La buona leadership comincia dalla self-leadership
Nelle numerose definizioni di leadership che si trovano in letteratura molto spesso vengono messi in evidenza aspetti tecnici relativi alla capacità di guidare un team, di indirizzare le persone verso un obiettivo, di avere e trasmettere una visione, di saper delegare quando occorre, ecc.
Sembra, invece, posto in secondo piano l’aspetto umano e interiore della leadership, la soggettività, gli aspetti psicologici, cognitivi, emotivi, spirituali e la capacità di essere sempre presenti e connessi, innanzitutto con se stessi, consapevoli dei propri comportamenti e delle relazioni che si è in grado di instaurare con gli altri. In certi casi, insomma, manca proprio il primo passo che è quello che potremmo definire una self-leadership, che significa appunto porre al centro del processo prima di ogni cosa se stessi.
Il ruolo della componente emotiva
In ogni personalità esistono le potenzialità indispensabili per superare le sfide della vita e per raggiungere gli obiettivi desiderati, a condizione che la persona riesca a dare a tali obiettivi un senso esistenziale e di autorealizzazione sufficientemente attraente, come sostiene Martin Seligman[1], caposcuola della psicologia positiva. E, per farlo, bisogna essere in grado di mettere in campo tutte le proprie doti, conoscendo i punti di forza e tenendo conto degli aspetti emotivi.
Bisogna considerare, infatti, che le decisioni che si prendono e che fanno parte del nostro comportamento sono in diretta relazione con il nostro sentire interiore. Riuscire a decifrare il flusso della vita emozionale, sia di sé che degli altri, diventa una premessa indispensabile per coltivare un buon clima relazionale e, quindi, diventare un valido leader.
Come è cambiato nel tempo l’approccio alla sfera emotiva
Nella nostra cultura manageriale, è prevalsa in passato una visione negativa degli aspetti affettivi ed emozionali, considerati un impedimento, la cui presenza doveva essere ridimensionata al fine di garantire una capacità di governance efficace ed efficiente.
Negli ultimi anni, l’atteggiamento culturale riguardo alla sfera emotiva però si è modificato, perché si è smesso di considerarli come componenti irrazionali ma aspetti intelligenti della vita. Non esiste, per quanto si possa immaginare, un pensiero che sia asettico dal punto di vista emozionale. Al contrario, il pensiero è vivo se è arricchito di tali componenti, perché se le emozioni hanno bisogno di un pensiero per illuminare l’esperienza e altrettanto vero che il pensiero senza emozioni non sarebbe in grado di penetrare in modo esaustivo la realtà.
In altre parole, una conoscenza intellettuale senza alcun “sentire interiore” resta circoscritta alla superficie delle cose e quindi è incapace di cogliere gli eventi umani in tutte la loro dimensioni. Il lavoro del leader richiede continuamente l’obbligo di prendere decisioni e ogni atto deliberativo non può che essere allo stesso tempo intellettuale ed emotivo.
Il ruolo delle emozioni nell’attività di leadership
Oltretutto, le emozioni, i sentimenti non sono fenomeni transitori e occasionali ma ben incardinati nella vita cognitiva; ne sono parte integrante perché consentono di cogliere la qualità e il senso della vita. Si potrebbe dire che svolgono una funzione ontologica[2]. In altri termini, noi non siamo solo i pensieri che pensiamo ma anche le emozioni che sperimentiamo le quali, a seconda della loro qualità, danno un valore (positivo o negativo) ad ogni momento dei nostri vissuti.
Una conferma a questa visione di insieme, per così dire olistica, delle funzioni del nostro modo di pensare, ci arriva anche dalle neuroscienze: oggi, grazie a questi studi, e in particolare alla risonanza magnetica funzionale (fMRI), siamo in grado di evidenziare quali aree del cervello si attivano (in realtà, si accendono perché si tratta proprio di impulsi elettrici) mentre una persona sta facendo o pensando una cosa.
Non solo. E’ possibile anche vedere dal vivo cosa succede all’interno del cervello, comprese le zone più profonde del nostro sistema nervoso, quando pensiamo o proviamo delle emozioni.
Nel prospetto che riportiamo qui sotto (realizzato da Jeffrey Schwartz[3] et al.), riportiamo in modo schematico le diverse aree del cervello e le loro funzioni, in relazione al comportamento di un leader. La semplificazione è utile per darci un’idea del processo cognitivo e deliberativo e delle strade che si possono percorrere per arrivare a una decisione.
