Il colloquio di selezione, una nuova prospettiva per non fermarsi all’apparenza

È necessario scegliere dopo aver giudicato e non giudicare dopo aver scelto.
Cicerone

L’evoluzione costante dell’organizzazione aziendale, le tecnologie in permanente dinamica evolutiva, l’introduzione sempre più pervasiva dell’informazione e l’avvento di nuove modalità di lavoro hanno portato a considerare la gestione del personale come elemento fondamentale del management inteso come sistema produttivo del fattore umano.

Fino agli anni 50 prevalevano le teorie organizzative tayloristiche, le quali implicavano il complesso di elementi motivazionali dei “lavoratori” limitato a fattori di tipo sostanzialmente economico. Successivamente sotto l’impulso di una maggiore dinamica sociale, dovuta ad una evoluzione della contrattazione sindacale, iniziano a svilupparsi, con gradualità e spesso con discontinuità, i criteri e i dispositivi di valutazione delle prestazioni e del potenziale, di sviluppo e programmazione delle carriere e della dinamica retributiva legata al merito. Negli anni 60 le tecniche di gestione del personale si dotano di strumenti in una prospettiva sistemica e di pianificazione sia per quanto riguarda i processi di selezione e di inserimento delle risorse, che dei sistemi di valutazione, di programmazione delle carriere, di pianificazione retributiva.

L’introduzione dello Statuto dei Lavoratori (La legge 20 maggio 1970, n. 300) fa confluire all’interno della funzione della direzione del personale una serie di regole di gestione del rapporto di lavoro, così da creare una interfaccia tra le esigenze di tipo tecnico-organizzativo dell’impresa e la salvaguardia dei diritti dei lavoratori, in accordo con il quadro normativo e i piani di contrattazione collettiva.

Ogni impresa è una realtà che per vivere (o sopravvivere) deve poter produrre continuamente ciò per cui è stata voluta, progettata e realizzata. La buona salute di un’impresa è la sua produttività, intesa come risultato materiale delle risorse impegnate, non solo sotto l’aspetto qualitativo e quantitativo, ma anche in relazione alle risorse professionali di cui può disporre e che devono essere oggetto di sviluppo per il miglioramento continuo. Il miglioramento continuo è un principio di management basato su un disegno organizzativo che pone al centro le risorse umane intese come elemento determinante per il successo.

Impianti, macchine, risorse economiche, strategie, ricerche, la natura del mercato e il suo livello di dinamicità, gli investimenti, il tempo, il management e leadership sono tutti fattori efficienti che diventano efficaci solo attraverso il lavoro sviluppato dalle ricorse umane che costituiscono il catalizzatore della voglia di fare, della volontà cooperativa che agevola una fattrice forza coesiva. Le risorse umane, rispetto a quelle materiali, hanno come elemento distintivo la capacità di accrescere con il tempo il livello di efficienza ed efficacia se orientate in direzione di politiche di sviluppo che insieme all’esperienza ne migliorino le conoscenze e le abilità.

La selezione, oltre all’analisi dei requisiti riferiti allo skill per ogni posizione di lavoro da ricoprire, deve allora essere completata attraverso la verifica di una completa adattabilità dei candidati alla cultura dell’Impresa che dovrà accoglierli.

L’obiettivo “generale” della selezione è quello di prevedere il comportamento di una persona nel contesto lavorativo durante l’espletamento delle specifiche attribuzioni. L’obiettivo da conseguire consiste nell’assegnare ad ogni futura risorsa “quel” lavoro che le consenta di metter a frutto le proprie capacità, il proprio carattere e le aspirazioni nel modo migliore per sé stessa e per l’impresa per la quale lavorerà. In questa prospettiva la selezione è un processo complesso e articolato che prevede, da una parte, l’aver diagnosticato correttamente il multiforme bagaglio di attitudini, capacità, atteggiamenti e comportamenti necessari e, dall’altra, l’aver realizzato la metodologia necessaria per valutare e misurare le caratteristiche individuali ritenute necessarie.

