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Il problema del “leader da silos”

Quando si parla di “organizzazione a silos”, ci si può riferire ad una organizzazione a “silos solo funzionali” o a “silos funzionali e centralizzati”. Quest’ultima è l’organizzazione tipica delle maggiori multinazionali, che la utilizzano per centralizzare a livello di Headquarters le fasi decisionali, impedendo la sintesi manageriale periferica. In questo modo, il momento di visione unitaria avviene al centro, dove si disegnano le strategie principali e globali, lasciando ai Managing Director e General Manager locali una funzione di mero coordinamento, con tanti saluti al think global and act local. Comunque, tipicamente le organizzazioni sono strutturate in divisioni e dipartimenti in base alla funzionalità degli stessi. Ogni divisione o reparto svolge la propria funzione specifica e determina la propria competenza. Ciò include l’assunzione di persone esperte nello svolgimento di quella specifica funzione. Pertanto, questa struttura organizzativa tende a creare il cosiddetto “Silos Thinking”, in quanto ogni reparto è isolato, con una minore, o nessuna, interazione con gli altri all’interno della stessa organizzazione. D’altra parte, la comunicazione è frenata dai livelli gerarchici, che estendendosi sino a casa madre, possono ridurre l’efficacia a livello locale.

Il tema è che i processi aziendali, invece, sono trasversali ai silos funzionali. Un esempio è il processo di vendita, che coinvolge diversi reparti (come nel grafico di seguito), vale a dire il reparto Vendite, Distribuzione e Finanza.

Anche se il processo passa attraverso diversi reparti, dal punto di vista del cliente ha avuto luogo un unico processo, nel quale ogni reparto svolge la propria funzione: il reparto vendite trova il cliente e genera l’ordine, il reparto distribuzione consegna il prodotto e infine il reparto finanziario incassa. Un’impostazione organizzativa basata sui processi richiederà all’organizzazione di spostare la sua attenzione da “chi fa cosa?” a “cosa deve essere fatto?” Mentre il processo scorre attraverso i silos funzionali, l’enfasi si pone sull’assicurarsi che il processo fluisca in modo efficace ed efficiente, senza alcun ostacolo. Ciò significa che tutti i silos funzionali dovranno coordinarsi e comunicare attivamente per garantire che il processo raggiunga i suoi obiettivi. Lungo il processo, coordinandosi e comunicando, il rischio di duplicazione dei compiti, ritardi e perdita di controllo della qualità si riducono sensibilmente.

CEO e leader aziendali capiscono che la suddivisione in compartimenti stagni dei reparti e dei compiti non è auspicabile, eppure, paradossalmente, nelle organizzazioni si continuano a formare dei silos con conseguenti perdite per i profitti. Nonostante l’emergere, come mai prima d’ora, di nuovi strumenti e prodotti software progettati per aggregare i dipendenti, la minaccia dei silos organizzativi è ancora molto reale. Infatti, una recente indagine di My Customer.com, mostra che il 40% dei dipendenti aziendali dichiara di non essere adeguatamente supportato dai propri colleghi perché “i diversi reparti hanno priorità diverse”.

Quindi, l’organizzazione a silos è sempre negativa? Non necessariamente; finché il termine ” silos” descrive semplicemente i confini primari entro i quali costruire capacità specializzate e migliorare le performance, è un modello ancora praticabile. Queste strutture unitarie forniscono orientamento e messa a fuoco. Esse permettono la creazione di centri organizzativi che possono fornire all’individuo un senso di appartenenza e di orgoglio, che la grande azienda, a causa delle sue dimensioni, potrebbe non essere in grado di offrire. Il razionale dietro l’organizzazione a silos è la creazione di un’efficace divisione del lavoro, e la divisione organizzata del lavoro è stata un fattore chiave per l’economia moderna. Non solo, Ron Ashkenas, coautore del The Harvard Business Review Leader’s Handbook e del GE Work-Out, ci dice che “lavorare in silos è più naturale che lavorare in collaborazione. È una mentalità tribale”. E aggiunge che “è la stessa cosa nelle organizzazioni. Eliminare i silos è un atto innaturale”. Anche la giornalista Gillian Tett, nel suo libro The Silo Effect del 2015, la definisce una questione di necessità: “le professioni sembrano sempre più specializzate, anche perché la tecnologia diventa sempre più complessa e sofisticata e viene compresa solo da un piccolo gruppo di esperti”. “I silos ci aiutano a riordinare il mondo, a classificare e organizzare la nostra vita, le nostre economie e le nostre istituzioni”. “Incoraggiano la responsabilità”.

