Industry 4.0: una sfida da vincere
Con Industria 4.0 siamo entrati in una sfida che riguarda l’intero ecosistema. Non solo imprese e lavoratori ma anche istituzioni e organizzazioni di rappresentanza, università e mondo dell’education, è una sfida in cui o si vince o si perde.
E la strategia per vincere la sfida di Industry 4.0 va posta in termini di sistema, allargando quindi l’orizzonte fuori dalle mura aziendali. La fabbrica liquida 4.0 funziona meglio se ha attorno un ecosistema 4.0: mobilità, territorio, rigenerazione urbana, approvvigionamento energetico, interconnessioni non solo fra macchine e persone ma anche con il territorio, con la ricerca e con la scuola.
La legge di bilancio 2017 ha previsto importanti agevolazioni per favorire gli investimenti in tecnologie e, in particolare in quelle digitali. E in questi mesi si avvertono già i primi concreti segnali di interesse. Si registrano ordini in aumento soprattutto sul mercato italiano, e questo dimostra ancora una volta la vivacità e la capacità di reazione delle nostre imprese. Ma una buona legge non basta. Ci troviamo di fronte a tematiche complesse e la complessità impone una gestione, non una reazione.
La digital transformation ci ha consentito finalmente di rimettere la politica industriale al centro dell’azione di Governo; ma parlare di una moderna politica industriale significa parlare di “investimenti in conoscenza”: ricerca e sviluppo, tecnologie, ma soprattutto capitale umano, persone. Quest’ultimo, un tema che finalmente verrà considerato nei prossimi provvedimenti legislativi.
Noi, che siamo conosciuti e apprezzati nel mondo soprattutto per la nostra manifattura di alta qualità, abbiamo un grande patrimonio industriale che sa essere innovativo e competitivo su scala globale, capace di produrre valore e generare benessere che dobbiamo sostenere e sul quale possiamo costruire la via della crescita strutturale e duratura.
Tre sono le criticità che dobbiamo porre al centro della nostra riflessione per indirizzare una coerente politica economica con una visione sistemica e pluriennale:
- abbiamo un “problem setting” da considerare. La dimensione delle nostre imprese è diventata una criticità perché frena gli investimenti in conoscenza e la presenza su mercati esteri, due componenti essenziali per essere competitivi;
- la concentrazione dei settori innovativi in alcune aree del Paese rischia di ampliare il forte divide che già contraddistingue il nostro tessuto industriale – come sta accadendo ad esempio negli Stati Uniti – in particolare con il nostro meridione;
- l’espressione skills mismatch racchiude la difficoltà di reperire risorse con adeguate competenze tecnologiche richieste dal mercato e il disallineamento della formazione didattica rispetto alle esigenze delle imprese.
Ciò richiede una nostra via per Industry 4.0 che deve saper coniugare il valore della persona, da sempre il nostro vero punto di forza, il nostro sapere e saper fare, con l’innovazione, ponendo quest’ultima al servizio della prima e non viceversa.
Più che abilità manuali, occorrerà possedere capacità aggiornate e funzionali a sostenere l’evoluzione del business. Il blue collar 4.0 dovrà essere polivalente e cooperativo, mentre al white collar 4.0 saranno riservati compiti di più alto profilo e con più elevati livelli di responsabilità. Nella fabbrica intelligente l’ingegneria sarà sempre più strettamente legata alla robotica: l’ingegnere di nuova generazione dovrà saper progettare in modo integrato utilizzando al meglio la tecnologia disponibile.
Lo scenario complessivo vedrà una forza lavoro multitasking, cooperativa, perfettamente integrata nelle dinamiche produttive e maggiormente coinvolta nei processi decisionali e nelle attività manageriali, in un’ottica partecipativa.
Finalmente, la nuova Legge di bilancio pone l’attenzione sul tema centrale delle competenze. Le imprese di successo, lo sono perché hanno persone di successo. Si prevedono agevolazioni per la formazione dei lavoratori orientata al digitale e questo certamente è un primo passo, ma non si affronta il tema vero che viene ancora prima.
Vale a dire incentivare nuovi modelli di governance e soprattutto una maggiore diffusione di manager innovativi. Per valorizzare un’impresa occorre partire da chi la guida, altrimenti tutto l’impegno profuso rischia di essere solo un buon proposito, ma con una scarsa possibilità di successo.
A cura di: Mario Cardoni
Direttore generale Federmanager