Tuttavia non è sufficiente concludere il processo di selezione con un giudizio di idoneità. Ciò significherebbe obliterare un biglietto di ingresso senza aver deciso quale sarà il vero viaggio che la risorsa farà, quando e dove terminerà il suo percorso.

La gestione delle risorse umane è prima di tutto una gestione di “persone” diretta alla loro crescita professionale all’interno dell’azienda per la quale lavorano, consentendo loro di poter dimostrare il proprio valore e la propria individualità e nel contempo la capacità d’integrazione e di lavoro di squadra per raggiungere risultati di business condivisi e compatibili con i bisogni del gruppo.

La gestione delle risorse umana è dunque un percorso dinamico che per ogni persona nasce con il suo inserimento in azienda e termina con la conclusione del suo rapporto di lavoro, un ampio periodo di vita trascorso e consumato nel dare una parte di sé stessi, della propria volontà, dei propri desideri e delle aspirazioni, gioie e affanni, speranze e delusioni, e che per ogni risorsa che lavora si distende e si snoda attraverso strade che si dilungano parallele e che si incrociano formando una rete fitta di responsabilità da assumere secondo tempi e circostanze che devono rispondere alle diverse necessità che il mare agitato del business richiede.

Un percorso, dunque, che deve essere se non diagnosticato almeno preso in considerazione.

Da una parte l’azienda con una necessità organizzativa connessa con l’obiettivo di contribuire al miglioramento dei risultati di business, rendendo operative le strategie aziendali attraverso la scelta delle persone chiave e attraverso lo sviluppo dell’organizzazione, dall’altra l’obiettivo di chi cerca lavoro, che non significa semplicemente trovare una occupazione, ma diventare una risorsa occupabile, avere la possibilità di mantenere e sviluppare nel tempo il proprio potenziale, di conservare le condizioni per mantenere il lavoro o per cambiarlo, di prevenire l’obsolescenza del sapere e delle conoscenze.

La selezione è un processo di eliminazione quando l’individuazione del candidato, idoneo esclusivamente ad un certo tipo di lavoro, richiede di misurare e valutare le qualità richieste delle persone, in modo da eliminare quelli che non possiedono i requisiti richiesti nella misura desiderata. In questa ottica il percorso è più rapido in quanto si scartano i candidati non appena un requisito viene giudicato insufficiente. La selezione, in questo caso, è un processo che consente di esprimere solo un giudizio di idoneità a vantaggio dell’organizzazione. E con allarmante frequenza il giudizio rappresenta l’obiettivo primario della selezione del personale.

Allora bisogna non cambiare la metodologia della selezione, ma ampliare il suo orizzonte.

Il ruolo del selezionatore implica responsabilità etiche e morali nell’ottica di un servizio rivolto alle aziende, ma anche alla collettività. È dunque un professionista che deve assumersi una complessa responsabilità nei confronti dell’uomo: progettarlo per il futuro, valorizzare le sue potenzialità, aumentare il contributo che può dare non solo all’azienda, ma anche alla struttura più ampia in cui vive, considerarlo nella sua globalità di “risorsa umana” con una sua propria individualità fatta di interessi, motivazioni, comportamenti, credenze, nel suo agire e nel suo modo di percepire.

Abbiamo detto che occorre cambiare l’orizzonte.

Quando abbiamo deciso che il candidato è idoneo per essere inserito in determinato contesto organizzativo, per vivere una determinata situazione lavorativa, cambiamo quel contesto e quella situazione e applichiamo al nuovo contesto e alla nuova situazione che abbiamo delineato ciò che abbiamo ricavato dal colloquio.

