Idoneità e inidoneità allo svolgimento delle mansioni

Premessa

L‘esposizione contenuta nel presente intervento deve intendersi riferita al regime generale della disciplina della materia dell‘inidoneità alla mansione, al di fuori pertanto del perimetro temporale di vigenza della legislazione COVID19, che ha introdotto il c.d. blocco dei licenziamenti fino a fine anno 2020. La corrispondente lettura dovrà tenere conto della situazione temporanea di sterilizzazione del potere datoriale di licenziamento fino alla data del 31 dicembre 2020. In un prossimo intervento verranno esaminate, alla luce della situazione verificabile successivamente al 15 ottobre 2020 (scadenza del periodo di emergenza sanitaria) le ipotesi connesse del comportamento del datore di lavoro, in persistenza del divieto di licenziamento (possibilità di sospensione del rapporto e della retribuzione) e della c.d. sorveglianza sanitaria “speciale“, disciplinata dalla legislazione dell‘emergenza per la categoria dei lavoratori “fragili“.

Inidoneità totale o parziale

La sopravvenuta infermità permanente (o quantomeno la cui durata temporale sia indeterminata o indeterminabile), per ragioni che non dipendono dal lavoro svolto, se comporta l’inidoneità (anche parziale: Cass. 14065/1999) del lavoratore a svolgere le mansioni assegnategli, può costituire un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, per impossibilità sopravvenuta della prestazione (Cass. 3224/2014). Il datore di lavoro può intimare il licenziamento senza attendere necessariamente il compimento del periodo di comporto (Cass. 14065/1999).

Perché il licenziamento sia legittimo devono sussistere le seguenti condizioni:

  • stato di malattia/infermità tale da non consentire una prognosi definitiva di durata (Cass. 9067/1993);
  • assenza in capo all’azienda di un apprezzabile interesse alle prestazioni lavorative (anche ridotte) del dipendente (Cass. 5713/1993);
  • impossibilità di adibire il dipendente a mansioni equivalenti o anche inferiori, compatibili con il suo stato fisico (fermo restando che il ricollocamento del lavoratore deve avvenire senza alterare, o imporre modifiche all’assetto organizzativo dell’azienda) (Cass. 15348/2012; Cass. 8419/2018).

Il datore di lavoro può dunque intimare il licenziamento (ex art. 1464 cod. civ.). La legittimità del recesso deve essere valutata al momento dell’intimazione, non rilevando l’eventuale, successivo recupero dell’idoneità da parte del lavoratore (Cass. 1373/2005).

L’accertamento dell’inidoneità alla prestazione, qualora non possa essere effettuata dal medico competente, previsto dalla normativa in materia di sicurezza e salute sul lavoro (d.lgs. 81/2008), deve essere effettuata dalla Commissione medica istituita presso l’ATS competente per territorio. Peraltro, va detto che il giudizio della Commissione non è vincolante per il Giudice che sia investito della relativa controversia sul licenziamento intimato (Cass. 16195/2011): il Giudice potrebbe nominare un Consulente Tecnico medico nell’ambito del processo (Cass. 7065/2018) e giungere a conclusioni diverse tramite le risultanze della relativa perizia medico-legale.

L’assegnazione ad altre mansioni: limiti e modalità

L’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti è riconosciuta anche quando il datore di lavoro dimostri che una diversa utilizzazione in altra unità e/o reparto dell’azienda possa essere effettuata solo con un maggiore onere economico o modificando le proprie scelte organizzative.

Qualora per evitare il licenziamento sia possibile solo l’assegnazione a mansioni inferiori, il lavoratore deve esprimere la dichiarata disponibilità ad accettare la variazione di ruolo.

(segue) L’impossibilità sopravvenuta della prestazione di lavoro: approfondimenti

Nell’ipotesi di incapacità fisica o psichica del lavoratore si configura un caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione, ferma restando la differenziazione tra l’inidoneità fisica temporanea, riconducibile all’art. 2110 cod. civ. (malattia) e l’inidoneità fisica permanente (o, quanto meno, di durata indeterminata o indeterminabile), legittimante il recesso/licenziamento ex art. 1464 cod. civ. (Cass. 15500/2009; Cass. 1373/2005; Cass. 11092/2005).

È legittimo il licenziamento determinato dalla sopravvenuta inidoneità fisica a svolgere le mansioni assegnate, ove l’affezione morbosa sia irreversibile e inemendabile (Cass. 5777/1998; Cass. 1067/1996), tale da comportare una sopravvenuta e permanente inidoneità fisica o psichica a svolgere le mansioni affidate (Cass. 25883/2008), ravvisandosi nel caso di inidoneità totale una impossibilità assoluta per il venir meno della causa del contratto, non riconducibile ai casi di sospensione ex artt. 2110 e 2111 cod. civ. (malattia, infortunio, gravidanza, etc.).

Il giudizio sull’inidoneità può essere formulato anche in termini previsionali o probabilistici, con la conseguenza che il lavoratore affetto da una malattia diagnosticata come irreversibile potrebbe essere licenziato per giustificato motivo oggettivo senza attendere il decorso del periodo di comporto (Cass. 3571/1992).

In presenza di un’impossibilità assoluta, si determina la risoluzione del rapporto senza necessità di esprimere l’assenza di interesse al mantenimento del vincolo giuridico (ormai privo di valore), dovendosi anche escludere, ai sensi dell’art. 1322, comma 2, cod. civ., che l’autonomia privata possa mantenere ugualmente in vita il rapporto contrattuale (Cass. 16375/2002).

