Innovazione o business-as-usual?

Uno dei rischi più significativi che osservo in tante imprese è l’inclinazione a trovare uno spazio di mercato/prodotto/servizio, con il quale riescono a performare in modo soddisfacente, e lì rimanere come congelati, proseguendo l’attività, “abbiamo fatto sempre così e ha sempre funzionato…”, business-as-usual. Paradossalmente questo vale soprattutto per le imprese di successo perché l’effetto è amplificato dall’autocompiacimento di chi è in una posizione di leadership di mercato.

Perché è un rischio? E come evitare di cadere nella trappola dell’inerzia imprenditoriale?

Partiamo dalla prima domanda. È un rischio perché mentre l’impresa si crogiola nei (buoni) risultati di breve periodo, rischia di essere miope e perdere di vista per le tendenze, i cambiamenti che interessano la tecnologia, i gusti dei consumatori, il settore, ecc. E a un certo punto, quando i segnali deboli si trasformano in evidenze conclamate, è troppo tardi per invertire la rotta e arriva la crisi. Le situazioni più critiche arrivano laddove l’impresa non solo non prende atto del cambiamento ma tenta addirittura di resistere, arroccata sul glorioso passato.

Pensiamo al caso di Kodak e Fujifilm, due grandi aziende a lungo protagoniste nel mondo della fotografia (pellicole e stampa, professionale e amatoriale). Robusto fino alla prima parte degli anni 2000, il mercato mondiale delle pellicole fotografiche nel 2010 era sceso a meno di un decimo di quello che era stato solo dieci anni prima. Una trasformazione epocale, trainata dall’avvento della fotografia digitale, che oltretutto è avvenuta nel giro di pochi anni. Il settore era molto concentrato e le poche aziende che vi operavano detenevano una tecnologia e un know-how non banali ma il passaggio alla digitalizzazione ha costretto tali imprese a spostarsi, nel giro di pochi anni, dalla chimica all’elettronica.

Le due aziende si sono comportate in modo molto diverso e i risultati sono stati altrettanto divergenti.

Fujifilm si è mossa prima e in modo più incisivo, ha investito in modo importante e “convinto” sulla fotografia digitale, abbandonando senza riserve le pellicole e altre aree di business strategicamente più deboli, Kodak lo ha fatto ma in ritardo e con meno determinazione, con costi e investimenti superiori e mantenendo comunque alcune aree di business legate alla stampa.

Il risultato è che nel 2010 Fujifilm ha fatturato il +57% rispetto al 2000, Kodak nello stesso periodo ha perso quasi metà del proprio fatturato (-48%). La crisi di quest’ultima è stata così profonda che nel 2012 ha chiesto il Chapter 11, un istituto che negli USA corrisponde alla nostra amministrazione controllata.

Pur con tutte le specificità del caso, questa storia ci racconta come imprese forti e leader nel loro settore possano nel giro di poco tempo passare da una elevata profittabilità a uno stato molto vicino al fallimento. Per non aver saputo cogliere in tempo e in modo efficace una tecnologica emergente e non averne capito gli impatti sul settore e sulle preferenze dei consumatori.

Pur in modo meno evidente, anche le PMI possono incorrere, molto facilmente, in queste disavventure. Il contesto muta ma l’azienda no; e quindi arriviamo alla seconda domanda.

È possibile evitare di cadere nella trappola dell’inerzia imprenditoriale in molti modi, spesso in combinazione tra loro:

