Imprese multinazionali: strategie organizzative e processi decisionali

La corporate governance di una multinazionale deve delineare meccanismi di governo in grado di assicurare la capacità degli organi apicali di tracciare la rotta strategica da seguire e, al contempo, essere in grado di valorizzare il contributo fornito dalle singole unità periferiche. In questo contesto, una prima e fondamentale decisione che deve essere assunta concerne la struttura organizzativa che la multinazionale deve assumere.

Un’adeguata struttura organizzativa, reattiva alle opportunità e minacce interne ed esterne è, infatti, uno dei fattori chiave nel convogliare il cambiamento dell’ambiente economico verso risultati positivi[1].

Naturalmente, ogni modello organizzativo di una impresa internazionalizzata è strettamente connesso alla cultura aziendale e, più in generale, al sistema paese. L’assenza di una definizione di gruppo aziendale universalmente riconosciuta è quindi ontologicamente frutto della varietà di dimensioni e forme organizzative che lo stesso può assumere. In letteratura, incrociando due differenti dimensioni strategiche, sono stati delineati quattro diversi archetipi di modelli organizzativi[2]:

Bassa

Elevata

Esigenze locali e necessità di differenziazione

Elevata

Integrazione globale e necessità di standardizzazione

Imprese

globali

Imprese

transnazionali

Bassa

Imprese

internazionali

Imprese

multinazionali

I) Imprese globali: caratterizzate dalla centralizzazione di risorse, responsabilità e attività. Queste imprese non customizzano i prodotti in base alle richieste provenienti dal mercato locale; sono focalizzate su uno specifico core business e dominate da forze centripete che mirano a realizzare economie di scale. La casa madre incarna le funzioni strategiche e le sussidiarie si limitano a seguire le direttive imposte. Il management considera le attività estere quali ponti di collegamento verso un unico mercato globale.

II) Imprese internazionali: caratterizzate da un maggiore collegamento fra centro e periferia diretto ad agevolare il trasferimento di know how tecnologico a favore delle unità locali. Un simile trasferimento è lo strumento che permette di registrare performance migliori rispetto ai competitors.

III) Imprese multinazionali: caratterizzate da un rapporto tra centro e periferia limitato e poco formalizzato, operando casa madre e periferia in contesti non omogenei. In questa struttura la forte differenziazione tra realtà è il driver per rafforzare la posizione competitiva globale.

IV) Imprese transnazionali: caratterizzate dall’operare in contesti dominati da contrapposte esigenze. Infatti, a una forte necessità di centralizzazione e riduzione di costi si affianca una altrettanta forte necessità di adeguarsi alle esigenze dei diversi mercati locali. In una siffatta realtà, l’organizzazione si preoccupa di realizzare strategie multidimensionali, armonizzando strategie globali e locali. La reattività locale non è semplicemente finalizzata all’efficienza, ma mira ad un obiettivo di respiro più ampio consistente nella creazione di valore a livello globale mediante la contemporanea soddisfazione esigenze strategiche diverse, spesso, conflittuali.

La differente mentalità alla base dei diversi modelli organizzativi si riverbera sullo sviluppo di processi e prodotti innovativi, potendo gli stessi essere fortemente centralizzati o, viceversa, decentralizzati. La soluzione ottimale, sebbene più complessa, è fornita dall’impresa transnazionale che favorisce lo stimolo all’innovazione mantenendo un controllo centrale sul know how aziendale. In una simile configurazione organizzativa l’interdipendenza che si realizza tra sede centrale e unità periferiche fa sì che, con riferimento al gruppo aziendale unitariamente considerato, “Their center is everywhere and their periphery nowhere”[3].

Uscendo dal classico schema dicotomico di alternative – centralizzare o decentralizzare le risorse -, il gruppo transnazionale si colloca in una prospettiva multidimensionale, scegliendo di volta in volta il percorso maggiormente adeguato. Le unità locali non sono viste come strumenti per l’internazionalizzazione, ma assurgono a partner strategici in grado di apportare competenze e conoscenze critiche. La soluzione transnazionale è anche maggiormente coerente con le linee guida OCSE indirizzate alle imprese multinazionali, poiché favoriscono lo sviluppo delle competenze locali.
È altrettanto vero che una simile struttura comporti significativi costi di coordinamento dovuti dalla necessità di realizzare canali flessibili ed efficienti in grado di far comunicare la realtà in cui nasce l’opportunità o la minaccia che spinge verso l’innovazione e la realtà dotata delle risorse e competenze per realizzarle. Il rapporto di interscambio tra centro e periferia comporta la necessità di strutturare procedure che permettano un efficiente monitoraggio centrale, senza far venire meno il senso di responsabilità a livello locale. Un buon controllo centrale presuppone infatti che le singole unità locali siano sensibili alle esigenze di controllo centrale, che naturalmente fa affidamento agli input locali[4].