In caso di assenze reiterate e discontinue, il datore può chiedere di accertare la sopravvenuta inidoneità fisica ai fini del licenziamento ex art. 1464 cod. civ., oppure attendere il superamento del comporto di malattia per risolvere il rapporto ex art. 2110 cod. civ.

Da notare che nel caso di sopravvenuta infermità il giustificato motivo di licenziamento non è ravvisabile solo nella ineseguibilità della prestazione lavorativa, poiché può essere escluso dalla possibilità di altra attività riconducibile alle mansioni attualmente assegnate o equivalenti o, se impossibile, a mansioni inferiori, purché essa attività sia utilizzabile dall’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore (Cass. ss.uu. 7755/1998; Cass. 16141/2002). Il vincolo di verificare l’esistenza di una collocazione alternativa è escluso invece nel caso di ineseguibilità della prestazione.

Nelle ipotesi di sopravvenuta inidoneità fisica di imprevedibile durata, si ritiene che la legittimità del licenziamento debba essere valutata al momento dell’intimazione del licenziamento, non rilevando l’eventuale successivo recupero, da parte del lavoratore della propria (piena) idoneità fisica (Cass.1373/2005).

Impossibilità sopravvenuta della prestazione ed emergenza sanitaria COVID19 – Il regime temporaneo 2020

Il blocco dei licenziamenti disposto fino al prossimo 31 dicembre 2020, stabilito dai provvedimenti legislativi emergenziali (da ultimo il decreto Agosto 104/2020) riguarda anche i casi di licenziamenti per sopravvenuta inidoneità alla mansione.

Lo ha precisato l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota 298 del 24 giugno 2020, con la quale ha fornito chiarimenti in merito alla esatta individuazione dell’ambito di applicazione generale divieto.

La Direzione centrale coordinamento giuridico dell’INL con la citata nota ha infatti chiarito che nel blocco dei licenziamenti devono essere ricondotte “tutte le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L.n.604/66”, ciò in quanto la sospensione in esame ha carattere generale. Conseguentemente, lo stop dei licenziamenti disposto dai decreti legge emergenziali riguarda tutte le ipotesi di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge 15 luglio 1966, n.604 (oltre che i licenziamenti collettivi).

Poiché la sopravvenuta inidoneità alla mansione costituisce – secondo un consolidato orientamento del Supremo Collegio – un tipico esempio di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, è evidente che anche tale ipotesi rientra nella sospensione dei licenziamenti disposto dall’esecutivo Conte per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID19.

Come precisato dall’INL, l’obbligo di repêchage rende “la fattispecie in esame del tutto assimilabile alle altre ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, atteso che la legittimità della procedura di licenziamento non può prescindere dalla verifica in ordine alla impossibilità di una ricollocazione in mansioni compatibili con l’inidoneità sopravvenuta”.

Le Sezioni Unite, a partire dalla storica decisione 7755/1998, in innumerevoli occasioni hanno infatti chiarito che la sopravvenuta inidoneità del dipendente alle mansioni di originaria adibizione non costituisce un autonomo motivo di recesso per il datore di lavoro, essendo quest’ultimo tenuto appunto all’obbligo di ripescaggio.

Ai fini della legittimità del recesso datoriale, ex art. 3, L. n. 604/66, l’imprenditore, prima di intimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, deve infatti valutare la possibilità di impiegare il lavoratore in altre attività riconducibili alle mansioni originarie o equivalenti. Il datore di lavoro può addirittura adibire il lavoratore a mansioni inferiori, previo consenso del dipendente; ciò in considerazione del fatto che il licenziamento costituisce l’extrema ratio.

Il chiarimento dell’Ispettorato Nazionale è di estrema rilevanza in quanto, in sede di primi commenti, la dottrina maggioritaria e gli operatori del settore erano unanimi nel ritenere esclusi dalla sospensione in esame i licenziamenti per sopravvenuta inidoneità alla mansione.

Invece l’INL, disattendendo tale orientamento maggioritario, ha chiarito che nel regime emergenziale (così dal 17 marzo 2020 e fino al 31 dicembre 2020) sono preclusi tutti i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.

A tal uopo si rammenta altresì che il blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo riguarda tutte le aziende indipendentemente dal numero del personale in forza e, quindi, non solo quelle che occupano più di 15 dipendenti.

Tale divieto, volto a incentivare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali qualora non sia possibile fare ricorso allo smart working, alle ferie, ai congedi parentali straordinari, ha carattere generale e pertanto riguarda tutti casi ricondotti dalla giurisprudenza nell’alveo del giustificato motivo oggettivo, ivi compresi i recessi datoriali per sopravvenuta inidoneità alla mansione del dipendente.

Sono ricondotte nell’alveo del giustificato motivo, secondo un’elencazione dell‘INL, i seguenti casi di licenziamento:

– per chiusura dell’attività;
– per riduzione dell’attività;
– per esternalizzazione dell’attività;
– per introduzione di nuovi macchinari;
– per soppressione del posto di lavoro;
– per sopravvenuta inidoneità alla mansione;
– per superamento del periodo di comporto;
– per scarso rendimento e per eccessiva morbilità del lavoratore;
– per provvedimenti di autorità amministrativa o giudiziaria.

In tutte queste ipotesi, i recessi datoriali individuali per giustificato motivo oggettivo sono vietati fino al 31 dicembre 2020.

 

Articolo a cura di Pasquale Dui (redatto in data 15 settembre 2020)

Profilo Autore

Avvocato - Partner presso DV-LEX DUI VERCESI & PARTNERS Studio Legale - Professore a contratto di diritto del lavoro - Revisore Legale - Giornalista pubblicista

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