I caratteri della dirigenza pubblica per un “POLA” davvero efficace

L’anno 2020 appena trascorso sarà ricordato nei libri di storia per il disastro mondiale causato dal COVID-19 e ai posteri certamente verrà dato conto sia dell’elevato contributo pagato dall’intero pianeta in termini di vite umane che degli ingenti danni prodotti dalla grave pandemia sulla economia di molte nazioni.

Dal canto loro, gli studiosi di sociologia organizzativa, per certo, non mancheranno di analizzare le tante e diverse forme di relazione interpersonale attivate in conseguenza dell’obbligato “confinamento”, resosi indispensabile per contenere la diffusione del virus, dedicando attenzione, quanto meno, alle metodologie del lavoro a distanza e agli strumenti alternativi alla didattica in presenza, messi in campo per calmierare i limiti funzionali e comunicativi generati dal “distanziamento sociale”.

Quanto al lavoro svolto dagli uffici pubblici durante la emergenza sanitaria, uno dei temi su cui la scienza argomenterà potrà essere il “lavoro agile” (da alcuni più spesso indicato con il termine anglofono di “smart working”). E ciò vieppiù perché, in costanza di pandemia, questa modalità si è sempre più confermata opportunità di autentico “cambiamento” per le organizzazioni (anche come superamento del “telelavoro”) tanto da dare origine a specifiche “Linee Guida” finalizzate alla costruzione di un (POLA)[1] come opportunità per passare dalla fase emergenziale a quella ordinaria.

In attesa che sia scritta la storia, appare opportuno mettere a fuoco alcuni aspetti che chiariscano il rilievo acquisito dalla nuova prassi lavorativa ma, soprattutto, le peculiarità richieste a coloro ai quali è domandato lo sforzo di realizzare il POLA come presupposto per efficientare i pubblici uffici.

Il “telelavoro”, previsto e disciplinato da norme ad hoc già intorno agli ultimi anni del secolo scorso[2] è risultato scarsamente compreso dalla dirigenza pubblica e ancor meno utilizzato, tanto da indurre il Parlamento nazionale – ancora nel 2015 – a raccomandare l’adozione di “misure organizzative volte a fissare obiettivi annuali… anche al fine di tutelare le cure parentali” ricorrendo a “nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa“[3].

Eppure nei primi anni del corrente secolo ricerche di spessore avevano considerato come le modalità del “lavoro agile” potessero costituire un “fattore di flessibilità e leva per la reingegnerizzazione dei processi organizzativi” occorrenti alla “modernizzazione della P.A.”. Quegli studi ne avevano analizzato i punti di forza (da valorizzare) e quelli di debolezza (da ridurre), al fine di offrire al management delle pubbliche amministrazioni l’opportunità di definire progetti per la sperimentazione del “telelavoro”[4]; né era mancata da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri l’attenzione verso le forme del lavoro flessibile nelle amministrazioni pubbliche[5]. Tuttavia, la delega del 2015 troverà recepimento solo due anni dopo in una Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri che, esponendo linee guida e regole indirizzate al “cambiamento della cultura organizzativa” nelle pubbliche amministrazioni, introdurrà nella organizzazione del lavoro pubblico l’ulteriore metodica dello “smart working”, intesa, nell’ottica non soltanto di una maggiore produttività ed efficienza ma anche per la responsabilizzazione del personale dirigente e non, come l’opportunità per valorizzare le risorse umane e razionalizzare quelle strumentali disponibili[6]. La spinta ad emancipare il “telelavoro” verso il “lavoro agile” (smart working), come la stessa Direttiva n.3/2017 evidenzia, si deve all’intervento del Parlamento europeo che il 13 settembre 2016 sulla scorta delle ricerche volute da organismi della Unione[7] ha adottato la Risoluzione 2016/2017(INI) finalizzata a dare corpo alla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale. Questo salto di qualità della pratica del lavoro risulta del tutto evidente nella legge nazionale del 2017[8], che vede come destinatario anche il pubblico impiego, contenente misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale, che dedica l’intero Capo II al “Lavoro agile”, asseverato a una misura in grado di favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato, stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Con riferimento a questa inquadratura, che presenta il “lavoro agile” come una modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzata da livelli di autonomia e di responsabilità, le “Linee Guida” riferite al POLA, in una logica di gestione del cambiamento organizzativo della pubblica amministrazione per valorizzare al meglio le opportunità rese disponibili dalle nuove tecnologie, individuano specifici caratteri tra i quali rivestono un ruolo strategico la “cultura organizzativa” e le “tecnologie digitali”[9].