  • partecipare a eventi/convegni organizzati da Università e Associazioni imprenditoriali o di settore. È vero che non servono a vendere o a generare business nell’immediato, ma servono a mantenere lo sguardo lungo, contaminarsi e a ricevere stimoli in contesti non consueti, volutamente sganciati dalla quotidianità operativa. Attraverso questa modalità è possibile aprirsi e cogliere eventuali tendenze in atto;
  • lanciare regolarmente nuovi prodotti/servizi. Una piccola parte del fatturato va investita ogni anno in ricerca e sviluppo (aiutata anche dal credito d’imposta, Decreto-legge 145/2013). Avere l’abitudine di sviluppare con regolarità nuovi prodotti/servizi, aiuta l’impresa a “non sedersi” avendo sempre la giusta tensione innovativa, la necessità di conoscere le novità tecnologiche, ad interrogarsi spesso sui mutati gusti e preferenze dei consumatori. E anche se il singolo prodotto/servizio non sarà così di successo sul mercato, ci sarà comunque il beneficio indiretto di aver portato aria fresca e nuove competenze in azienda e aver dato ai propri collaboratori una spinta al cambiamento;
  • commissionare periodicamente un check-up strategico. Chi opera in azienda spesso non riesce a vedere la propria azienda “dall’alto con il giusto distacco” per l’inevitabile coinvolgimento e per le tipiche consuetudini aziendali/settoriali. Chiedere a un terzo qualificato di effettuare un check-up strategico significa farsi analizzare con oggettività da chi è in grado di leggere le più recenti tendenze settoriali e di valutare, di conseguenza, i punti di forza e di debolezza dell’impresa;
  • commissionare un’analisi di technology intelligence. La technology intelligence è il processo – esterno ma anche interno – di raccolta di informazioni riguardanti le nuove tecnologie e la loro evoluzione. Così l’azienda è in grado di identificare per tempo le tecnologie che hanno il potenziale di rivoluzionare il settore e, allo stesso tempo, di capire se ci sono altri, nuovi, spazi di mercato per le tecnologie che attualmente possiede;
  • farsi affiancare temporaneamente da un advisor indipendente. Un’altra modalità, vicina alla precedente, è farsi affiancare da un advisor esterno che, per un breve periodo di tempo, accompagni imprenditori e manager a capire i punti di forza e di debolezza dell’impresa e le tendenze in atto e li supporti nel colmare gli eventuali gap e trovare nuovi partner per innovare con modalità più aperte.

Le prime due modalità consentono all’impresa di essere innovativa in modo autonomo, l’azienda va a cercare fuori le novità.
Le seconde tre le consentono di essere innovativa con il supporto di advisor esterni indipendenti che, in virtù delle loro attività spesso cross-settoriali e trasversali, portano le novità in azienda.

In tutti i casi sono investimenti di medio-lungo periodo e come tali vanno considerati: una spesa oggi che genererà ritorni tra qualche anno quando l’impresa sarà in grado di fronteggiare – se non addirittura anticipare – una crisi.

 

Riferimenti bibliografici

https://petapixel.com/2018/10/19/why-kodak-died-and-fujifilm-thrived-a-tale-of-two-film-companies

Stephen K. Markham, Paul Mugge, Massimo Canducci, Innovazione aziendale. Metodi e strumenti per affrontare il cambiamento in azienda, Tecniche nuove (2016)

 

Articolo a cura di Emanuele Pizzurno

Profilo Autore

Emanuele Pizzurno, PhD, è ricercatore nell’area dell’ingegneria economico-gestionale presso la Scuola di Ingegneria Industriale della LIUC Università Cattaneo dove ha svolto gran parte della propria attività accademica. In parallelo ha svolto numerosi incarichi di advisory strategico e di studi e ricerche scientifiche affidati da qualificate istituzioni pubbliche e private e, nel 2014, è stato co-fondatore del Centro sull’Imprenditorialità e la Competitività, affiliato ad Harvard Business School. È inoltre collaboratore alla ricerca e professore a contratto presso la Scuola Mattei – Eni Corporate University e presso il Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano e si occupa di formazione manageriale presso primari Istituti Bancari. I temi di ricerca e di didattica prevalenti riguardano la gestione della tecnologia e dell’innovazione e la competitività e si è inoltre occupato a lungo di strategie e gestione ambientale d’impresa. Su questi temi è autore di numerose pubblicazioni scientifiche internazionali.

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