Il Business Case accademico come metodo didattico e strumento di marketing
Negli anni ‘20 del 1900, la Harvard Law School introduce una metodologia didattica basata su casi reali, un nuovo metodo che si deve all’intuizione di Christopher C. Langdell, professore e preside dal 1879 al 1895.
Di fatto, il sistema legale anglosassone si presta a questa metodologia che replica un evento o una serie di eventi, reali e vissuti, in un contesto “protetto” come quello di un’aula con l’esclusiva finalità di apprendimento.
Dalla scuola di legge i casi sono poi approdati alla Harvard Business School, fondata nel 1908, che ne ha fatto, nel tempo, il proprio elemento distintivo.
Sotto il preside HBS Dunham, fra il 1920 e il 1947 sono stati redatti ben 18,900 casi, pari ad una media di 58 casi al mese. L’idea di fondo era geniale: la Business School doveva disporre di un database di casi che consentisse alle aziende di trovare fra essi una soluzione ai propri problemi di business.
E oggi, dopo poco più di un secolo, circa 14,000 Business School utilizzano i casi nei loro corsi.
La sola Harvard Business School ha venduto nel corso del 2011 circa 9,764,000 casi con un tasso di crescita anno su anno pari a circa il 7%. I casi oggi non rappresentano più un database di soluzioni per le aziende ma dei validi strumenti didattici.
La struttura tipica dei casi prevede che vi sia la descrizione di un’azienda (sia da un punto di vista interno – la sua storia, i suoi prodotti – sia esterno – il settore, il mercato di riferimento e i clienti, i concorrenti e così via) e un eventuale problema o set di problemi o un’opportunità. L’approccio didattico mette gli studenti al centro costringendoli a prendere delle decisioni in condizioni di incertezza che replicano di fatto i processi decisionali che le aziende si sono trovate ad affrontare. Si hanno diverse tipologie di casi in funzione delle informazioni che vengono date; delle finalità didattiche (per esempio relegandoli a specifiche funzioni aziendali); o del mix contesto-problema o del processo opportunità-decisione-conseguenze.
Nella prima fase, gli studenti leggono individualmente i casi, e nella fase centrale discutono collegialmente di fronte al docente le opzioni e decisioni. Contrariamente alla didattica tradizionale, il docente si astiene dal fornire opinioni o strumenti sui problemi in discussione ma lascia che gli studenti arrivino a delle soluzioni concordando tra loro. Solo alla fine, di solito, il docente introduce i concetti didattici a supporto. In alternativa, il caso è spesso utilizzato come un articolato esempio di applicazione dei concetti e degli strumenti teorici forniti dal docente che, in questo modo, supporta l’apprendimento attraverso la concreta e immediata applicazione di quanto sviluppato nella prima parte d’aula. In questo caso, viene preventivamente fornito il costrutto teorico e successivamente viene discusso il caso in una sessione plenaria, dopo che i discenti hanno letto il caso individualmente.
Il metodo di insegnamento si basa su diversi elementi. Il primo relativo al fatto che le persone imparano meglio quando partecipano a una conversazione rispetto a quando ricevono passivamente un messaggio. Il secondo riguarda il rapporto con i peer, i pari: è dimostrato che è molto più efficace l’apprendimento da pari. Infine, un gruppo produce risultati superiori rispetto al contributo di ciascun partecipante.
Come ogni metodologia didattica, anche questa mostra alcuni limiti. Il principale è rappresentato dal fatto che il caso imita o simula la realtà ed è difficilmente replicabile in una situazione successiva. Il contesto storico di riferimento infatti non necessariamente si ripete ed elementi esogeni possono influenzare i risultati di eventuali situazioni simili.
Se questi aspetti didattici e pedagogici del “case teaching method” sono più noti e analizzati, un elemento è stato poco approfondito ed è il punto di vista dell’azienda protagonista del caso. Trattandosi di “field case” cioè un caso basato sulle interviste ai protagonisti (rispetto ai così detti “library case” che si basano su pubblicazioni a disposizione di tutti), descrive l’azienda e le scelte che nel tempo l’hanno caratterizzata in relazione alle sfide che ha dovuto affrontare e alle opportunità che ha saputo cogliere dal punto di vista diretto dei protagonisti.
Quale interesse può avere la singola azienda a diventare un “caso aziendale”?
Accettare di diventare un caso è per l’azienda un’occasione straordinaria che consente di ottenere innumerevoli benefici:
- visibilità. Una visibilità, inoltre, pregiata perché acquisita all’interno di contesti accademici e di business school;
- rimane nella memoria degli studenti. I casi sono occasioni di apprendimento di valore, come detto sopra, e restano nella memoria dei futuri professionisti che ricopriranno ruoli decisionali come clienti o fornitori;
- lascia traccia dell’imprenditore e dell’impresa. È un ulteriore strumento che consente di lasciare una testimonianza diversa da quelle tradizionali. Il racconto dell’impresa e delle scelte dell’imprenditore che ricorre nei corsi universitari e post universitari è infatti un elemento di distinzione;
- crea materiale informativo, marketing e formazione interna. Infine, può essere utilizzato dall’azienda stessa come materiale alternativo nelle attività di comunicazione, marketing e formazione interna.
Ovviamente è necessario che l’impresa dedichi tempo e risorse per affiancare gli accademici dediti alla redazione. Essere protagonista significa mettersi un po’ “a nudo” di fronte al giudizio di terzi. Non solo nella fase di stesura, ma anche durante le fasi di review, dove aziende e istituzione accademica si mettono accanto nel definire cosa lasciare e cosa rimuovere, e come enfatizzare alcuni elementi a scapito di altri. Infine, nelle fasi di discussione in aula, è interessante far partecipare nella fase finale un rappresentante dell’azienda, a volte lo stesso imprenditore che si confronta con gli studenti su quanto successo nella realtà e quanto emerso in aula.
In conclusione, per un’impresa essere protagonista di un caso di studio è un’occasione di visibilità e un tassello rilevante nella costruzione di un’immagine aziendale forte proprio in virtù del contesto di valore in cui il caso viene utilizzato.
Le Università, in particolare le Business School, sono sempre alla ricerca di storie d’impresa da portare in aula. Vincere la diffidenza iniziale consente ai protagonisti di disporre di un punto di vista esterno all’organizzazione su come l’azienda e le sue scelte sono percepite da soggetti non solo non coinvolti direttamente ma che devono interpretarle e, successivamente, raccontarle in un’aula.
Riferimenti bibliografici e sitografici
Andersen B. Schiano – Teaching with Cases, a practical guide – Harvard Business School Publishing, 2014
Ellet – The Case Study Handbook, How to read, discuss, and write persuasively about cases – Harvard Business Review Press, 2007
Mintzberg – Managers Not MBAs: A Hard Look at the Soft Practice of Managing and Management Development – Berrett-Koehler Publishers, 2005
https://mintzberg.org/blog/mbas-as-ceos
https://mintzberg.org/blog/management-education
https://www.exed.hbs.edu/hbs-experience/learning-experience/case-study-method
Articolo a cura di Emanuele Strada
EMANUELE STRADA è Professore a Contratto nella Scuola di Ingegneria presso LIUC – Università Cattaneo, dove è titolare di diversi corsi relativi ai processi di digitalizzazione e di consulenza e advisory, sia nei corsi di Laurea Triennale che Magistrale. Presso la Liuc Business School è Core Faculty presso il Centro per l’Innovazione Tecnologica e Digitale.