I bambini che educano se stessi saranno i leader del futuro
Dal 1990, agli albori del W3 (WWW/TheProject), lo sviluppo digitale è stato davvero incredibile. Vi è stata una vera e propria rivoluzione nel modo in cui comunichiamo. La più epocale dai tempi dell’introduzione della stampa a caratteri mobili.
Il mondo sta cambiando molto rapidamente a livello sociale, politico, economico. Le forze del cambiamento e della globalizzazione stanno rimodellando tutto, compreso il modo di lavorare, il posto di lavoro, la forza lavoro e il lavoro stesso. Un recente studio condotto dall’Università di Oxford stima che a causa dell’effetto dell’automazione sull’occupazione, nel giro dei prossimi vent’anni, circa il 50% dei posti di lavoro che conosciamo oggi sarà a rischio.
L’evoluzione tecnologica dell’economia sta progredendo a passo spedito e, nei prossimi anni, assisteremo già a dei cambiamenti molto importanti. Dalla ricerca The future of Jobs 2018 (World Economic Forum) emerge che entro il 2022 non meno di 54% degli impiegati necessiteranno di una riqualifica professionale. Stando ai dati forniti da McKinsey Global Institute, automazione e intelligenza artificiale contribuiranno ad aumentare la produttività e favorire la crescita economica, ma milioni di persone saranno costrette a cambiare lavoro o comunque aggiornare le proprie competenze professionali (si stima che 400-800 milioni di persone potrebbero essere sostituite e avranno necessità di trovare un nuovo impiego entro il 2030. Per 75-375 milioni potrebbe essere necessario cambiare categoria professionale o comunque apprendere nuove competenze).
I ruoli che diventeranno ridondanti a causa del progresso tecnologico sono parecchi. Si parte dagli addetti all’inserimento dati/contabilità/buste paga, ai segretari, ai revisori di conti e cassieri (di banca e non); poi sarà la volta di traduttori, autisti commerciali, venditori, muratori, chirurghi. Questi cambiamenti riflettono un trend che si è evoluto nel corso degli ultimi anni ma che ora sta accelerando. È inoltre previsto che entro il 2025 le macchine svolgeranno più compiti degli esseri umani: tuttavia la robotica creerà milioni di nuovi posti di lavoro (si stima che saranno 58 milioni entro il 2022: 133 milioni di posti di lavoro creati, contro i 75 milioni che spariranno).
Emergeranno nuove categorie professionali che rimpiazzeranno parzialmente o totalmente quelle vecchie, ma in qualsiasi modo le competenze richieste nel mondo del lavoro cambieranno in molte industrie, indipendentemente dal tipo di attività svolta, trasformando il modo in cui le persone lavorano e rendendo la formazione continua una necessità per tutti. Si stima inoltre che il 65% dei bambini che iniziano adesso le scuole elementari farà dei lavori completamente nuovi, che ancora non esistono, usando tecnologie che ancora non conosciamo (già oggi, pensandoci, ci sono molti lavori che fino a dieci anni fa non esistevano: social media manager, drone operator, data scientist, app developer, et cetera).
Fatto è che l’economia è mutata radicalmente, mentre la scuola è rimasta quella di sempre. La domanda sorge dunque spontanea: visto che il futuro professionale dipenderà soprattutto dalla capacità di acquisire sempre nuove competenze, perché continuiamo a formare i nostri ragazzi come se fossimo rimasti fermi al secolo scorso?
Insomma, la scuola continua a preparare i giovani per dei lavori che non ci saranno più… e se per questo anche il bagaglio di competenze acquisite durante il percorso educativo tradizionale, che un tempo era considerato un patrimonio che durava fino al pensionamento, oggi non dura più di un paio d’anni (ad esempio, si stima che ciò che gli studenti che iniziano un percorso di laurea in discipline tecniche apprendono nel primo anno sarà obsoleto entro il terzo). A scapito di ciò, oggi sembra invece che la conversazione si sia arenata alla preistoria, a discutere se i ragazzi possono o meno portare lo smartphone a scuola, senza tenere in debita considerazione che non stanno crescendo nel mondo in cui siamo cresciuti noi (oggi adulti) ma in un mondo nuovo, dove avranno sempre più a che fare con la tecnologia e dove smartphone, tablet, computer sono gli strumenti della loro cultura, come lo erano arco e frecce per i nostri antenati.
