La decisione manageriale adattiva

Premessa: la difficoltà nel decidere.

Le scelte cui spesso siamo posti difronte, nell’ambito dello svolgimento di una qualsiasi attività lavorativa, ci pongono quasi sempre davanti a due o più alternative, delle quali non riusciamo a stimare bene le conseguenze e se vi saranno gli effetti desiderati.

Perché accade questo? Ebbene, secoli di pensiero filosofico ci indicano che la Verità è inconoscibile all’Uomo, potendo egli conoscere solo una parte di essa, cioè un suo profilo, sfuggendogli sempre la conoscenza del tutto. La contrapposizione tra divino, come onnisciente e infinito, e umano, come inconsapevole e finito, vuol in sostanza significare proprio questo: non è dato a nessuno di conoscere il tutto!

E’ per questo che quando siamo difronte ad un problema, o dobbiamo compiere una scelta che ci appare imperscrutabile, la definizione dei contorni della questione, che dobbiamo dirimere, non ci è mai data di conoscerla a sufficienza per poterci esprimere con consapevolezza e senza dubbi. E, pur tuttavia, una decisione va assunta, perché lo impone il contesto in cui svolgiamo i compiti ai quali siamo stati chiamati.

La miglior tecnica di decisione è allora quella di tipo induttivo-adattiva, ossia quella che consente al decisore, nonostante le avverse condizioni, di raggruppare i dati, che gli paiono sufficienti, attraverso dialoghi informativi, e gradualmente per approssimazione successiva di poter procedere verso la decisione, mai perfetta, ma più conforme all’obiettivo perseguito.

La decisione adattiva esprime allora la migliore soluzione possibile al problema, che è data come conoscibile all’Uomo.

In psicologia ed etologia, il termine adattivo indica ciò che favorisce il processo di adattamento all’ambiente. In ottica, ci si riferisce invece al miglioramento avanzato del focus. In economia, l’approccio adattivo s’impone quando nel mercato le previsioni sull’andamento della domanda e dell’offerta non consentono la pianificazione. Nella tecnica dei controlli automatici, si parla di controllo adattivo, quando gli interventi sul sistema controllato sono effettuati, tenendo conto non solo dello stato del sistema, ma anche di tutti i parametri che caratterizzano l’efficacia del controllo.

Leadership e capacità di trovare dati (la decisione dialogata).

In prima approssimazione, quello che facciamo prima di decidere è trovare informazioni, ossia elementi utili alla valutazione, cerchiamo cioè di accumulare né più né meno che dati, proviamo quindi a ordinarli, tentiamo finanche di separare i dati che ci sembrano falsi dai dati che ci appaiono veri.

Prima di decidere, dobbiamo però costruirci un patrimonio informativo, che renda la scelta la più consapevole possibile e soprattutto perlomeno orientata al fine, per la quale la vogliamo prendere. L’agire umano è infatti tendenzialmente – in un soggetto modello – di tipo razionale, orientato verso una direzione e riflessivo sulle conseguenze da raggiungere.

Molto spesso i modelli organizzativi delle strutture organizzative di un’azienda (talvolta troppo flessibili) o burocratiche di un’amministrazione pubblica (molto spesso rigide) non aiutano affatto, perché, per un motivo o per un altro, risultano inadeguati, rispetto al problema da risolvere.

Essi dovrebbero essere pensati in funzione dei destinatari dei servizi (ossia degli utenti), come poche volte accade, e non già in rapporto alle esigenze di prestatori dei servizi (ossia delle aziende o degli enti pubblici), come invece purtroppo molto spesso accade.

Inoltre, lo schema ideale del modello organizzativo, anche quando ben ideato, non trova mai una completa attuazione, conforme allo scopo preconizzato. Anzi, spessissimo, si riscontra una sorta di eterogenesi dei fini, il modello cioè ha raggiunto obiettivi diversi da quelli perseguiti, talvolta addirittura contrari!

Va considerato come sia necessario porre molta attenzione nell’attuazione pratica degli schemi organizzativi teorici. Di ogni modello organizzativo astratto istituzionale della Repubblica, di un ente pubblico, come anche per qualsiasi azienda privata, potenzialmente vi possono essere molteplici applicazioni concrete. Il modello organizzativo cioè, può ricevere un’applicazione: a) piena (o ottima); b) mediana (o mediocre); c) patologica (o pessima).