La plasticità del cervello
La notizia estremamente positiva che ci arriva dalle scoperte delle neuroscienze è che il nostro cervello è plastico, vale a dire in continua evoluzione, dal momento che crea infinite connessioni e configurazioni tra le sinapsi e i neuroni. Ma ciò avviene solo quando si trova di fronte a esperienze significativamente importanti in grado di produrre nuova conoscenza. La passività, l’abitudine, la ripetitività, i lavori di routine hanno scarso effetto in questo senso.
Quando, invece, una nuova esperienza è così profonda da trasformarsi in una nuova abilità anche a livello cerebrale si attua una modifica strutturale: il cervello cambia forma, qualcuno parla addirittura di un aumento della massa neuronale e il nostro cervello diventa un “expert brain”. Lo spiega bene, in un brillante e godibile libro dallo stesso titolo, Antonio Cerasa[4].
La rivalutazione dei fattori emotivi nasce però anche dall’esigenza sempre più sentita da parte delle organizzazioni che oggi operano su un mercato in rapidissima trasformazione (digital economy) di avere una visione aperta e un orientamento mirato allo sviluppo della creatività e all’innovazione. Caratteristiche – spesso latenti o poco coltivate – che vengono sempre più richieste anche alla leadership.
Mente, cuore e volontà aperti
Partendo dal suggerimento di Otto Sharmer[5], il leader dovrà perciò avere “mente aperta”, “cuore aperto” e “volontà aperta”. Si può parlare di “mente aperta” quando si è in grado di vedere la realtà con occhi nuovi, recuperando la visione del principiante (imparare a disapprendere, per imparare ad apprendere). Dal punto di vista delle neuroscienze, significa liberarsi da certi automatismi mentali che ci portano a ricercare nelle cose che vediamo la conferma di quanto già conosciamo, anziché spingerci a una nuova interpretazione, anche se rischia di mettere in discussione la nostra zona di confort.
“Cuore aperto” cioè la capacità di sviluppare una intelligenza emotiva e sociale che interpreti il mondo come un sistema interconnesso e interdipendente, al fine di attivare delle dinamiche sociali e relazionali efficaci e durature. Saper, ad esempio, sviluppare il “perspecting taking”, cioè mettersi nei panni degli altri.
“Volontà aperta” cioè liberarsi da un’identità troppo rigida e sviluppare abilità intuitive e percettive, estendere, ampliare, portare a un piano al quale non saremmo mai arrivati il modello neurofenomenologico di sé, superando quella che lo psicologo Ugo Morelli[6] chiama la “mafia interna” che ci fa rinunciare ancora prima di cominciare.
Emozioni: maneggiare con cura
Una annotazione finale, però, mi sembra opportuna a questo punto. Bisogna maneggiare con cautela le emozioni e non riporre una eccessiva fiducia nei sentimenti e nelle passioni. Certe emozioni possono costituire un ostacolo a un comportamento corretto. Ci riferiamo soprattutto a determinati sentimenti negativi che possono inficiare i rapporti con gli altri, che provocano sofferenze nelle relazioni e incidono sulla qualità della vita.
E’ vero, come abbiamo visto, che la sensibilità emotiva può fornire contributi essenziali per risolvere problemi legati alle proprie decisioni, perché consente di mettere a fuoco aspetti creativi, innovativi, anche etici, ma occorre che il leader riconosca che sta procedendo su un terreno fluido ma anche “infido” che gli impone di saper gestire prima di tutto la propria vita emozionale, comprendendola e orientandola attraverso un processo di autoanalisi (mindfulness) dal quale non può prescindere.
- [1] “La costruzione della felicità”, 2002, Sperling & Kupfer
- [2] Luigina Mortari, La sapienza del cuore, Raffaello Cortina Editore, 2017
- [3] “Fondamenti delle neuroscienze e del comportamento”, 1994, CEA Edizioni
- [4] “Expert brain”, Franco Angeli editore, 2017
- [5] “Leadership in un futuro che emerge”, Franco Angeli editore, 2015
- [6] “Incertezza e organizzazione”, Raffaello Cortina editore, 2009
A cura di: Ugo Perugini
Ugo Perugini. Giornalista, blogger, collaboratore di “Vendere di più”- https://www.venderedipiu.it/, “Az Franchising” - https://azfranchising.com/az-franchising-magazine/ -, DM&C - http://www.dmcmagazine.it ; HR on line - www.aidp.it/riviste/indice-hronline.php. In passato, ha collaborato con “Beesness”- www.beesness.it ; Together HR, blog di Sky Lab http://www.togetherhr.com/bloghr-blog-risorse-umane/- “Senza Filtro” https://www.informazionesenzafiltro.it e altre pubbllicazioni
Il blog che cura è https://capoversonewleader.wordpress.com/