Il POLA, peraltro, costituendo lo strumento di programmazione del “lavoro agile” nei pubblici uffici, dovrà contenere modalità di attuazione e di sviluppo e non ridursi alla programmazione degli obiettivi delle strutture e degli individui ai quali consentire la prassi del lavoro fuori dai locali dell’amministrazione. Inoltre, il “Piano” dovrà esporre sia le misure organizzative, i requisiti tecnologici e i percorsi formativi del personale – che costituiscono condizioni abilitanti della metodologia – sia gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti prevedendo una misurazione degli impatti interni ed esterni della nuova metodologia organizzativa. Ma c’è di più: il POLA resta “specifica sezione del Piano della performance dedicata ai necessari processi di innovazione amministrativa da mettere in atto nelle amministrazioni pubbliche ai fini della programmazione e della gestione del lavoro agile”.

Da qui la necessità di prestare attenzione alle competenze occorrenti ai soggetti chiamati a redigere il “Piano Organizzativo del Lavoro Agile”.

Per queste ragioni risulta di tutta evidenza che a quei dirigenti pubblici va chiesto di assumere la veste di promotori dell’innovazione dei sistemi organizzativi e di programmare e monitorare gli obiettivi individuati come realizzabili attraverso il “lavoro agile”.

In poche parole, come affermano le “Linee Guida” del POLA, alla dirigenza pubblica è “richiesto un importante cambiamento di stile manageriale e di leadership”; cambiamento che diviene la chiave di volta del possibile, se non addirittura necessario e irrinunciabile, successo dello stesso POLA.

Dunque s’impone in questa fase la presenza di una dirigenza in grado di espletare il ruolo del “leader agile” vale a dire un lavoratore che sappia definire e presidiare regole connesse a obiettivi di lavoro lontani da un approccio comando-controllo sforzandosi di alimentare nuove modalità operative. Questa figura dirigenziale avrebbe anche il compito di sostenere i comportamenti delle persone al lavoro attraverso un rapporto basato essenzialmente sulla fiducia, comune denominatore delle azioni di crescita dell’intera organizzazione, per ricondurre ogni attività allo scopo primario di efficienza, di efficacia e di economicità dell’attività finalizzata alla mission dell’ente[10]. In questo compito, come peraltro acutamente segnalano le “Linee Guida”, potranno costituire valido supporto le Direzioni competenti per la gestione del personale alle quali va affidato il compito di “fungere da cabina di regia del processo di cambiamento” (anche in considerazione delle valutazioni connesse alla “salute” organizzativa, professionale, digitale ed economico-finanziaria dell’Ente, considerata condizione abilitante ovvero presupposto che aumenta la probabilità di successo della nuova misura organizzativa.

Le peculiarità dinanzi tratteggiate delineano il carattere di una “leadership partecipativa” che porta a valorizzare ed estendere esperienze virtuose, ma anche in grado di rendere note le esperienze più critiche su cui generare nuove soluzioni e opportunità di apprendimento utilizzando il confronto esteso. A queste condizioni il dirigente pubblico, anche investendo sui processi di delega, che portano ad ampliare autonomia e responsabilità individuale, diventa collante tra le persone al lavoro.