In merito, deve considerarsi come modello migliore quello la cui applicazione patologica reca minor danno, in quanto l’attuazione di qualsiasi modello organizzativo (nello Stato, come nell’azienda) non è quasi mai piena, quasi sempre è mediana, in alcuni casi è pessima. Per meglio dire, l’implementazione piena reca danni marginali, mentre l’applicazione mediana reca pochi danni, infine l’applicazione patologica reca molti danni, che sopravanzano qualsiasi vantaggio.

Pertanto, non bisogna illudersi che aver pensato ad un buon modello organizzativo, questo di per sé sia sufficiente, come se quasi automaticamente funzionerà. Al contrario, per mille motivi, le riforme ed i modelli di organizzazione ricevono quasi sempre un’applicazione mediocre nel migliore dei casi e pessima nel peggiore dei casi, mentre rara ne è l’applicazione ottima.

Di conseguenza, i modelli di organizzazione vanno studiati, ben meditati e rimodulati, laddove occorra, e non si deve escludere in modo autoreferenziale che non possano funzionare a dovere, per cui la loro definizione va tarata anche per far fronte ad eventuali applicazioni patologiche, affinché non arrechino troppi danni.

Ecco che allora, in disparte il modello organizzativo e la sua concreta adeguatezza, quel che più importa è il ruolo svolto dal decisore colto.

Come qualsiasi manager colto, il decisore deve porre assoluto rilievo al ‘dialogo’ con i propri migliori collaboratori, in quanto un qualsiasi oggetto o problema si presenta sempre come un prisma, dalle molte e diverse sfaccettature.

Ogni collaboratore è collocato in posizione diversa e vede solo una faccia del prisma, quella sola che cioè può osservare dalla sua postazione, mentre gli sono ignote le altre facce, osservate invece meglio dagli altri.

Ognuno vede solo una faccia e tende ad immaginare che il prisma – che non è mai in realtà di vetro e trasparente e che presenta un peculiare aspetto, colore e forma, a seconda della faccia considerata – sia tutto uguale, ma così non è mai; perciò, solo scambiando le proprie informazioni e dialogando tra loro, i vari soggetti, che guardano il prisma, potranno addivenire ad un’unitaria visione dello stesso.

Ossia fuori di metafora, solo dialogando, potranno aver cognizione del “problema”, potranno riuscire a comprendere come in realtà questo sia fatto e, quindi, in quali termini reali si presenti lo stesso e riusciranno orbene a darvi una soluzione condivisa e la migliore possibile.

Al contrario, se non si comunica e dialoga, si finisce per assolutizzare il proprio punto di vista e, quindi, per “litigare”, in realtà inutilmente ed in ultima analisi si finisce per dare la risposta sbagliata ad un problema analizzato e “visto” in modo errato, solo da un lato.

Purtroppo, spesso nel dialogo si incede a critiche, anche aspre.

Delle critiche però non si deve mai né aver paura, né esser proclivi a scartarle con troppa superficialità.

Attenzione: una critica può essere vera; un complimento può esser falso!

Meglio prestar attenzione a ciò che può esser vero, piuttosto che a ciò che può esser falso. Possiamo certo ben dire: per capire il vero complimento, bisogna saper ascoltare la critica. Se la critica è vera, non lesinare a modificare il tuo comportamento; se è falsa, avrai ottenuto la controprova del tuo buon comportamento.

In ogni caso, la critica ti può aiutare: è utile; il complimento può solo fuorviarti: è inutile.

Gli uomini intelligenti e colti, questo lo sanno molto bene e riflettono sempre sulla critica; gli uomini inetti, invece, non lo sanno e reagiscono molto male alla critica.

Di conseguenza, va sempre prestato ascolto anche all’opinione critica, perché anch’essa aiuta a raggiungere il grado di conoscenza indispensabile per assumere una buona decisione.

In sostanza, la scelta ideale riposa nella capacità del manager di utilizzare al meglio il potere della conoscenza e, quindi, nella capacità di metter insieme gli uomini che sanno, i quali in primo luogo sanno scambiarsi le idee, in quanto hanno una connaturata propensione al dialogo, non temendo mai le critiche; sicché gli riesce molto facile, con talento spontaneo, individuare le soluzioni migliori possibili ai problemi complessi, che gli si pongono difronte.

Estrapolazione dei dati e composizione del puzzle (la decisione ponderata).

Il metodo preferibile per l’estrapolazione dei dati resta quello di tipo maieutico, già elaborato da Socrate (Atene, 470/469-399 a.C.), imperniato sulla capacità di tirar fuori dal pensiero umano i contenuti che già possiede, in virtù della maturata propensione dello stesso allo studio, all’approfondimento e alla riflessione.