Disse bene lo psicologo statunitense Carl Rogers: “L’unica persona che si può ritenere istruita è quella che ha imparato come si fa ad imparare — e a cambiare”. Questo oggi è avvalorato anche da molti esperti e ricercatori, concordi sul fatto che avremo tutti bisogno di diventare studenti per tutta la vita. Il lifelong learning diventa dunque la risposta a un mondo in continuo cambiamento, e anche alle proprie necessità evolutive personali. Ma tutto ciò richiede una nuova mentalità, e certamente anche una politica e degli investimenti mirati nel campo della formazione continua e in quello dell’educazione. Rimanere fermi sulle barricate dei vecchi modi di fare e pensare non è una buona idea, in quanto se si persevera nel seguire una linea di condotta oltremodo difensiva dello status quo, lo scenario più distopico che ci si presenta davanti è quello di un enorme sviluppo tecnologico, accompagnato da carenza di talenti, aumento nelle diseguaglianze e disoccupazione di massa: una società indesiderabile sotto tutti i punti di vista.
Qui si tratta invece di rivoluzionare il business e la formazione, e una delle maggiori resistenze deriva proprio da questo, dal ripensare il proprio modo di lavorare, educare, vedere le cose. Pensiamo alla scuola, ad esempio. Il sistema educativo moderno è certamente perfetto per ciò che è stato progettato ai suoi albori, con la sua forte propensione per la standardizzazione, le continue prove (test), l’efficienza di produzione… ma oggi la 4a rivoluzione industriale è una realtà, nelle fabbriche ci lavorano i robot, e sempre meno esseri umani fanno e faranno dei lavori che possono essere automatizzati. Applicare i vecchi modi di fare e pensare alla nuova economia è la formula perfetta per l’insuccesso. La formazione deve dunque essere adeguata a sviluppare le doti necessarie nella nuova economia nei leader del futuro, e non partorire disoccupati impreparati ad affrontare la realtà odierna.
Le riforme di cui si parla tanto non sono sufficienti. In realtà sarebbe necessaria una vera e propria rivoluzione. La differenza è molto semplice: nel primo caso si tratta di abbellire un po’ una certa struttura, mantenendo i principi fondamentali su cui la stessa si basa; mentre la rivoluzione è un cambiamento radicale. Insomma, viviamo a lavoriamo in una nuova economia, perché ci ostiniamo a voler mantenere la scuola così com’è?
L’educazione è un tema molto importante, che dovrebbe interessare tutti. Abbiamo la responsabilità di preparare le nuove generazioni ad affrontare le sfide di domani, ma non possiamo adempiere a questo compito se continuano a fare ciò che abbiamo sempre fatto. Non abbiamo modo di sapere come sarà il mondo fra due o cinque anni, ma quel che sappiamo è che le competenze che saranno sempre più richieste sono molto diverse da ciò che viene trasmesso attraverso un sistema educativo che è la fotocopia esatta di quello prussiano, basato su disciplina e obbedienza. Va infatti ricordato che il sistema attuale non è frutto della conoscenza scientifica su come i bambini apprendono, ma piuttosto del nostro passato — della nostra storia. Le scuole sono nate per servire fini religiosi e politici, e il sistema scolastico che oggi conosciamo è stato deliberatamente progettato fra il XVIII e XIX secolo con lo scopo di educare i bambini all’obbedienza, per servire un certo tipo di ordine sociale e un’economia di comando.
Come ha evidenziato l’educatore statunitense John Holt, la scuola che si basa sul modello di fabbrica one-size-fits-all è da considerarsi un uso del tutto inefficace del tempo dei bambini, in quanto “richiede a ogni bambino di apprendere argomenti specifici in un modo particolare, a un ritmo particolare e in un momento specifico, indipendentemente dalle esigenze attuali, future, dagli obiettivi o dalle conoscenze preesistenti che il bambino può avere sull’argomento”. Purtroppo, l’istruzione scolastica tradizionale è largamente improntata su metodi che derivano dal comportamentismo; che partono dalla premessa che i bambini sono un vuoto psichico da riempire con le nozioni della cultura dominante e da plasmare a proprio piacimento. Sotto questo aspetto, educare e inculcare sono sempre stati considerati sinonimi. Le nuove ricerche sul cervello dimostrano però che le teorie della vecchia psicologia non corrispondono alla realtà dei fatti, e che il cervello di un bambino non è qualcosa di meno di quello dell’adulto, e neppure paragonabile a un notebook pieno di pagine bianche come si pensava un tempo.
