Il paradigma della comunicazione secondo Shannon – Weaver

Prima di iniziare a parlare del paradigma della comunicazione è bene introdurre chi ha schematizzato in modo estremamente semplice ma completo il flusso della comunicazione, forse in modo inconsapevole. Da decenni viene rappresentato in corsi e seminari come il processo che meglio rappresenta l’interazione tra due soggetti che devono scambiarsi informazioni, ovviamente con tutti i limiti del caso poiché non vengono presi in considerazione gli aspetti complementari della comunicazione (ad esempio l’intenzionalità).

  • Claude Shannon nel 1938 conseguì il Master of Science in ingegneria elettronica al MIT presentando una tesi dal titolo “Un’analisi simbolica dei relé e dei circuiti”, con cui dimostrò che il fluire di un segnale elettrico attraverso una rete di interruttori segue esattamente le regole dell’algebra di Boole. In questo modo un circuito digitale può essere descritto da un’espressione booleana, la quale può essere poi manipolata secondo le regole di quest’algebra. Shannon definì in tal modo il metodo per l’analisi e la progettazione dei sistemi digitali di elaborazione dell’informazione. Nel 1948, mentre lavorava ai Laboratori Bell, pubblicò, con la collaborazione di Weaver, il saggio “La teoria matematica della comunicazione”, considerato la pietra miliare degli studi della comunicazione. Questo saggio poneva le basi teoriche per lo studio dei sistemi di codificazione e trasmissione dell’informazione. È in questo contesto che coniò la parola bit quale unità elementare dell’informazione. Sviluppò, inoltre, la teoria matematica della crittografia con il suo articolo del 1949 “La teoria della comunicazione nei sistemi crittografici”.
  • Warren Weaver, fu il primo ad accennare alla possibilità di usare un computer per la traduzione dei testi da una lingua naturale ad un’altra nel suo Memorandum intitolato “Traduzione” (1949). Questo è considerato lo scritto più rilevante alle origini della traduzione automatica. Definì obiettivi e metodi ben prima che si conoscessero le potenzialità di un computer, stimolando, allo stesso tempo, la ricerca negli Stati Uniti e, successivamente, in tutto il mondo. Con i suoi studi sulla traduzione automatica ha dato un notevole impulso allo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

Il modello di comunicazione da loro teorizzato, come precedentemente detto, è stato sviluppato nel 1949 quando venne pubblicato l’articolo “La teoria matematica della comunicazione” ed è indicato anche come la “madre di tutti i modelli”. Il modello, inizialmente concepito da Shannon, aveva come obiettivo la definizione di una teoria che rendesse più efficienti i sistemi di comunicazione ed in particolar modo quelli telefonici, partendo degli elementi essenziali della comunicazione: sorgente, ricevente, messaggio, canale, codifica, decodifica. In questo contesto è stato introdotto anche il concetto di “rumore”, inteso come l’interferenza che offusca la percezione del messaggio.

Il modello non fu certamente concepito per le dinamiche comunicative umane ma fu velocemente trasposto per descrivere alcune corrispondenze tra la comunicazione tra apparati e la comunicazione tra soggetti umani. Questa trasposizione si è rapidamente diffusa ed il modello viene ancora oggi utilizzato per definire lo schema generale dei processi comunicativi.

In base al modello sviluppato e rappresentato in figura analizziamo le caratteristiche di ogni singolo componente, nell’ambito di una relazione tra umani:

  • Mittente – colui che ha la necessità di tramettere un messaggio;
  • Ricevente – destinatario dell’atto di comunicazione;
  • Messaggio – rappresentato da quanto deve essere comunicato al ricevente. Può essere un testo, un’immagine o semplicemente un gesto;
  • Canale – il mezzo che trasporta il messaggio. Generalmente in una comunicazione tra umani è caratterizzato dall’aria, ma potrebbero essere utilizzati anche altri mezzi come le comunicazioni tramite strumenti digitali;
  • Codifica – utilizza un codice inteso come linguistico ma anche culturale e/o simbolico mediante il quale un soggetto invia un messaggio che deve essere interpretato e compreso dal destinatario. Pertanto il codice deve essere condiviso. Sarà responsabilità del ‘mittente’ comprendere il sistema di decodifica del ‘ricevente’ in modo tale che il messaggio possa essere interpretato correttamente. Pertanto, è sbagliato dire a qualcuno “non hai capito”, sarà più opportuno dire “non mi sono espresso correttamente”. Se il ‘mittente’ acquisisce questa consapevolezza avrà una maggior coscienza nel comprendere i meccanismi di decodifica dei soggetti a cui si dovrà rivolgere;
  • Decodifica – codice che consentirà al ‘ricevente’ di interpretare in modo corretto il messaggio che sta pervenendo da parte del ‘mittente’;
  • Rumore – rappresenta la presenza di disturbi che possono rendere difficoltosa la trasmissione dell’informazione. È qualcosa di poco visibile che interferisce con la ‘decodifica’ del messaggio. Ad esempio, il rumore di fondo in un ambiente, il passaggio di un autobus, i movimenti di chi ci sta intorno, i pensieri che fluttuano nella nostra testa, etc…: tutti elementi che ci distraggono non consentendo un ascolto profondo e silenzioso.

Nel tempo si è scoperto che a questo modello mancava una componente essenziale, al fine di garantire un buon processo comunicativo: il ‘feedback’, ovvero il prendere consapevolezza che il messaggio sia stato interpretato in modo chiaro. Si deve l’introduzione di questo nuovo componente a Wilbur Schramm. Con Schramm il sistema smette di essere unilaterale e chiuso in se stesso ma si trasforma in un continuum fatto di codifica-decodifica-interpretazione. Il feedback introduce un percorso analogo a quello comunicativo, ma in direzione opposta, che arricchisce continuamente la comunicazione e permette una comprensione reciproca con un continuo scambio di messaggi, significati e punti di vista che produrranno nuovi scenari e nuove possibilità. Il feedback, tra le altre cose, consente di interpretare, se non espressamente dichiarato, il grado di attenzione e di interesse di chi ci sta davanti. Ciò può avvenire mediante meccanismi di indagine, quali le domande che l’insegnante fa all’allievo, o di osservazione della postura, quali i segnali che denotano distrazione, come leggere sul cellulare, parlare con il vicino, etc…. Queste informazioni devono servire per comprendere la propria capacità o incapacità comunicativa al fine di intervenire prontamente con differenti strategie e suscitare maggior interesse: proporre degli esercizi in classe, raccontare un aneddoto, una barzelletta, etc…

Se correttamente compreso e applicato, questo modello può fornire innumerevoli spunti per migliorare le capacità comunicative.

 

Articolo a cura di Antonio Bassi

Profilo Autore

Antonio Bassi, PMP®. Dopo aver dedicato 25 anni in aziende di natura bancaria, informatica, telecomunicazioni e della consulenza, approda in SUPSI (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana), dove è docente di Project Management sia nella formazione di base che nella formazione continua. Responsabile del Master SUPSI in Project, Program e Portfolio Management. Presidente dell’Associazione di Project Management-Ticino (APM-Ticino).

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