Il potere del ringraziamento
Cosa vuol dire ringraziare? Ringraziare è gratificazione, è gentilezza, è riconoscere l’importanza dell’altro, è fare pace, è voler stare bene, è una predisposizione d’animo. Pensiamo a come ci sentiamo quando qualcuno ci ringrazia – non è importante quello che abbiamo fatto per meritarci il ringraziamento, concentriamoci solo su noi stessi, valutiamo quali sono le emozioni e le sensazioni che possono essere evocate da questo gesto. Con molta probabilità ci sentiremo bene, ci sentiremo apprezzati, appagati.
Un aspetto secondario, ma fino a un certo punto, e quasi mai valutato, anche solo per un momento, è il sorriso che ci illuminerà il volto. Si libereranno delle endorfine che ridurranno lo stress ed aumenteranno la fiducia in noi stessi. Per questo motivo il ringraziamento è un bene ineguagliabile anche per il nostro stato psicofisico.
Se tutte le persone imparassero a ringraziare gli altri, per tutto quello che fanno per loro, quante persone più serene e felici ci sarebbero? E quanto, questo stato di benessere, potrebbe influenzare i rapporti umani? La risposta non potrebbe che essere ‘molto’. Perché allora non farlo? Perché il ringraziamento non può far parte del nostro essere persona? Forse perché siamo troppo soggetti a invidie e gelosie, che non ci consentono di guardare l’altro in modo diverso e di comprendere il vantaggio che noi stessi potremo avere? Può darsi. Se generalizzato, sarebbe un mondo veramente triste, governato solo da individualismi. Pensate ora se foste voi a ringraziare una persona che vi ha fatto un favore, vi ha ceduto il passo, vi ha fatto un regalo… scoprirete la gioia nell’altro per il vostro gesto e questo non potrà che farvi bene. Anche questo è ringraziamento. Ringraziare è fare dono a una persona di un vostro sentimento di riconoscenza. Come quando noi doniamo, siamo felici solo per il fatto di aver reso felice una persona: tutti ne trarrebbero vantaggio, tutti ne uscirebbero vincitori. Perché allora non ci impegnamo di più in questo atto di ringraziamento?
Un aspetto non trascurabile è l’infelicità causata da una mancata gratificazione. Si potrebbe cadere in una condizione di continue lamentele: perché non siamo apprezzati, perché non riusciamo a raggiungere i nostri obiettivi, perché il mondo non gira come noi vorremmo? Queste lamentele, però, non portano da nessuna parte. Non hanno mai fatto progredire le persone, tantomeno le organizzazioni. Dobbiamo però aiutare noi stessi e queste persone con atteggiamenti più aperti, positivi e meno individualistici. Impariamo a ringraziare e ad apprezzare ciò che ne potrà conseguire.
Un altro aspetto importante da considerare è l’effetto a catena che ne potrebbe scaturire. Se siamo persone più felici, perché gratificate, saremo più propense a gratificare anche gli altri.
Cosa succede nelle organizzazioni? Tutti vengono ringraziati per il lavoro che fanno o per le performance che hanno ottenuto?
Prima di rispondere alla domanda facciamo ancora un’altra valutazione. A livello personale e in un contesto organizzativo cosa potrebbe portare al dipendente il fatto di essere stato ringraziato per ciò che ha fatto? Sicuramente uno stato di benessere indotto dal suo sentirsi apprezzato. Questo stato potrebbe, inoltre, comportare una nuova o maggior motivazione nel continuare a lavorare per quell’organizzazione; consentirebbe di accrescere lo spirito di appartenenza che una persona dovrebbe maturare quando è soddisfatto dell’ambiente e del lavoro che sta svolgendo. Ritorniamo ora alla domanda: la risposta, generalmente, è: ‘no’. Perché, a fronte dei benefici che si potrebbero avere, non viene fatto questo sforzo? È un peccato dirlo, ma purtroppo le persone non sono abituate a ringraziare perché non fa parte del codice di comportamento dell’organizzazione. Dovrebbe essere, invece, una qualità umana e riappropriarcene è un nostro dovere.
Ho avuto la fortuna di conoscere una società il cui CEO aveva ‘imposto’ a tutti i dipendenti la gentilezza, con tutto ciò che poteva comportare: sorriso, ringraziamento, aiuto reciproco… si potrebbe arrivare a pensare che l’imposizione generi solo comportamenti forzosi. Il risultato, invece, in quel caso, è stato totalmente diverso. Una volta che le persone si sentivano trattate diversamente il loro stesso umore ne era influenzato. Dopo un periodo iniziale, di imposizione, si è assistito a un naturale comportamento ‘gentile’ derivato da un miglior clima aziendale. Le persone hanno iniziato a relazionarsi in modo più consono al corretto sviluppo delle relazioni umane. Chi entrava per la prima volta in quell’azienda veniva pervaso da un senso di gioia perché tutti si mostravano gentili e sorridenti. La motivazione e il senso di appartenenza erano cresciuti e, di conseguenza, il turn-over era diminuito.
Purtroppo, però, nelle organizzazioni, al giorno d’oggi, il fatto di aver portato a termine in modo corretto il proprio compito non viene percepito come un traguardo ma come pura routine: “Questa è la nostra attività ed è logico raggiungere certi traguardi”. Questa potrebbe essere una risposta che darebbe qualunque manager in un’organizzazione. Anche in queste circostanze si perde di vista un punto importantissimo, di fondamentale importanza: la persona. Le persone hanno bisogno di gratificazioni, di sentirsi apprezzati, di essere motivati. Le persone sono il cuore dell’organizzazione. I successi non sono solo determinati dalle strategie organizzative ma anche da chi poi dovrà realizzarle. Ringraziare una persona porta, come diretta conseguenza, un innalzamento dell’indice di motivazione e, come nell’esempio precedente, una riduzione del turn-over.
L’incapacità di relazionarsi e di parlare con le persone è molto diffusa e se in molte aziende vengono fatti dei corsi per migliorare la capacità di fornire dei feedback negativi, bisognerebbe valutare se le persone hanno anche la capacità di fornire dei feedback positivi, in modo continuativo. Si assume sempre che un risultato negativo sia difficile da trasmettere, dando per scontato che, invece, un messaggio positivo sia di più semplice consegna. Nulla di più sbagliato: e questo è dimostrato dai fatti e dalla realtà che ci circonda. Quei corsi sopracitati, pertanto, dovrebbero essere implementati da nozioni per comunicare anche risultati positivi. Il ringraziamento dovrebbe accompagnare la quotidianità delle nostre azioni, non deve essere elargito una tantum. Non si deve ringraziare solo per i risultati ottenuti a fine anno, ma sempre, in qualunque circostanza. Stiamo solo attenti a non inflazionare il ringraziamento. Questo deve essere dato solo se ci sono dei validi risultati.
Resta, comunque, triste il pensiero di aver bisogno di fare dei corsi per comportarsi in un modo che dovrebbe far parte delle nostre capacità umane per relazionarsi con “l’altro”.
Articolo a cura di Antonio Bassi
Antonio Bassi, PMP®. Dopo aver dedicato 25 anni in aziende di natura bancaria, informatica, telecomunicazioni e della consulenza, approda in SUPSI (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana), dove è docente di Project Management sia nella formazione di base che nella formazione continua. Responsabile del Master SUPSI in Project, Program e Portfolio Management. Presidente dell’Associazione di Project Management-Ticino (APM-Ticino).