Il metodo socratico è infatti un metodo d’indagine basato sul dialogo, nel senso che fa “nascere” la verità, ascoltando e provocando l’interlocutore, sì da astrarre la conoscenza, per mezzo del logos, ponendosi il maestro come una levatrice pronta ad accogliere la verità.

Ciascun Uomo colto, preparato, ha in se stesso gli strumenti per apprendere al meglio e quindi pervenire a individuare la spiegazione ottimale in senso relativo per ogni problema.

Il manager deve far proprio questo! Mai raffrontarsi con uno schema gerarchico o verticistico: non serve a nulla! Soprattutto non serve a ricercare informazioni. Si provocano soltanto atteggiamenti di repulsione, si ricaverebbero solo dati di comodo, quelli cioè che l’unico interlocutore con cui ci si raffronta vuole fornire e solo quelli.

Sempre riunire i collaboratori che si occupano di un problema, farli dialogare, mettere a fattore comune le loro parole, per astrarre la propria convinzione sulla questione, indispensabile per la migliore decisione possibile.

Le persone hanno una certa naturale propensione a dire la verità, se sanno che altri possono facilmente smentire le loro proposizioni false o incomplete. Per questo, posti attorno a un tavolo i soggetti essenziali, non troppi, né troppo pochi, che si occupano di un problema, ecco che ciascuno di essi farà a gara a raccontare la propria versione. Non una versione di comodo, perché sarebbero facilmente smascherati dagli altri, ma quella versione più prossima all’oggetto della questione, per come ciascuno la intende.

Al manager decisore, sta il compito (arduo) di estrapolare dalla versione proposta da ciascun componente gli aspetti, si direbbe pure le “tessere del puzzle”, da comporre. La conoscenza più prossima alla realtà sarà allora quella che mette assieme, a fattor comune, i vari pezzi del racconto di ciascuno.

Come fare a individuare i pezzi giusti? Non è poi così difficile a farsi. Basta star attenti!

Poniamo che la riunione abbia quattro interlocutori, più il decisore. Se almeno due interlocutori concordano, anche con diverse combinazioni su almeno due diversi aspetti, è indi prossima alla realtà quell’affermazione confermata da almeno due di essi.

Poniamo che si debbano individuare quatto affermazioni vere, su un panel di dieci affermazioni, a disposizione.

Facendo dialogare le persone, ponendo loro opportune domande, più volte almeno due di essi concorderanno, con diverse combinazioni di soggetti, su almeno due o tre affermazioni, le altre pur indispensabili resteranno inevitabilmente ignote.

Ecco che qui spicca la sagacia e la capacità decisionale del manager, le altre mancanti dovrà intuirle lui!

Come? Osservando in primis le quattro affermazioni già trovate, poi provando a trovare quella che meglio vi si adatta, prendendo a spunto una di quelle ulteriori rimasta come affermazione isolata fatta da uno dei componenti la riunione, assumendo di condividere or quella pronunciata dal componente con più esperienza, se si affronta una questione non nuova, oppure quella elaborata dal più giovane, se la questione è inerente a una nuova tecnologia.

In ogni caso, il manager dovrà “aver fiuto”, magari scrutando chi si dimostri più sicuro di sé, o chi argomenta meglio e quindi ha ragionato più profondamente sul punto. Magari, fidandosi di colui che, con locuzioni diverse, riesce a ripetere due volte lo stesso concetto, all’esito di due discorsi, pur facendolo partire, con opportune domande, da considerazioni distanti o diverse.

E’ un po’ come metter insieme le tessere di un mosaico, o risolvere un rebus.

La decisione adattiva è quella che soppesa le visuali di diverse persone, che abbiano a che fare con il problema da risolvere, facendole dialogare, conducendole quasi spontaneamente a fornir loro i dati necessari.

Si consideri che un problema di norma pone tensioni nei soggetti che si riuniscono, nessuno di loro ha la chiave vincente del problema, tutti sono abbastanza disposti a credere solo alla propria versione, sono propensi a non condividere, ciascuno pensa di saperla più degli altri.

In realtà, nessuno conosce la verità nell’interezza, ma solo quel profilo che, dal proprio punto di vista, ha potuto osservare, anche per caso. E’ però implicitamente disposto a metter a fattor comune la propria versione, se in tale direzione viene sapientemente provocato dal manager, perché comunque vuole “liberarsi” del problema.

