Il nuovo futuro della produzione e del management

“Nella vita ho fallito molte volte. È per questo che alla fine ho vinto tutto”.
Michael Jordan

Le correnti telluriche dei mutamenti prodotti dalla fase attuale di evoluzione del capitalismo in rete hanno una conseguenza chiara: al diminuire del costo delle transazioni generati dall’economia delle grandi piattaforme (Amazon, Google, Apple Facebook, AliBaba, Tencent, eccetera) diminuisce anche la dimensione organizzativa minima necessaria a competere economicamente sul mercato.

È questo uno dei punti fondamentali della trasformazione, la pietra angolare su cui si scarica la forza del progresso delle tecnologie digitali. Più le piattaforme diventano grandi hardware, più i piccoli – ma veloci e intelligenti – software possono girare sulla rete dei grandi e diffondersi viralmente.

Ecco una trasformazione invisibile. Abbassando il costo delle transazioni, la platform economy riduce progressivamente la scala minima delle imprese e di molte attività imprenditoriali, professionali e, addirittura, istituzionali. Qualche apocalittico la chiama la “morte del lavoro”, prefigura scenari di disoccupazione perenne perché alcune di queste attività sembrano scomparse.

Che dire? Non bisogna guardare alle attività perdute (o, magari, migrate in Paesi con costi del lavoro più bassi), ma alle nuove che sono state sviluppate. In realtà si sono solo trasferite altrove, in altri territori o in un’altra forma: ad esempio, i posti di lavoro generati dall’impatto delle nuove tecnologie sul mercato del lavoro dell’ICT un tempo semplicemente non esistevano.

Invece di guardare alla storia per interpretare il futuro, bisognerebbe rileggerla per focalizzare, ad esempio, che alcuni secoli fa il sale era considerato una materia prima di importanza primaria superata per valore solo da oro e argento, i mercanti di sale erano qualcosa di simile ai moderni armatori di grandi navi e alcune città fondavano la propria prosperità perché posizionate sulle rotte di passaggio e scambio (vi ricorda qualcosa il nome Salisburgo?)

Un’infinità di posti di lavoro spariti da quando esistono i frigoriferi e le persone che li producono. Dobbiamo continuare a rimpiangerli? O dobbiamo capire le tendenze evolutive del futuro per riposizionarci?

Il trend è comunque chiaro: la digitalizzazione abbassa le barriere all’ingresso di alcune attività, portando un forte aumento della pressione competitiva ed evolutiva in un numero crescente di settori e attività. L’informazione si libera dal suo vincolo fisico, diventa ancor più leggera e immateriale, corre veloce, istantanea, da un capo all’altro del mondo, propagandosi alla velocità della luce.

E si tratta di qualcosa che diventa impossibile costringere nei confini di una nazione, figurarsi di un’impresa. D’altra parte, abbiamo sottratto alla forza di gravità e alle leggi della meccanica dischi, libri, film, lettere, foto con profonde ripercussioni sui concetti stessi di riservatezza, sicurezza, protezione.

Ma c’è di più. Un network economico fatto di mondo fisico e realtà digitale sta collegando uomini e oggetti. Non c’è nulla di particolare nei beni/servizi virtuali: la maggior parte di ciò che si acquista ogni giorno è virtuale. Dopo tutto, non paghiamo dischi o scatole, ma i software. Allo stesso modo, quando si scaricano film o musica, il contenuto è virtuale come quando si acquista un libro: non si paga per la carta e l’inchiostro, ma per il contenuto.

Il cambiamento vero è diverso: ad esempio, se si gira un video, lo si posta su YouTube, lo si diffonde tra i contatti online. In questo modo, i progetti condivisi attraverso i video diventano ispirazione per altri e opportunità di collaborazione. I singoli, connessi globalmente in questo modo, diventano un flusso, un movimento. Le idee, una volta condivise, si trasformano in idee e progetti più grandi, si moltiplicano e possono dare origine a prodotti, servizi, settori economici.

Fare le cose insieme agli altri diventa il vero motore dell’innovazione, persino quando avviene casualmente. Anzi, in alcuni casi, casualmente è meglio: è la conoscenza inattesa, quella che viene per caso e genera maggior valore. È semplicemente ciò che fanno normalmente le idee. Quando vengono condivise, comunque vada, si diffondono.

Ma, se questa è la situazione attuale, dovremo presto abituarci a un’altra grande novità: sta accadendo la stessa cosa per gli oggetti fisici. E tutto ciò accadrà anche se i processi manifatturieri sono stati sempre visti come qualcosa di completamente diverso. Produrre oggetti è costoso perché ci vogliono importanti investimenti iniziali anche se, negli ultimi anni, ha iniziato a diventare qualcosa più simile alla creazione dei beni digitali.

Proprio come la rete ha generalizzato e reso democratica l’innovazione nei bit, una nuova classe di tecnologie, dalle stampanti 4D ai laser cutter all’IoT generato dai sistemi 5 e 6G, renderà diffusa e capitalistica l’innovazione negli atomi. Questa capacità di produrre a livello “glocale” sarà la spinta propulsiva di un’ulteriore mutazione non solo psicologica ma anche economica: la distinzione tra imprenditore e appassionato diventerà una banale opzione del software. Il passo tra produrre un’unità o migliaia dipenderà solo dalla scelta dell’opzione del menu e da quanto si vuole pagare. La nuova leadership manifatturiera in rete dipenderà da questa scelta.

Un’innovazione talmente importante che modificherà in futuro anche le nostre vite, un punto di flesso nella curva della Storia, uno spostamento radicale nello status quo dell’economia. Era già successo all’epoca della rivoluzione industriale: le macchine ci hanno consentito di lavorare più velocemente, di fare di più in meno tempo. Ecco quello che il sistema delle rivoluzioni industriali, dalla prima in poi, creò sopra ogni altra cosa: un surplus di tempo che fu riutilizzato per inventare tutto ciò che ha definito i due secoli che ci hanno preceduto.
Inventare un nuovo futuro.

 

Articolo a cura di Angelo Deiana

Profilo Autore

Presidente di CONFASSOCIAZIONI, ANPIB (Associazione Nazionale Private & Investment Bankers) e ANCP (Associazione Nazionale Consulenti Patrimoniali), è considerato uno dei maggiori esperti di economia della conoscenza e dei servizi finanziari e professionali in Italia.
Attualmente è Vice Presidente di Auxilia Finance Spa.

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