In verità, non vi è ancora una chiara comprensione del reale funzionamento dell’essere umano e di come funziona veramente il processo di apprendimento, ma ciò oggi che sappiamo è che l’apprendimento è qualcosa di assolutamente naturale. I bambini hanno una innata e incredibile capacità di apprendere. Basta osservare un bambino piccolo mentre impara per rivoluzionare le proprie idee sull’educazione: imparano in modo naturale, come risultato del loro istinto di giocare, esplorare, osservare, sperimentare se stessi.
Noi siamo stati condizionati a pensare che per apprendere sia necessario che qualcuno insegni qualcosa ma in realtà, in natura, l’apprendimento è auto-motivato e auto- diretto. Sempre più ricerche in ambito psicologico dimostrano che se la libera espressione del bambino non è soffocata, e gli si lascia scegliere in base al libero arbitrio, sceglierà quel che è meglio per lui ed è proprio ciò di cui abbiamo bisogno oggi: meno interferenze nella vita dei bambini e nel naturale processo di apprendimento. Istruendo i bambini a seguire ordini, insegnando loro “il modo giusto” di fare qualcosa, fornendo risposte preconfezionate e impedendo loro di scoprire le loro verità e privandoli del tempo per inseguire i loro interessi non li stiamo accompagnando verso la loro autonomia e indipendenza, ma stiamo letteralmente soffocando la loro naturale curiosità, socievolezza, e quella giocosità che li contraddistingue, intralciando il loro naturale percorso evolutivo.
Il naturale processo di apprendimento viene sistematicamente ostacolato da modelli educativi obsoleti. Bisogna dunque avere il coraggio di dirlo: le scuole come le conosciamo oggi non avranno spazio in futuro. Siamo stati condizionati a pensare che scuola sia sinonimo di educazione, ma in realtà ogni bambino viene al mondo biologicamente programmato per educare e realizzare se stesso. Seymour Papert (dei laboratori di intelligenza artificiale del MIT) è stato molto chiaro su questo punto, dicendo che tutto ciò che c’è da apprendere può essere appreso così come il bambino impara a parlare, in modo indolore, con successo e senza un’istruzione formale “organizzata”.
Inoltre, la standardizzazione uccide l’immaginazione, che è il vero motore dell’economia e del progresso. Perché dunque continuiamo a sostenere una vecchia ideologia pedagogica il cui scopo dichiarato è quello di livellare, pareggiare e rendere tutti conformi a uno standard predefinito? L’apprendimento non avviene attraverso la coercizione, ma piuttosto l’interesse (al contrario, qualsiasi insegnamento che non sia stato espressamente richiesto può diventare un ostacolo all’apprendimento). E in questa nuova economia è proprio questo che serve. Non più obbedienza e docile remissività, ma creatività, coraggio, audacia, iniziativa, imprenditorialità, leadership… tutte qualità sistematicamente soffocate dal sistema attuale.
Nel prossimo futuro, sempre più tempo sarà dedicato ad attività che le macchine non possono replicare, richiedendo più abilità sociali e emotive, creatività e capacità cognitive più avanzate. Le competenze tecnologiche sono solo una piccola parte di ciò che servirà nel prossimo futuro. Sono le “abilità umane” a essere importanti. Perciò, come sosteneva il filosofo e educatore statunitense Israel Schaeffler già negli anni Settanta, dobbiamo abbandonare l’idea di plasmare o modellare la mente dei bambini/ragazzi. La funzione dell’educazione deve piuttosto essere quella di liberare la mente, e rafforzare il potere personale dell’individuo attraverso l’auto-conoscenza, l’empatia, la risolutezza, l’intuizione e il pensiero critico e indipendente. Per questo, è importante ripristinare anche nell’adulto la curiosità infantile e l’interesse per l’apprendimento, e non condizionare i bambini attraverso un’educazione autoritaria, ideata per annientare tutti quei tratti naturali che contraddistinguono l’essere umano (iniziativa, creatività, giocosità, amore per l’apprendimento).
Oppure vogliamo andare avanti con un insegnamento tradizionale che addestra i bambini a diventare impiegati e consumatori, invece che leader e persone di successo? I metodi coercitivi non vanno per niente bene, e imporre agli altri ciò che devono imparare o meno, cercando di motivarli con il sistema dei premi e delle punizioni, invece che permettere loro di seguire i propri interessi è un approccio decisamente vecchio e assolutamente controproducente che trasforma l’apprendimento da un’attività naturale, stimolante, briosa in una cosa da evitare a tutti i costi.