Il “leader agile” si dovrà impegnare pure nel promuovere uno specifico percorso formativo che dia corpo a un “processo di apprendimento” utile alla costruzione di logiche cognitive capaci di porre l’accento sulla strategicità del “lavoro agile” e indirizzare le persone al lavoro verso il comune e condiviso obiettivo di meglio impiegare le risorse di tutti per il bene comune[11]. Sarebbe auspicabile che detto percorso si svolgesse facendo ricorso alla metodologia della “formazione-intervento” che risulta sicuramente atta a finalizzare l’impegno degli individui alla praticabilità delle soluzioni condivise dal momento che presenta il pregio di sviluppare il potenziale che è dentro ogni persona fornendo stimoli sia per affrontare i cambiamenti sia per trovare soluzioni praticabili in una logica sistemica di integrazione dei saperi e di partecipazione delle competenze[12].

Note

[1]Linee Guida sul Piano Organizzativo del Lavoro Agile (POLA) e indicatori di performance” – approvate con Decreto della Ministra della Pubblica Amministrazione del 9 dicembre 2020 –.

[2] Legge 16 giugno 1998, n. 191 e D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70 a cui fa riferimento l’Accordo quadro nazionale stipulato il 23 marzo 2000.

[3] Legge 7 agosto 2015, n. 124 – “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.

[4] Si veda, Poti U., Lavoro pubblico e flessibilità, Analisi e strumenti per l’innovazione, Rubbettino, Roma, 2002.

[5] Della Rocca G., Sarcina R., I rapporti di lavoro flessibile nelle amministrazioni pubbliche, Rubbettino, Roma, 2004.

[6]Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri recante indirizzi per l’attuazione dei commi 1 e 2 dell’articolo 14 della Legge 7 agosto 2015, n. 124 e linee guida contenenti regole inerenti all’organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti” dell’1giugno 2017, n. 3.

[7] A queste considerazioni il Parlamento europeo era giunto prendendo le mosse da una serie di studi e di ricerche della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (EUROFOUND): quello su “Orario di lavoro ed equilibrio tra lavoro e vita privata nella prospettiva dell’arco di vita” (2013); quello dal titolo “Prendersi cura dei figli e di altre persone a carico: effetto sulla carriera dei giovani lavoratori” (2013); ancora quello dal titolo “Lavoro e cura: misure di conciliazione in tempi di cambiamento demografico” (2015); e la” Sesta indagine europea sulle condizioni di lavoro (EWCS)” (2016). Si confrontino altresì gli studi della medesima Fondazione del 2015 su “Evoluzione dell’orario di lavoro nel XXI secolo” e su “Promuovere il congedo parentale e di paternità tra i padri”, che sono in intima relazione con quanto contenuto nella relazione della Rete europea di enti nazionali per le pari opportunità (EQUINET), dell’8 luglio 2014, dal titolo “Enti per le pari opportunità che promuovono un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata per tutti”.

[8] Legge 22 maggio 2017, n. 81 – “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.

[9] Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, infatti, definisce lo “smart working” (il nostro “lavoro agile”) un “modello di organizzazione del lavoro che si basa sulla maggiore autonomia del lavoratore che, sfruttando appieno le opportunità della tecnologia, ridefinisce orari, luoghi e in parte strumenti della propria professione. È un concetto articolato, che si basa su un pensiero critico che restituisce al lavoratore l’autonomia in cambio di una responsabilizzazione sui risultati, mentre il telelavoro comporta dei vincoli ed è sottoposto a controlli sugli adempimenti”.

[10] Sul tema si veda, De Giosa V., Di Sabato T., Le organizzazioni di successo, Youcanprint, Lecce, 2020.

[11] Cfr. Bochicchio F., Di Sabato T., Apprendimento e cambiamento nelle organizzazioni, Libellula, Tricase, 2018.

[12] Sul tema si veda, Di Gregorio R., La Metodologia della Formazione Intervento, Impresa Insieme, San Donato milanese, 2007.

 

Articolo a cura di Tommaso Di Sabato

Profilo Autore

Docente presso la Scuola di Alta Formazione della UNINT- Roma e Collaboratore del Consorzio Interuniversitario sulla Formazione – Torino.
Già Direttore vicario della Ripartizione Risorse Umane di UNISALENTO e Professore a contratto dei Corsi di Laurea in Scienza dell'Amministrazione - Facoltà di Giurisprudenza di UniTELMA – Roma.

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