Ecco trovata la chiave vincente: è quella che ciascun può contribuire a forgiare, porgendo la propria tessera del mosaico. Offrendola in visione agli altri, riuscirà a far consentire al manager, che ha la responsabilità della decisione, di ricostruire il tutto.

L’adattamento della decisione all’ambiente di contesto (la decisione adattiva).

Predicati della decisione adattiva sono il dialogo (la decisione dialogata) e la ponderazione (la decisione ponderata).

Infatti, una volta individuata la decisione, essa va provata nel contesto.

La difficoltà è proprio questa! Non esistono soluzioni migliori per tutto, ma soluzioni adatte al contesto, all’ambiente nel quale devono esser calate e in cui ci si muove e che tengono in conto le persone alle quali sono dirette.

L’adattamento al contesto costituisce una sorta di prova del nove.

La decisione è quella migliore possibile, se in effetti si adatta al contesto. Non deve solo cioè rispondere purchessia al problema, deve essergli adatto, deve calzare il problema, deve essere plausibile, non irrazionale.

La decisione che si prende va affinata al contesto, deve a questo adattarsi.

Non esistono proposizioni vere o proposizione false. Esistono proposizioni adatte al contesto, inseribili in un dato ambiente, idonee dunque a risolvere il problema, quel specifico problema posto, sia perché plausibili nella realtà ontologica, ma soprattutto perché adeguate rispetto alla realtà fenomenica concreta.

Per questo, le proposizioni che informano la decisione adattiva devono scaturire dal dialogo e dalla ponderazione, pertanto sono relative al contesto, non assolute. Possono costituire solo la rappresentazione di un dato problema e indicare la soluzione dello stesso, ma non necessitate di altri.

La decisione adattiva tanto più risponderà al bisogno di trovare una soluzione efficiente, quanto più sarà stata condivisa con gli interlocutori che hanno contribuito a costruirla. Ciò non nel senso che la decisione deve esser una mera media delle idee degli interlocutori, o che debba esser a forza dagli stessi gradita, o peggio ancora per piaggeria accolta.

La decisione adattiva vera è quella che, per la sua intrinseca capacità di spiegazione ragionata logico-induttiva riesce ad apparir come vera e più adatta all’ambiente di contesto, poiché è stata forgiata, unendo con franchezza i punti di vista attorno allo stesso problema osservato, senza riserve mentali e soprattutto giocando la squadra degli interlocutori considerati la stessa partita.

Chiave del successo della decisione adattiva sta allora nella capacità del manager di esaminare i punti di vista, di farne una compiuta analisi, di saperne estrapolare la sintesi, conducendo gli interlocutori verso un’unica meta, un identico obiettivo.

Per far questo, il manager non deve partire da pregiudizi, deve esser mentalmente aperto ad accogliere, avendo egli sol chiaro l’obiettivo di risolvere il problema, che poi gli interlocutori contribuiranno a illuminare dal loro punto di vista.

Il manager infatti può veder solo dall’alto; mentre, per veder da vicino, deve servirsi dei giusti interlocutori.

Conclusioni: la decisione dialogata, ponderata e adattiva.

Abbiamo finora considerato come non esista per un unico decisore la possibilità di conoscere da solo la soluzione ad ogni problema. Abbiamo indi compreso che la realtà è conoscibile, solo attraverso il dialogo con più soggetti (eruditi) in ordine al problema da risolvere.

Il ragionamento che percorre il manager deve quindi essere lineare verso un fine, cogliendo a latere le sfumature adatte a precisarlo tramite gli interlocutori con i quali si confronti.

Il ragionamento però non va condotto secondo una probabilità statistica (o Pascaliana), ossia verificando quante adesioni estrinseche riceva la tesi proposta, bensì con riferimento ad una probabilità logica (o Baconiana), ossia guardando alla qualità intrinseca dell’inferenza logica adattiva al contesto della tesi in discussione.

In tal modo, la decisione manageriale adattiva, al momento e al contesto in cui deve essere presa, è quella che riesce, in esito ad una discussione dialogica e ponderata, a riscuotere la maggior probabilità logico-matematica di rivelarsi la decisione più utile nella fattispecie concreta esaminata.

 

Articolo a cura di Lorenzo Ieva

Profilo Autore

Magistrato T.A.R. (già dirigente pubblico)
Dottore di ricerca in diritto pubblico dell’economia

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