Il “Memento Mori” delle Big Tech

L’improvviso (ma forse non tanto) risveglio e il ridimensionamento, sia di capitalizzazione che di utili (veri) delle Big Tech detta la fine del Bengodi finanziario iniziato nel 2020 con le iniezioni di liquidità del periodo pandemico e segnata dalla corsa dei tassi che si è accompagnata a una prima forma di rallentamento di entrate e utili che poi ha prodotto un effetto-contagio sui mercati.

Più di un trilione di dollari di capitalizzazione delle più grandi società tecnologiche statunitensi si è già volatilizzato e con esso la speranza che tutto fosse limitato ad uno storno per un successivo rimbalzo.

Gli utili deboli da parte degli enormi gruppi digitali statunitensi ha posto fine all’eccezionalità delle big tech nel quadro della tradizionale resistenza alle crisi dell’economia reale dimostrando che i fondamentali della Economia (tanto bistrattati dall’effetto boom speculativo dell’eccesso di liquidità immessa sui mercati negli ultimi anni) come la crescita dei tassi e dell’inflazione riporta tutti con i piedi per terra.

Amazon e Microsoft hanno dichiarato che la crescita delle loro attività di cloud computing stava rallentando più del previsto poiché i clienti cercavano di frenare la crescita della spesa. Lo stesso vale per la raccolta pubblicitaria di Google. Nel frattempo, molte delle Big Tech tagliano il personale: “Twitter ha licenziato metà dei suoi 7.500 dipendenti

Sempre a San Francisco, Lyft, l’alternativa a Uber nei servizi di trasporto individuale, ha licenziato 650 dei suoi 5.000 addetti mentre Stripe (software per pagamenti elettronici) ha messo alla porta 1.120 dipendenti”. Stessa cosa stanno decidendo Meta e Google.

Big Tech torna ai minimi dal maggio 2020, il denaro facile e i tassi a zero avevano permesso ad aziende trovatesi di fronte a ricavi in volo di procedere a impetuose politiche di acquisto di azioni proprie (buyback) rimesse poi sul mercato con valori artificialmente gonfiati. Questo aveva portato aziende come Apple, Alphabet, Microsoft e Amazon attorno ai 1.500-2mila miliardi di dollari di capitalizzazione, una dimensione paragonabile ai Pil di Paesi come Messico, Russia, Spagna, Italia.

Non poteva durare: la hybris del Big Tech è stata quella di credere che l’emergenza potesse durare per sempre assieme all’eccezionalità dei guadagni che ha comportato. In una fase in cui il ritorno alla normalità aveva già colpito molti titoli (Netflix, Zoom, Deliveroo) tra i signori degli algoritmi non c’è stata la capacità di fare dei piani di contingenza per prepararsi al ritorno alla normalità. “In ogni grande recessione economica nella storia degli Stati Uniti, i cattivi sono sempre gli eroi del boom precedente”.

Molti, applicando questo assioma, ragionano sul fatto che lo sgonfiamento delle quotazioni del Big Tech può aprire la strada a una riproposizione della bolla che travolse il Nasdaq nel 2000: allora, molte delle società nate come funghi negli Anni Novanta crollarono o chiusero i battenti per l’esplosione delle aspettative pessimistiche circa la loro capacità di stare sul mercato.

Ma questa volta non dovrebbe essere cosi: allora la tecnologia era una moda, oggi è un mainstream consolidato. Ai tempi seguiva i flussi di capitali, oggi li governa.

Soprattutto, oggi i gruppi sono in crisi non (solo) per l’incapacità di fare profitto ma per la bulimia del modello che hanno creato: i cinque gruppi maggiori del Big Tech (Apple, Amazon, Meta, Microsoft, Alphabet) hanno riportato nell’ultimo trimestre un utile netto combinato di 59,5 miliardi di dollari, in calo del 17,8% rispetto ai 72,3 miliardi di dollari registrati un anno prima ma comunque un dato che, da solo, è paragonabile al 90% del fatturato totale di un gigante industriale come Eni nell’intero anno precedente.

Il paradigma della crescita infinita si somma alla difficoltà del mondo tornato ad alzare i tassi e a trincerarsi contro l’inflazione.

