Il contratto collettivo di prossimità

Premessa

Il contratto collettivo di prossimità, disciplinato dall’art. 8 del d.l. 183/2011, convertito con legge 148/2011, è uno strumento che offre alle imprese la possibilità di derogare, entro certi limiti e per specifiche materie, alle disposizioni di legge e di contratto collettivo, per adeguarle alle condizioni e alle esigenze di organizzazione del lavoro di ciascuna azienda. Il comma 2 bis della disposizione, infatti, consente ai contratti di prossimità, di operare “in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”, fermo il rispetto della Costituzione, della normativa comunitaria e delle convenzioni internazionali sul lavoro.

Se si scorre l’elenco delle materie cui le parti collettive possono derogare, risulta immediatamente evidente la rilevanza di questo strumento e la sua capacità di adattarsi alle specifiche situazioni di ciascuna impresa. Si tratta di uno strumento che offre alle imprese la possibilità di adeguare alcuni istituti normativi e contrattuali alle condizioni e alle specifiche esigenze delle diverse realtà aziendali. Il comma 2 della norma in esame prevede la possibilità di ricorrere a questo tipo di accordo con riferimento:

  1. a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
  2. b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
  3. c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
  4. d) alla disciplina dell’orario di lavoro;
  5. e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.

Come si può osservare, si tratta di materie che possono incidere in maniera decisiva sull’organizzazione del lavoro di una data impresa. È bene però precisare che, considerata l’eccezionalità della norma, l’elenco di cui al comma 2 è tassativo e gli accordi di prossimità non possono intervenire su materie diverse. La natura tassativa dell’elenco si desume, come evidenziato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 221 del 4 ottobre 2011, dall’art. 8, comma 2-bis secondo cui le specifiche intese “operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”. Ciò significa che l’effetto derogatorio di cui al comma 2-bis può operare solo relativamente alle materie di cui comma 2.

L’applicazione specifica

A conferma dell’interesse nei confronti di questo strumento, si è potuto assistere a un incremento del ricorso alla stipulazione di accordi di prossimità, a seguito della stretta sul lavoro a termine introdotta dal c.d. Decreto Dignità (d.l. 87/2018, convertito con legge 96/2018): sono infatti diverse le intese che le parti collettive hanno raggiunto, allo scopo, ad esempio, di superare i vincoli legati al nuovo regime delle causali.

L’ulteriore elemento di sicuro interesse della disciplina qui esaminata è l’efficacia erga omnes degli accordi collettivi di prossimità che dunque si applicano a tutti i dipendenti dell’azienda, a prescindere dal fatto che siano o meno aderenti alle sigle sindacali che hanno sottoscritto gli accordi.

Requisiti e condizioni

Accanto ai requisiti e alle condizioni sino a qui evidenziati, il comma 1 dell’art. 8, legge 148/2011, stabilisce che detti accordi debbano essere necessariamente finalizzati: i) a garantire una maggiore occupazione, ii) a favorire la qualità dei contratti di lavoro, l’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, l’emersione del lavoro irregolare, iii) a gestire incrementi di competitività e di salario, iv) alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, investimenti e l’avvio di nuove attività.

In sostanza, l’accordo derogatorio può introdurre un trattamento differenziato per i lavoratori purché tale differenziazione sia giustificata dal perseguimento delle finalità legislativamente individuate e il giudice è chiamato a verificare se le deroghe alle norme di legge e di CCNL contenute nelle specifiche intese costituiscono il mezzo per raggiungere almeno uno dei fini indicati dal legislatore.

Orientamenti giurisprudenziali

La giurisprudenza sul punto ha, inoltre, precisato che ai fini della validità di tali accordi non è sufficiente il mero richiamo in via generale alle finalità enunciate nel disposto normativo, ma è necessario che le parti contraenti indichino in maniera puntuale le finalità perseguite e le circostanze di fatto che giustificano il ricorso al regime derogatorio (Trib. di Firenze 528/2019 e già App. Firenze 20 novembre 2017).

Sul corretto perseguimento delle finalità sopra indicate si è anche pronunciata la Cassazione. La Suprema Corte ha confermato la legittimità di un accordo aziendale ex art. 8 L. 148/2011 che ha escluso il diritto a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso per coloro che non avessero aderito all’esodo incentivato, pur avendone i requisiti, e fossero destinatari di un provvedimento di licenziamento nella successiva procedura di mobilità. Come evidenziato dai giudici di legittimità, l’accordo in questione può legittimamente derogare in peius i contratti collettivi e le disposizioni di legge circa le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro (nella specie, il diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva del preavviso), purché persegua uno degli scopi previsti dalla legge: l’accordo del caso di specie, in una prospettiva di maggiore tutela dei lavoratori, era diretto a consentire il minor costo sociale dell’operazione e a salvaguardare la prosecuzione dell’attività di impresa e la relativa occupazione. La deroga, dunque, era stata introdotta proprio per far fronte a una ben nota situazione di crisi aziendale ed occupazionale (Cass. 19660/2019).

È bene da ultimo ricordare che gli accordi di prossimità, per loro natura, possono essere siglati a livello aziendale o territoriale, non nazionale. In assenza di una specifica previsione, la definizione dell’ambito territoriale (comunale, provinciale, regionale, distrettuale) è rimessa all’autonomia delle parti sociali.

I soggetti legittimati a sottoscriverli sono, nel caso degli accordi territoriali, le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale e, nel caso di accordi aziendali, le loro rappresentanze operanti nell’impresa ai sensi della legge e degli accordi interconfederali vigenti, incluso il TU sulla rappresentanza sottoscritto il 10 gennaio 2014 da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil.

Condizioni per la validità della contrattazione di prossimità

A livello aziendale, devono partecipare alla sottoscrizione uno o più sindacati che rappresentino la maggioranza dei lavoratori dell’azienda. Questo valore è una percentuale relativa e non assoluta, perché la sua base di computo non è il 100% dei lavoratori, ma è solo nei lavoratori iscritti alle associazioni sindacali.

A livello territoriale, perché il contratto abbia efficacia nella singola azienda devono partecipare alla sottoscrizione uno o più sindacati che rappresentino la maggioranza dei lavoratori, tale maggioranza è sempre calcolata con il criterio di computo su esposto. La durata del contratto di prossimità è normalmente di 3 anni o la diversa durata indicata in sede di stipulazione dai sindacati e dall’azienda.

Inderogabilità dei minimi contrattuali e delle obbligazioni previdenziali

L’interpello n. 8 del 12 febbraio 2016 del Ministero del Lavoro ha chiarito che la contrattazione di prossimità non può stabilire livelli retributivi che, quale base imponibile su cui determinare il dovuto contributivo, deroghino ai minimali stabiliti dalla norma contenuta nell’art. 1, comma 1, d.l. n. 338/1989 (convertito con legge 389/1989), come autenticamente interpretata dalla successiva legge 549/95. Nel caso in cui lo facciano, l’INPS, agendo d’ufficio o tramite il suo servizio ispettivo, ha il pieno diritto e l’obbligo di rivalersi sulle parti in causa stipulanti.

Sono inoltre considerati danni erariali, suscettibili di richiesta di rimborso dall’Agenzia delle Entrate, quelli che vanno a intaccare gli obblighi imponibili e fiscali degli appalti.

 

Articolo a cura di Pasquale Dui

Profilo Autore

Avvocato - Partner presso DV-LEX DUI VERCESI & PARTNERS Studio Legale - Professore a contratto di diritto del lavoro - Revisore Legale - Giornalista pubblicista

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