La consulenza organizzativa efficace – Il focus sul training on the job
Dalla consulenza organizzativa si attendono sia lo studio e l’introduzione di innovazioni efficaci sia la crescita professionale delle persone che operano nel sistema su cui si interviene. Occorre trasferire la cultura di base necessaria per garantire non solo il mantenimento dei risultati acquisiti ma anche la capacità di produrre autonomamente ulteriori sviluppi.
Quando ci si riferisce al vertice delle aziende o degli enti – la loro natura non fa differenza – si pensa a persone dotate insieme di leadership e di talento organizzativo, competenti, creative, determinate e coraggiose. Ma è realmente possibile che singole persone riuniscano in sé questa intera gamma di eccellenze? Ed è poi proprio necessario? Certo, per la leadership, alla determinazione e al coraggio non ci sono alternative. I capi rappresentano il motore del sistema e, perciò, queste doti sono senza dubbio indispensabili. Ma per il resto si può ben sopperire mediante un’opportuna scelta di collaboratori interni o esterni. Conviene che il leader deleghi a questi il compito di studiare il miglioramento del sistema organizzativo e del modo di lavorare per la sua realizzazione. E’ una questione di ripartizione dei compiti: a ciascuno il suo, anche in questo senso.
Se, poi, si intende innovare entrando su un terreno lontano dal proprio core business, vale senz’altro la pena di chiamare in causa dei professionisti che l’abbiano già battuto e che, quindi, dispongano del livello di specializzazione necessario. I consulenti sono appunto chiamati a fare dei lavori per i quali il cliente non ha il tempo o la competenza necessaria. Lo studio di una strategia centrata sull’innovazione, delle opportunità offerte da Industria 4.0, dell’acquisizione di mercati esteri, del lancio di nuovi prodotti e servizi, dell’adozione di un sistema informativo integrato, di un metodo di controllo di gestione, è un’attività per la quale non avrebbe gran senso disporre all’interno di competenze specialistiche, a meno che si tratti di megastrutture nelle quali tali attività possono essere routinarie. Occorre consulenza organizzativa per impostare e fluidificare i processi di progettazione, realizzazione e formazione. Con quest’ultima si trasferisce al personale interno il know-how in modo che i risultati conseguiti siano stabilizzati.
Ecco, “stabilizzati”. Si intende con ciò dire che una volta che i consulenti siano andati via le strutture aziendali devono poter camminare con le loro gambe e andare avanti in piena autonomia lungo il percorso tracciato. E’ su questo punto che si evidenzia la qualità della formazione svolta in aula e, soprattutto, on the job.
La parola d’ordine è una, introdurre le competenze necessarie per conseguire i risultati programmati, e le strade possibili sono – come detto – essenzialmente due: assumere personale che ne disponga o fare outsourcing chiamando consulenti. Quando possibile è da preferire la seconda che presenta costi variabili e solo apparentemente più elevati.
Il consulente di direzione è la figura professionale che con il suo lavoro supporta il management o l’imprenditore nella pianificazione strategica e nella creazione di valore. Il suo costante riferimento è costituito dalle best practices che sono la base del suo know-how. Suo compito, una volta acquisiti mediante un accurato check up aziendale – analisi SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats) dei punti di forza e di debolezza del sistema, delle opportunità e delle minacce – gli elementi che il cliente ha già in mente magari in forma non organica, è aggiungervi la sua esperienza, conoscenza e professionalità per promuovere gli sviluppi voluti. In tale contesto è cruciale che tra il committente e il consulente esista il rapporto di fiducia, che può fondarsi sulla conoscenza diretta, sulla notorietà del consulente, sulla competenza e capacità dimostrate, sui titoli professionali che egli possiede. Meglio ancora, sui risultati conseguiti e verificabili.
Le fasi della consulenza sono sintetizzate nel seguito.
L’analisi preliminare, quella indicata come check up aziendale, fornisce la fotografia della situazione. Il tempo dedicato a questa attività non è mai troppo perché fa raccogliere le preziose informazioni da utilizzare sia per l’immediato piano di intervento sia per future azioni di miglioramento. L’esperienza dice che nelle aziende piccole e medie – che nel nostro Paese costituiscono un’assoluta maggioranza – la sua utilità è spesso poco riconosciuta a causa della convinzione degli imprenditori di disporre già del quadro completo, di sapere tutto. Assorbiti come sono dalla routine quotidiana, essi, mentre riescono di norma molto bene nella gestione corrente, non hanno né il tempo né gli strumenti per occuparsi adeguatamente della pianificazione dello sviluppo. E, appunto, l’esercitato occhio esterno riesce a vedere cose che la lunga consuetudine può mettere in ombra. E’ un lavoro delicato che impegna principalmente i consulenti con interviste al personale dei vari livelli per raccogliere dati e informazioni.