Quindi, è bene che precisi che la mia critica ai silos non si riferisce alla separazione delle funzioni o delle attività, ma al fatto che questa separazione crei confini impenetrabili, inflessibili e assoluti, con l’effetto di creare “la mentalità a silos”. Secondo Chris Fussell, co-autore di One Mission: How Leaders Build a Team of Teams, il malfunzionamento aziendale si verifica quando lo sforzo di collegare un silos con un altro diventa problematico. “Il vero problema nella maggior parte delle organizzazioni è che i silos sono disconnessi […] e le informazioni viaggiano troppo lentamente….”. “Il trucco è collegare i silos in modo efficace”. In altre parole, l’obiettivo principale è quello di garantire che i team dell’organizzazione vogliano lavorare insieme e possano farlo facilmente.

Possiamo dire che, più che i silos, è la “mentalità a silos” il problema, e questa affiora quando i dipendenti dei diversi reparti non si scambiano tra loro importanti conoscenze e competenze per migliorare il risultato finale complessivo. Questo può accadere perché l’organizzazione non ha stabilito i sistemi o gli strumenti di comunicazione giusti per permettere alle squadre di lavorare insieme in modo efficace, o può accadere a causa di “battaglie territoriali” tra team per la protezione delle proprie risorse. Qualunque sia la causa alla radice, di solito si può capire quando una “mentalità a silos” sta prendendo piede solo prestando attenzione a quale sia la cultura aziendale. È importante ricordare che questa mentalità non nasce per caso. Il più delle volte i silos si formano come risultato diretto di un gruppo dirigente in conflitto. Come dice Patrick Lencioni “nella maggior parte delle situazioni, i silos si ergono non per quello che i dirigenti fanno di proposito, ma piuttosto per quello che non riescono a fare: fornire a se stessi e ai loro dipendenti un contesto convincente per lavorare insieme”. Per assurdo, molti leader incolpano di questa mentalità il loro team, accusandoli di essere inesperti, immaturi o di non essere all’altezza dei valori aziendali. Ma, quasi sicuramente, è più probabile che la mentalità a silos derivi da un “leader da silos” e dal modo in cui si relaziona col proprio e con gli altri team. La realtà è che i dipendenti tendono ad imitare i loro leader e giudicano se stessi in base a quanto sono simili ai loro leader. Alla fine, siamo arrivati al punto: sono i leader che devono rappresentare il modello di relazione ideale. Sono loro che devono creare soluzioni efficaci e a lungo termine per dissipare la mentalità a silos. Se il top management non sa trasmettere un obiettivo più grande e nobile, di quello di una singola divisione o dipartimento, non potrà che trovarsi di fronte un’azienda separata, fratturata da un insano desiderio di successo particolare e circoscritto. La soluzione è solo quella di creare “la squadra delle squadre”, attraverso procedure e processi, ma, soprattutto, attraverso uno stile manageriale che unisca, sempre, senza mai dividere e distanziare.

 

Articolo a cura di Giuseppe Andò

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Giuseppe Andò

Giuseppe Andò svolge dal 2000 la professione di C-level & Executive Coach. La sua formazione lavorativa e professionale concilia l’esperienza vissuta al vertice di alcune delle più importanti multinazionali dell’editoria e della comunicazione (General Manager McGraw-Hill, General Manager Pearson), con la fondazione e direzione delle prime realtà strutturate in Italia per l’executive coaching (Studio Income srl, Fineo srl). Nel 2017 consegue tutte le certificazioni MG Sakeholder Centered Coaching e dal 2019 è coach associato Marshall Goldsmith. Dal 2018 è Board Member di EMCC Italia (European Mentoring and Coaching Council). La sua formazione scolastica e universitaria concilia i valori umanistici (liceo classico e laurea in filosofia a indirizzo epistemologico - Milano) con le necessarie competenze tecniche specifiche (laurea in economia indirizzo aziendale - Bologna).

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