I leader di oggi e la formazione che valorizza le persone al lavoro

La formazione nelle organizzazioni s’identifica sempre meno con le mansioni e con i luoghi dove avviene l’apprendimento in quanto risulta particolarmente rilevante l’attenzione verso le persone al lavoro, sicché è possibile affermare che si è determinata una transizione da una formazione intesa come pratica organizzativa a una che invece, più opportunamente, delinea un’attività avente rilievo sociale ed educativo.

Ammonisce Aureliana Alberici: “La formazione non può più galleggiare tra il mondo dell’utopia educazionale e il pragmatismo spesso praticone o di pura tecnicità, ma deve potere essere, otre che predicata e agita, anche pensata attraverso una sua fondazione teorica[1]”. A questa condizione la formazione delle persone al lavoro appare essere la ricetta per superare la tradizionale dicotomia di “educazione” versus “formazione” e manifestarsi come processo che, da un lato, risponda ai bisogni della realtà economica mutevole (tecnologie e normative in evoluzione) e, dall’altro, sia in grado di fornire soddisfazione alle aspettative di conoscenza delle persone che operano nelle organizzazioni; alle quali, peraltro, deve essere offerta una concreta motivazione stimolando e rafforzando in esse il desiderio di contribuire direttamente al successo dell’organizzazione per effetto della “eudaimonia”, pungolata da una “formazione generativa” atta a produrre, al contempo, sia lo sviluppo professionale che il benessere individuale[2].

Già Edgar Morin aveva affermato che “nessuna strategia può consentirci di avanzare entro ciò che è incerto e aleatorio se la pedagogia, in quanto scienza dell’educazione, non saprà ritessere criticamente i nodi delle ragioni e dei valori della educazione, per agire con competenza nei contesti di vita e di lavoro[3]”.

Da quanto innanzi discende l’assunto che il management delle organizzazioni di oggi deve avere consapevolezza che la formazione destinata a quanti sono al lavoro necessita di essere attenta alla persona – concepita nel suo senso olistico – e abbracciarne l’intera esistenza, né può riguardare più esclusivamente la pratica lavorativa.

Tale postulato trova conferma negli studi di Gilberto Antonelli, che riconosce come una vera e propria “rivoluzione” il processo di ampliamento dell’offerta formativa, inteso come diritto di accedere a molteplici opportunità di apprendimento durante tutto l’arco della vita trasformando il mondo della formazione professionale in formazione continua di educazione degli adulti[4]. Tuttavia, si deve a Franco Bochicchio il merito di avere segnalato che l’apprendimento nelle organizzazioni (da tempo) fa registrare una transizione da una formazione intesa come pratica educativa, legata alle attività, a una formazione dalle gradazioni cromatiche problematiche[5], correlata all’evoluzione del significato stesso del lavoro, oggi meno stabile è più fluido, oltre che alla globalizzazione dei sistemi sociali ed economici.

Un manager incapace di cogliere le sollecitazioni innanzi esposte come indicatori del cambiamento necessario per la propria organizzazione sarebbe esposto al rischio di rimanere nel limbo dell’aggiornamento del personale, ancorato essenzialmente alla prestazione o, peggio ancora, alla mera certificazione del possesso di competenze. Sarebbe questa la fattispecie in cui il management delle organizzazioni rischierebbe di privilegiare qualsivoglia esperienza collegata alle innovazioni tecnologiche piuttosto che alla novella legislativa trascurando, invece, la messa a punto delle iniziative in grado di assicurare il salto di qualità alla organizzazione stessa. Al manager al passo con i tempi si chiede, invece, di sapersi adoperare, in ambito formativo, affinché vengano rimossi gli ostacoli che, considerando le persone al lavoro soltanto come risorse, perpetrano l’affogamento della loro intelligenza. Pertanto, è possibile affermare che occorrono manager proiettati verso una formazione organizzativa che aiuti gli individui a evolvere dalle tradizionali forme della semplice memorizzazione al meta-apprendimento. A questi manager si deve chiedere lo sforzo di definire percorsi formativi che, lungi dal sostanziarsi in eventi compartimentalizzati, siano frutto della costruzione di logiche operative finalizzate all’accrescimento delle conoscenze attraverso un vero e proprio percorso di “valorizzazione delle persone”; percorso durevole e fluido, costruito per soddisfare istanze che, messa da parte le necessità di una mera professionalizzazione, guardino a quelle di matrice sociale (la sicurezza, la parità di genere o la conciliazione lavoro/famiglia) oppure a quelle culturali (la conoscenza, la comunicazione); istanze, peraltro, funzionali a irrobustire la cultura organizzativa, presupposto di quel clima organizzativo necessario a dare la percezione di essere tutti (management e operatori) protesi al cambiamento verso il successo dell’organizzazione.

Insomma, al leader che ha come traguardo il successo dell’organizzazione va chiesto, come auspica Gian Piero Quaglino[6], di mettere in luce l’istanza ineludibile di restituire centralità alle “persone”.

Ciò sarà possibile nella misura in cui, ampliando i tradizionali orizzonti delle pratiche, dall’oggettività dei contenuti tecnici alle meta-competenze (o competenze strategiche), il manager comprenderà che l’oggetto della formazione organizzativa deve essere ridefinito a partire dal soggetto, ribaltando il tradizionale modo di prospettare soluzioni in vista di risolvere situazioni riconosciute insoddisfacenti. È questa la linea strategica che Quaglino definisce come la via della “terza formazione”, vale a dire la “scuola della vita”, intesa come “…spazio in cui ci si dovrebbe occupare di tutto ciò che ci è più vicino, che veramente ci riguarda, che più ci ‘sta a cuore’; come uno spazio in cui la nostra stessa vita possa essere pensata e ripensata per tutto ciò che cerca e vuole, attende e pretende, interroga e sfida, fatica e conquista”[7].

 

Note

[1] A. Alberici, Prospettive epistemologiche. Soggetti, apprendimento, competenze, in D. Demetrio, A. Alberici (a cura di) Istituzioni di educazione degli adulti, Guerini, Milano, 2002, p. 180.

[2] Cfr. S. Gheno, La formazione generativa. Un nuovo approccio all’apprendimento e al benessere delle persone e delle organizzazioni, Franco Angeli, Milano, 2010.

[3] A. Muschitiello, Dal tirocinio all’apprendistato inteso come innovativo strumento di placement. Una ricerca nell’Università di Bari, Formazione & Insegnamento, X, 2012, p. 279.

[4] G. Antonelli, L’esperienza dell’Emilia Romagna. L’education come sistema integrato per l’apprendimento, in C. Torrigiani, I. Van Der Vliet (a cura di), Formazione integrata e competenze, Carocci, Roma, 2002, p. 54

[5] F. Bochicchio, Educazione degli adulti e formazione continua: problemi e prospettive emergenti, Studium Educationis, 1, 2001.

[6] Cfr. G.P. Quaglino, La scuola della vita. Manifesto della terza formazione, Raffaello Cortina, Milano, 2010.

[7] Ivi, p. 14

 

Articolo a cura di Tommaso Di Sabato

Profilo Autore

Docente presso la Scuola di Alta Formazione della UNINT- Roma e Collaboratore del Consorzio Interuniversitario sulla Formazione – Torino.
Già Direttore vicario della Ripartizione Risorse Umane di UNISALENTO e Professore a contratto dei Corsi di Laurea in Scienza dell'Amministrazione - Facoltà di Giurisprudenza di UniTELMA – Roma.

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