Il gruppo produce più della somma dei singoli
Il modo di organizzare il lavoro non è solo una scelta tecnica per fare funzionare l’azienda, ma un modello fondato su regole che rispondono alla visione di chi sta al potere. “L’organizzazione è una espressione di valori, di concezione dell’azienda e di come in quell’azienda si deve lavorare.”, dice la responsabile del personale in una multinazionale italiana. E lo vediamo, per esempio, nelle politiche organizzative realizzate da donne manager, dove frequente è l’introduzione del lavoro di gruppo. Un cambiamento di rotta rispetto al diffuso esercizio del potere come dominio e affermazione sugli altri, attraverso una competizione conflittuale. Queste manager pensano che non ci si possa più permettere la dissipazione di energie e risorse che questo comporta. Sono invece necessarie pratiche di lavoro che mettano in comune idee e informazioni, relazioni finalizzate al raggiungimento di obiettivi comuni, responsabilizzazione di tutti verso i risultati, per un ritorno positivo per tutti. Lavorare in gruppo con responsabilità diffusa e condivisa risponde a questa visione. Le persone vengono normalmente inquadrate in caselle, trascurando quanto siano effettivamente in grado di fare se si danno loro adeguati strumenti e spazi. Costruire il gruppo è invece ricercare contesti nei quali le persone riescano ad esprimere le loro capacità al meglio, per se stessi e per l’azienda, trovando soluzioni non programmabili e superiori alle attese. Il gruppo ottiene risultati migliori della somma dei risultati dei singoli.
Il concetto è semplice, la realizzazione molto impegnativa. Chi è a capo di una struttura e introduce quel modo di lavorare, deve porre particolare attenzione ai processi aziendali sia interni alla propria struttura che quelli del contesto in cui la struttura si colloca. E’ necessario vedere non solo quello che fa ognuno, una singola attività, ma osservare l’insieme, come si muovono tutti.
La pratica di lavorare in gruppo –sbandierata a parole- è però spesso attuata superficialmente, solo con una ridefinizione di mansioni e di responsabilità, con direttive e intenti. Trascurando la costruzione di fiducia e valori comuni necessari per il cambiamento culturale e l’acquisizione di prassi conseguenti. Le inclinazioni caratteriali e i comportamenti individuali possono essere cambiati, indirizzati con una specifica formazione, e introducendo un sistema gestionale vincolante e premiante per i comportamenti cooperativi: il risultato del gruppo dipende dal contributo di ognuno. Serve per questo un quadro normativo, serve rendere la leva retributiva flessibile e variabile, premiando il merito individuale e collettivo. E serve anche porre attenzione alla remunerazione immateriale: lo spazio garantito all’autonomia, la possibilità di valorizzare le proprie capacità, il coinvolgimento, le componenti relazionali di rispetto e reciprocità. L’atteggiamento, la mentalità si affermano attraverso il riconoscimento dato a chi si muove in questa direzione.
Il gruppo funziona quando la responsabilità dei risultati è condivisa tra tutti ed è oggetto di valutazione trasparente ed esplicita. Si valuta a partire dal singolo, ma un singolo inserito nella dinamica complessiva. La prestazione individuale, con questi vincoli, non è più tesa a rafforzare il proprio ruolo e la propria affermazione, ma diventa funzionale all’obiettivo comune. Se c’è un solista ‘outstanding’ deve essere capace di trascinare alla meta la squadra e non deve mai cercare di tagliare la strada agli altri, se no non viene premiato” dice l’AD di una società di servizi. Alla fine, anche chi ha atteggiamenti competitivi e conflittuali può sentirsi più a proprio agio in un contesto dove le doti personali sono riconosciute, ma allo stesso tempo il clima organizzativo è più disteso e motivante.
Anna Deambrosis -AD di un’azienda in un gruppo assicurativo- già diversi anni fa ha riorganizzato la sua struttura in questo modo con un intenso lavoro di formazione, ottenendo risultati positivi senza precedenti. E ne parla così: “Il team non è buonismo, non è cameratismo, non è egualitarismo. E’ massima responsabilità verso gli obiettivi comuni, è una diversa leadership, è fatica non comune, è mettersi a disposizione degli altri e chiedere agli altri, è crescita professionale individuale e aziendale, è gestione dell’azienda fuori dalle logiche distorsive di potere che molti capi amano tanto”.
A cura di: Luisa Pogliana
Luisa Pogliana: per molti anni direttore di una staff in una grande azienda editoriale, è ora consulente di ricerca sui mercati internazionali. Ha fondato l’associazione Donnesenzaguscio, per la valorizzazione delle pratiche e dei pensieri innovativi delle donne nel management. Su questi temi ha pubblicato Donne senza guscio (2009) e Le donne il management la differenza (2012), entrambi presso Guerini.