Per contesto si intende lo spazio concreto, all’interno del quale si sviluppa l’intero processo operativo/produttivo e le norme che regolano il comportamento di chi vi collabora. Per situazione s’intende il complesso degli elementi e significati di carattere sociale, psicologico e relazionale che agiscono sull’evento operativo/produttivo e di cui i partner, coinvolti nel processo hanno, più o meno, consapevolezza

Immaginiamo allora che il business sia cambiato e chiediamoci, il “nostro” candidato:

  • avrà la medesima capacità di credere nell’immagine aziendale e l’orientamento a promuoverla e a valorizzarla così come me l’ha prospettata?
  • sarà in grado di fornire continuità d’impegno per agire e per decidere in riferimento a obiettivi diversa da quelli che gli ho delineati?
  • avrà autodeterminazione del proprio comportamento in una nuova dipendenza gerarchica svincolandosi da supervisoni o direttive, finalizzandosi autonomamente al raggiungimento dei risultati?
  • sarà capace di modificare i propri obiettivi, comportamenti e azioni per allinearsi alle aspettative di un nuovo mercato?
  • saprà identificare margini di miglioramento e razionalizzazione nell’ambito delle nuove attività per sviluppare e offrire un servizio qualitativamente migliore e per massimizzare il processo di ottenimento del risultato?
  • saprà affrontare i nuovi problemi e le nuove opportunità, anche a lungo termine, che possono influire sull’organizzazione?
  • sarà capace di percepire la nuova organizzazione coincidente con la propria persona?
  • sarà capace di cogliere e riconoscere gli stimoli nuovi da quelli consolidati?
  • sarà capace di mostrarsi protagonista delle nuove situazioni, fiducioso nelle sue forze e nelle sue iniziative?
  • sarà capace di mettere a fuoco nuovi compiti e attività in vista di un chiaro risultato da conseguire?
  • sarà capace di accettare l’insorgere di nuovi limiti professionali e cercare di migliorare il proprio modo di lavorare chiedendo informazioni e confrontandosi con gli altri?
  • avrà la capacità di valutare il proprio inserimento nella nuova struttura lavorativa come opportunità di accesso a nuove forme di identità sociale?

Se anche in questo nuovo e immaginario contesto organizzativo e in questa nuova e virtuale situazione lavorativa il candidato risulterà idoneo, avremo un profilo predittivo di maggiore sicurezza, avremo meno dubbi sulla sua flessibilità verso tutte quelle esigenze operative che impattano sulla realtà quotidiana e richiedendo un impegno particolare che può coinvolgere su più aspetti, sulla volontà di proporre o di aderire ai cambiamenti nell’ambito della struttura organizzativa, sulla capacità di saper gestire un giusto equilibrio tra collaborazione, per favorire la produttività, e la spinta realizzatrice verso l’obiettivo, nel saper autodeterminare il proprio comportamento per il raggiungimento degli obiettivi, sull’accettazione del cambiamento inteso come apertura al nuovo, sull’abilità nel superare momenti critici ed imprevisti della vita aziendale, sul desiderio apprendere e sperimentare nuovi argomenti di tipo aziendale, sull’entusiasmo di progettare il proprio futuro, sull’avere una visione precisa degli eventi senza confondere ciò che è da ciò che dovrebbe essere e la consapevolezza delle conseguenze dei propri comportamenti e del modo di agire che ne deriva.

Se, infine, avremo deciso di assumerlo non scordiamo che il primo giorno di lavoro non si scorda mai, e allora è bene fare in modo che quel ricordo sia sempre il migliore.

 

Articolo a cura di: Antonello Goi

Profilo Autore

Laureato presso l’Università Statale di Milano in Filosofia, ho acquisito un’esperienza nell’ambito delle Risorse Umane.
In particolare ho assunto la responsabilità, in azienda Leader delle telecomunicazioni, della Selezione del personale, della Formazione, Gestione HR, Relazioni Industriali.
Collaboro per gambelassociati per quanto riguarda la Formazione Manageriale Aziendale e Interaziendale, attraverso attività di consulenza, progettazione ed erogazione di corsi di formazione.

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