il trasloco – si abbandonano in garage e ci restano inutilizzati per lunghi periodi. Ha un senso? Non tanti anni fa ci si scambiavano le pinze con i vicini e si coglieva anche l’occasione per fare quattro chiacchiere e conoscersi. Forse lo spreco più rilevante riguarda proprio la perdita di questi rapporti umani.
Gli armadi pieni di abiti, di biancheria. Tanta roba comperata in un momento di debolezza e poi indossata solo di rado. Talvolta si torna a casa e si scopre che quell’articolo lo avevamo, eguale o simile. Capita a molti.
E’ una buona abitudine americana, quella della yard sale, la vendita nel cortile. Nei week end di fine agosto nel Massachusetts – ma è pratica diffusa in tutti gli USA – tante famiglie dispongono sul prato davanti alle loro case unifamiliari o nel garage mobili, abiti, apparecchiature elettroniche e li cedono a prezzi convenienti. Se ne liberano. Quando il curioso ne chiede il motivo si sente rispondere: “stiamo per traslocare, ci vorremmo portar dietro solo le cose veramente utili” oppure “abbiamo ricevuto un’eredità per cui abbiamo tanti doppioni”. E’ un esempio di quella parte del pragmatismo americano che forse dovremmo imitare. In Italia si avrebbe quasi vergogna a farlo: cosa penserà mai la gente? che si è caduti in bassa fortuna?
Per le statistiche sugli sprechi alimentari basta citare due soli numeri, per i quali è difficile fare una verifica rigorosa ma che sono verosimili: un miliardo di persone che nel pianeta soffrono la fame e la quantità di cibo mandato in discarica che sarebbe sufficiente per due miliardi di loro. La frutta e la verdura che non rispondono a determinati canoni – fissati da regolamenti spesso nazionali ma talvolta anche dalle stesse catene di supermercati – vengono buttate; talvolta non sono neppure raccolte. Basta un puntino o che la carota non sia perfettamente affusolata perché la si scarti. Si spreca del cibo che potrebbe sfamare tante bocche e, in aggiunta, si saturano le discariche. In verità su questo terreno tante associazioni stanno veramente facendo molto con impegno e creatività.
Un recente articolo del Sole 24 Ore indica per le auto un coefficiente di utilizzazione dell’8%, ma “anche questo potrebbe sembrare alto per chi non deve fare il pendolare”.
Ma lo spreco più grave è quello dei cervelli, di quelli dei giovani che vanno all’estero a cercare lavoro e privano il Paese delle loro potenzialità e di quelli che rimangono qui a bighellonare – i NEET, quelli che non lavorano e non studiano -. Il Paese ha investito su di loro ma per i primi i benefici vanno altrove, per i secondi rimangono solo in potenza. Comunque una perdita secca a cui dovrebbe essere prioritario porre rimedio. E sarebbe un investimento di sicura resa.
Che fare? Domanda da altri posta in un contesto molto diverso. Il leitmotiv è sempre quello: atteggiamento positivo – volere è potere -, curiosità e creatività: in una parola, innovazione. Un potente strumento per apportare trasformazioni nel mercato mediante l’introduzione di nuovi collegamenti fra risorse che non trovano collocazione e bisogni insoddisfatti della gente. Seguendo questa logica e con il determinante supporto della rete internet, si sono già affermate molte soluzioni per il recupero di efficienza. Pensiamo all’Airbnb per l’ospitalità in appartamenti liberi, a Uber per i taxi – anche l’esperienza comune conferma che le nostre auto rimangono ferme per la maggior parte del tempo -, a Ebay per la commercializzazione di oggetti non più necessari, a Lastminute per migliorare la saturazione delle strutture turistiche. Oggi si possono fare molti altri esempi e certamente tante nuove applicazioni seguiranno. Sembra la strada giusta.
A cura di: Corrado Cavaliere e Marina Cimmino
Consulente di direzione aziendale
Corrado Cavaliere: Ha ricoperto ruoli di staff e line in aziende industriali a vari livelli. Di due è stato direttore generale. Ha poi fondato e diretto una società di consulenza di direzione aziendale, Futuro – Interventi Manageriali in Azienda. Ha insegnato al corso di Impianti Meccanici presso la Facoltà d'Ingegneria dell'Università di Napoli che gli ha conferito la nomina di professore a contratto. Ha tenuto corsi e seminari presso aziende, scuole di formazione e strutture pubbliche su Project Management, Total Quality, Sistemi di Gestione, Strategia Aziendale, Sistemi Informativi, Organizzazione della Produzione, Controllo di Gestione, Risparmio Energetico e Sicurezza sul Lavoro. Pubblicazioni: tre libri e decine di articoli di General Management.