Nel 2019, Rana Foroohar sottolineava che “le aziende tecnologiche abbassano i prezzi di molte cose e la deflazione legata alla tecnologia è una parte importante di ciò che ha mantenuto i tassi di interesse così bassi per così tanto tempo”. Non ha solo “limitato i prezzi, ma anche i salari. Il fatto che i tassi di interesse siano così bassi, in parte grazie a quella deflazione guidata dalla tecnologia, significa che i banchieri centrali avranno molto meno spazio per navigare attraverso qualsiasi crisi imminente”: tre anni dopo, in seguito al ritorno dell’inflazione e alla scelta della Fed di alzare i tassi dopo che gli americani avevano lanciato nell’economia reale, negli acquisti e nella caccia a beni e servizi centinaia di miliardi di dollari risparmiati durante l’era Covid ci si è accorti di quanto questo sia vero.

E il Big Tech, alla prova dei fatti, perde la sua “specialità” per eccellenza: messo sotto pressione, alla caduta verticale degli utili degli utili risponde come una qualsiasi azienda, con l’austerità e il taglio dei posti di lavoro, roba da Old Economy che si sta riprendendo una sana rivincita sulla New Economy.

Questa fase, potenzialmente sana ed utile, dovrà insegnare al Big Tech e ai suoi top manager l’importanza di ricordarsi di essere economicamente e finanziariamente mortali. Un memento mori da sottolineare e ribadire e a cui rispondere riequilibrando l’asse tra attività concrete e produttive da un lato e la pura e sola speculazione finanziaria.

Il vero nodo della questione adesso è: cosa faranno le Big Tech per evitare ulteriori crolli o ridimensionamenti? Fieno in cascina e parliamo di liquidità reale l’hanno messa nel tempo e la possibilità di poter avviare operazioni di acquisto su società Value ci sono ed è possibile che ciò avvenga o come penso sta già avvenendo, in tutti i campi compreso l’Insurance, il più indietro di tutti.

Secondo la mia visione saranno i servizi e le società che ciò forniscono (e che generano utili veri) a essere prese nel mirino delle Big Tech.

Si sta parlando da giorni di una potenziale acquisizione, in campo assicurativo, da parte di una Big Tech di una importante realtà assicurativa, e questo solo in Italia. La ricerca del valore passa da questa strada e potrà cambiare, accelerando i modelli di business che si erano già ipotizzati ma non cosi in fretta.

Se solo andiamo a guardare da dove arrivano i profitti delle 4 Big Tech per antonomasia possiamo notare pericolose (quanto anomale) concentrazioni su alcuni settori che, se non confermati nel tempo, potrebbero diventare fatali anche per questi colossi (solo la Apple, per fare un esempio genera il 52% dei propri utili dalla vendita del solo IPhone).

Il Memento Mori delle Big Tech è ormai decretato: il 2023 è ormai alle porte ed i segnali di recessioni sono ormai certi. Il problema è che quello che nessuno ha ancora capito è quanto tutto questo durerà.

Personale previsione è che dopo una ulteriore caduta dei mercati finanziari che non scontano ancora del tutto la recessione ci sarà un periodo di stabilizzazione più lungo del solito, ed è questo che preoccupa, mettendo ancora di più in movimento le operazioni di fusione ed acquisizione in atto in molti settori.

Diventare più grandi per sopportare meglio una lunga fase di decrescita che getterà sicuramente le basi, mietendo molte vittime però, ad una nuova fase di crescita fatta su, questa volta, fatti più reali e concreti, valore e profitto e forse con un Metaverso (anticipato troppo presto da Meta) che, una volta consolidato e digerito dal mercato, potrebbe diventare come credo il volano per una nuova fase di crescita importante dimostrando ancora una volta la ciclicità dell’Economia, cosi era nel passato cosi sarà nel futuro.

Articolo a cura di Marco Contini

Profilo Autore

Expert in Reorganization and Corporate Restructuring Expert in Underwriting, Claims, Marketing Distribution, Insurtech , Business Advisor, Blockchain
Milan Area, Italy
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