Questo modo di educare è un vero e proprio repellente anche per la propria vocazione che, come sottolineato dallo psicologo statunitense James Hillman, viene ostacolata dalla scuola tradizionale. Al bambino non è infatti permesso di seguire i suoi interessi. Viene obbligato a seguire un certo percorso che nella maggior parte dei casi non è in linea con la sua volontà, i cui ritmi sono scanditi dal suono della campanella, e gli viene richiesto di imparare attraverso delle modalità che sono in contrasto con i modi naturali di apprendimento dei bambini. Come ha scritto John Medina, “Se volessi creare un ambiente educativo che fosse direttamente opposto a quello che il cervello è bravo a fare, probabilmente creerei qualcosa come un’aula scolastica.”
Prova invece a immaginare quanto potenziale può essere sprigionato se ai bambini fosse permesso di assumersi la responsabilità della loro educazione. Nuovi studi e ricerche nel campo dell’educazione e della psicologia, e l’esempio concreto di varie scuole democratiche sparse per il mondo (come ad esempio la Sudbury Valley School) dimostrano inequivocabilmente che l’apprendimento auto-diretto è molto più efficace e rispettoso del tempo e della dignità del bambino. La loro curiosità insaziabile e la possibilità di seguire i propri interessi in un ambiente protetto e sicuro in cui possono fare esperienza di se stessi, non solo promuove uno stile di vita soddisfacente, ma li porta in modo naturale a sviluppare tutte quelle capacità che sono oggi considerate essenziali per avere successo in questa nuova economia. Cosa che invece non si realizza all’interno dell’istruzione scolastica tradizionale, che sembra essere sempre più lontana dalla realtà e dalle richieste del mercato.
Come ha affermato il Professore di psicologia all’Università di Torino Gian Piero Quaglino, l’auto-apprendimento è più in sintonia con i processi naturali di sviluppo psicologico e più efficace proprio perché diretto da motivazione intrinseca, e quindi l’individuo è spinto a seguire i propri interessi e la propria vocazione, piuttosto che qualcos’altro che gli viene imposto da terzi. E poi, nessuno può sapere esattamente quali conoscenze saranno più necessarie nel futuro, ed è dunque insensato cercare di insegnarle in anticipo. Oggi l’importante è innamorarsi dell’apprendimento, e imparare ad apprendere così bene da essere in grado di utilizzare questa skill per imparare tutto ciò che è necessario senza difficoltà. È davvero molto importante per tutti diventare degli studenti auto-diretti per tutta la vita, altrimenti si rischia di rimanere intrappolati in un passato che ormai non c’è più.
Insomma, siamo nel XXI secolo, nell’era post-industriale, post-Fordismo, post- Taylorismo… e il futuro si sposta in questa direzione. Dunque, perché fossilizzarsi sui metodi tradizionali d’insegnamento e continuare a non permettere ai bambini di essere/divenire ciò che sono e di apprendere secondo i loro bisogni, sulle basi delle particolarità di ognuno?
“Gli analfabeti dei XXI secolo non saranno quelli che non sanno leggere e scrivere, ma quali che non saranno in grado di imparare, disimparare e reimparare”.
Alvin Toffler
Referenze:
- Jobs lost, jobs gained: workforce transitions in a time of automation.
- Machines Will Do More Tasks Than Humans by 2025 but Robot Revolution Will Still Create 58 Million Net New Jobs in Next Five Years, https://www.weforum.org/press/2018/09/machines-will-do-more-tasks-than-humans-.
- The Future of Employment: How Susceptible are Jobs to Computerization? https://www.oxfordmartin.ox.ac.uk/downloads/academic/The_Future_of_Employment.pdf.
- The Future of Jobs report 2018: https://www.weforum.org/reports/the-future-of-jobs-report-2018.
Articolo a cura di Francesco Ferzini
Francesco Ferzini è uno scrittore, ricercatore e formatore che si occupa di leadership e sviluppo del potenziale umano.
La sua missione è quella di promuovere una nuova educazione, aiutare le persone a sviluppare il talento della leadership e riscoprire chi sono, con l’obiettivo che ognuno possa allinearsi alla propria vocazione, realizzandosi nella propria vita professionale e privata.
Pluriennale esperienza nel business internazionale, ha conseguito il Master of Business Administration (MBA) presso Curtin University of Technology CGSB in Australia, è specialista in marketing e vendita con attestato federale presso Swiss Marketing Club SMC, Svizzera.