L’articolazione del piano degli interventi e della formazione è la naturale conseguenza del check up. Dove si propone di intervenire? Sui punti deboli o su quelli forti, nelle aree in cui si presentano minacce o opportunità, secondo un rigoroso ordine di priorità, dove i benefici attesi sono maggiori in rapporto ai costi da affrontare. Questa fase vede allo stesso tavolo il management e i consulenti per individuare, sulla base dei risultati attesi, le singole azioni, le persone chiamate ad assumere la responsabilità della loro esecuzione, i tempi relativi e le risorse assegnate. Nel piano occorre tener presente la necessità di non separare consulenza di direzione e formazione specifica. Si fa presto a indicarne i motivi: affidare la realizzazione dei progetti messi a punto a persone che non li abbiano condivisi e fatti propri espone a elevati rischi di insuccesso. Ma anche limitarsi a fare formazione teorica a chi opera è di scarsa utilità, o addirittura inutile. La conoscenza pratica dello specifico problema sul tappeto posseduta dalle persone dell’azienda si deve sposare con il sapere del consulente, forte dei tanti casi che ha affrontato in passato, per produrre soluzioni che possono risultare fortemente innovative. Mentre si fa buona formazione al personale dell’azienda, si offre anche al consulente l’opportunità di allargare gli orizzonti e di arricchire il suo bagaglio. Ecco, fare consulenza implica la trasmissione delle proprie conoscenze con una doppia finalità: aiutare la struttura a sviluppare progetti nell’ambito di un quadro strategico e, insieme, far crescere la cultura delle persone addestrandole sul campo mentre si affrontano e si risolvono i loro problemi.
Solo a questo punto si passa all’implementazione delle azioni previste. Ogni responsabile stende un dettagliato programma – con il supporto della consulenza – e salpa le ancore.
Il monitoraggio e l’analisi degli scostamenti, indispensabili per controllare il rispetto della rotta, vengono normalmente svolti dai consulenti che preparano dei periodici report per il vertice dell’azienda. In queste riunioni si valutano i risultati conseguiti al momento e si decidono gli interventi correttivi.
La loro attivazione è compito dei singoli responsabili con gli opportuni supporti.
Man mano che le operazioni si concludono positivamente si procede alla valutazione finale dei risultati prima di ciascun sottoprogetto e poi del lavoro completo.
Il progetto è concluso? No, il processo non dovrebbe chiudersi qui. Occorrerebbe riprendere il ciclo secondo uno schema iterativo con una nuova analisi e un piano aggiornato da sviluppare questa volta possibilmente in piena autonomia, senza i consulenti. Questo aspetto è fondamentale per la valutazione della qualità della consulenza: se si è dimostrata valida è bene che rimanga sul posto, ma per lavorare ad altri progetti. E’ la cartina di tornasole della formazione delle persone: se è stata fatta bene saranno in grado di muoversi da sole lungo il percorso tracciato. Non sorprenda la ripartenza prevista da questo punto, ci sono due buoni motivi che la spiegano. Il primo è la necessità del miglioramento continuo che si impone perché il contesto di mercato cambia di continuo e obbliga le imprese a evolvere sempre per restare competitive. In alternativa si resta indietro e oggi davvero non è possibile sottrarsi a questa sorta di rivoluzione permanente. Il secondo attiene alla natura entropica di tutti i sistemi che tendono naturalmente a decadere.
Queste attività vanno svolte in stretta connessione con il personale della struttura – ai vari livelli, a seconda dei temi – per mettere a punto insieme la soluzione dei singoli problemi e trasferire, nel contempo, la cultura di base necessaria per garantire il mantenimento dei risultati acquisiti e andare avanti. E’ questo che si intende per training on the job. Nell’attività di consulenza il people building deve per forza rimanere centrale: se si introduce, per esempio, un ERP (Enterprise Resource Planning) in azienda e non si preparano le persone – tutte – a gestirlo e, possibilmente, a rinforzarlo nel tempo si rischia di vederlo poi utilizzare solo per i moduli indispensabili o, al limite, crollare come un castello di carte. Cosa che capita non proprio di rado.
A cura di: Corrado Cavaliere
Consulente di direzione aziendale
Corrado Cavaliere: Ha ricoperto ruoli di staff e line in aziende industriali a vari livelli. Di due è stato direttore generale. Ha poi fondato e diretto una società di consulenza di direzione aziendale, Futuro – Interventi Manageriali in Azienda. Ha insegnato al corso di Impianti Meccanici presso la Facoltà d'Ingegneria dell'Università di Napoli che gli ha conferito la nomina di professore a contratto. Ha tenuto corsi e seminari presso aziende, scuole di formazione e strutture pubbliche su Project Management, Total Quality, Sistemi di Gestione, Strategia Aziendale, Sistemi Informativi, Organizzazione della Produzione, Controllo di Gestione, Risparmio Energetico e Sicurezza sul Lavoro. Pubblicazioni: tre libri e decine di articoli di General Management.