Tuttavia, agire solo a livello organizzativo rischia di creare processi decisionali statici, simmetrici e unidimensionali non in grado di comprendere un ambiente multidimensionale, differenziato e dinamico.

È allora opportuno fare un passo ulteriore rispetto al mero adeguamento strutturale, per dedicare attenzione anche ai processi decisionali posti in essere dai managers. Ciò comporta la necessità di modellare il comportamento dei manager, di focalizzare l’attenzione sui canali di trasmissione delle informazioni, sui ruoli e sulle responsabilità.

Quindi, sposare la soluzione transnazionale non vuol dire adottare semplicemente un assetto strutturale, ma richiede la creazione di una cultura aziendalistica che si esprime in capacità organizzativa e mentalità manageriale.

È stato osservato che spesso l’incapacità di strutturare organizzazioni multidimensionali è dovuta alla necessità di ridurre la complessità organizzativa e strategica, passando per la standardizzazione di ruoli e processi. Una simile semplificazione non è tuttavia esente da insidie, infatti anzitutto induce il management a sottovalutare la circostanza che diversi ambienti nazionali possono richiedere diverse strategie. In secondo luogo, si crea una relazione tra casa madre e unità locali che non è in grado di sfruttare le potenzialità delle stesse. Da ultimo, un simile modello incide negativamente sulla componente psicologia dei manager locali che, svuotati di ogni responsabilità, demoralizzandosi si atrofizzano e non sono più capaci di fungere da cassa di risonanza dei cambiamenti e delle esigenze locali[5].

Approcci organizzativi più semplici – quale quello globale, multinazionale e internazionale – sicuramente traggono da un processo decisionale più spedito, da minori esigenze di controllo e minori costi di coordinamento un vantaggio gestionale. Tuttavia, simili organizzazioni non sono in grado di apprezzare la diversità che caratterizza i differenti mercati in cui operano. Tale modus operandi assicura una gestione chiara e ordinata a scapito della competitività.

Le imprese che abbracciano una filosofia transnazionale e che avviano esperienze multidimensionali con successo sono quelle consapevoli che diversi tipi di business, funzioni e mercati richiedono strutture organizzative differenti, comportano differenti gradi di responsabilità e richiedono manager con differenti competenze e propensioni.

Sebbene possa sembrare un ossimoro, dalle brevi considerazioni suesposte ben si potrebbe affermare che un’organizzazione transnazionale istituzionalizza la flessibilità. Infatti, in un processo di creazione di valore a lungo termine, la strutturazione di processi uniformi e standardizzati dettata dalla necessità di semplificazione cede il passo alla creazione di un’organizzazione flessibile: la differenziazione crea specializzazione mentre l’interdipendenza, permettendo la condivisione del know how, crea valore.

 

Note

[1] C.A. BARTLETT, S. GHOSHAL, Management globale: la soluzione transnazionale per la direzione d’impresa, Etaslibri, Milano, 1990

[2] Ibidem

[3] P.N. DOREMUS, W.W. KELLER, L.W. PAULY, S. REICH, The Myth of the Global Corporation, in Princeton University Press, New Jersey, 1999

[4] W.R. FREDERICK, Challenges in Group Governance: The Governance of Cross-Border Bank Subsidiaries, in IFC Corporate Governance Group Focus 13, 2014

[5] C.A. BARTLETT, S. GHOSBAL, Op. Cit.

 

Articolo a cura di Carlo Riso

Profilo Autore

Carlo Riso è un avvocato specializzato in diritto societario con focus su operazioni di finanza straordinaria. Assiste aziende, soci e investitori a partire dalla strutturazione dell’operazione sino alla sua execution.
Supporta, inoltre, clienti italiani e internazionali in tutte le fasi dell'attività di impresa: si occupa della contrattualistica commerciale ordinaria, predisponendo e negoziando i contratti attinenti i principali settori industriali e affianca management, amministratori e azionisti nella strutturazione della corporate governance societaria.
Ha conseguito una laurea quinquennale in Giurisprudenza e una laurea specialistica in Economia e legislazione d’impresa.
Ha infine consolidato le sue conoscenze frequentando un master di 2° livello in diritto societario.

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