La figura dirigenziale nelle imprese minori: spunti di riflessione

Nell’ambito di una indagine sui contenuti caratterizzanti della figura dirigenziale, nella sua struttura contenutistica, già effettuata a più riprese in questa Rivista, in precedenti interventi, esaminando il possibile riferimento ad una nozione legale, ad una nozione contrattuale e, infine, alla nozione giurisprudenziale, qualche cenno a parte merita la fattispecie del lavoro dirigenziale espletato in una piccola impresa, per fatturato e/o numero dipendenti (sulla questione, sensibilmente diversa, della rilevanza delle dimensioni del singolo ramo di azienda, v. Cass. 6 aprile 1992, n. 4185).

Come noto, la figura professionale del dirigente, che in mancanza di una previsione della disciplina collettiva del rapporto di lavoro va determinata alla stregua della nozione legale di tale categoria, è caratterizzata dall’autonomia e dalla discrezionalità delle decisioni e dalla mancanza di una vera e propria dipendenza gerarchica, nonché dall’ampiezza delle funzioni, tali da influire sulla conduzione dell’intera azienda o di un suo ramo autonomo e cioè tali da non essere circoscritte ad un settore di essa (può agevolmente farsi riferimento, a titolo comparativo generale, alla nozione contenuta nei CCNL dirigenti industria nonché dirigenti terziario/commercio, articolo 1).

D’altro canto, secondo l’orientamento della giurisprudenza ormai consolidato, le caratteristiche della figura dirigenziale, che si sovrappongono a quelle stabilite dalla contrattazione collettiva, e di fatto le confermano, in modo da configurare la c.d. nozione legale, sono:

  • Autonomia e discrezionalità delle decisioni.
  • Mancanza di una vera e propria dipendenza gerarchica.
  • Ampiezza delle funzioni, tali da influire sulla conduzione dell’intera azienda o di un ramo autonomo, non circoscritte ad un settore di essa,

con evidente assonanza, in una tendenza di unitarietà e conformità determinante.

Le imprese minori

In strutture minime, come le imprese minori o definibili “piccole imprese” l’organizzazione aziendale non segue, notoriamente, i principi e le regole specifiche di una managerialità estrema. Ben si comprende che in situazioni di ridotta organizzazione, con pochi dipendenti e strutture minimali, l’indirizzo gestionale provenga, generalmente e, a patto che si tratti di società commerciali e di capitale, dall’organo amministrativo, sia amministratore unico o consiglio di amministrazione, e dall’assemblea per le decisioni di respiro (o comunque, dagli organi gestionali dei sistemi “monistico” o “dualistico” eventualmente adottati in concreto).

A questo punto l’indagine conoscitiva deve verificare la sussistenza dei poteri dirigenziali in capo al soggetto che si assume come tale, posto, all’evidenza, in un piano intermedio fra l’organo gestionale, come sopra precisato, e gli altri collaboratori d’impresa.

È, quindi, necessario accertare il contenuto di tali poteri, con riferimento a quelli delineati da legge, contrattazione e giurisprudenza, e focalizzare l’autonomia e discrezionalità degli stessi, l’ampiezza delle funzioni e la riferibilità all’intera azienda o a un suo ramo autonomo.

Non esiste un principio di incompatibilità delle funzioni dirigenziali nelle aziende ad organizzazione ristretta e semplificata. Si noti che, in astratto, è sicuramente ipotizzabile il caso di una azienda, nelle sue fasi prodromiche (ma non solo), con un unico dirigente: questo perché il potere di valersi di collaboratori – dipendenti e non – non sminuisce minimamente la discrezionalità di base, essendo riferibile solo ad un aspetto – quello della delega e di utilizzo delle risorse aziendali – la cui presenza rafforza il potere dirigenziale ma la cui carenza non lo sminuisce, una volta verificata l’attività del dirigente come di attuazione diretta delle politiche aziendali, ovvero della volontà dell’organo di amministrazione e/o gestione.

È stato individuato, peraltro, un limite a questa prospettazione, soprattutto con riferimento a realtà aziendali espressione di un potere gestorio naturalmente inserito nella organizzazione stessa: il lavoro prestato a favore di una ditta individuale, di una società di persone a ridotta base sociale o di un’impresa artigiana.

Sul punto, la Cassazione ha precisato che l’indagine volta ad accertare la fondatezza della pretesa del lavoratore ad una qualifica dirigenziale “deve essere ispirata a particolare rigore” nell’ipotesi di una struttura imprenditoriale “modesta e con esiguo numero di dipendenti”, essendo, in tal caso, di difficile configurazione quella “necessità di supplenza imprenditoriale” che normalmente sussiste nelle ampie articolazioni produttive (Cass. 16 giugno 2003, n. 9654; Cass. 6 aprile 1992, n. 4185).

La decisione può essere condivisa, ma solo a patto che non configuri una incompatibilità assoluta, indipendente dalla fattispecie concreta che, come visto, può legittimamente ipotizzare il rapporto dirigenziale a prescindere dalla consistenza numerica del personale.

La giurisprudenza di merito, comunque, in una particolare fattispecie, di carenza del potere decisionale e di gestione amministrativa e commerciale, unita all’adibizione ad una unità con pochi dipendenti, ha statuito per l’inesistenza della figura dirigenziale (Pret. Vicenza 8 marzo 1995, in Rass. giur. lav. Veneto, 1996, 75).

Le declaratorie contrattuali e la realtà economica

D’altro canto, la realtà economica ed imprenditoriale offre declaratorie contrattuali in merito a settori che, pur caratterizzati dalla presenza di aziende e complessi di dimensioni notevoli, sono, altresì, manifestazione di situazioni imprenditoriali in sé modeste, ma allo stesso tempo emanazione naturale di strutture multinazionali.

In tal caso, la presenza di dirigenti può riscontrarsi in modo sensibile, soprattutto se riguardata in relazione al restante personale impiegatizio concretamente occupato, a volte in misura inferiore al numero dei dirigenti.

Nel terziario avanzato, in particolare, si assiste sempre più al sorgere di questi organigrammi vistosamente stratificati verso le posizioni direttive, in uno con la individuazione di ruoli manageriali spesso rapportati a più aziende di un medesimo gruppo, con intersecazioni di cariche sociali, eventualmente aperte al singolo manager di altra azienda.

Di certo non può nemmeno sostenersi che, in simili fattispecie, il ruolo del dirigente sia carente di un idoneo supporto organizzativo, nel quale esercitare in concreto il potere direttivo caratteristico della figura dirigenziale.

È bene precisare, a questo proposito, che l’esistenza di una struttura di ragguardevoli dimensioni è un elemento, di per sé, non determinante per la qualificazione del rapporto dirigenziale ma costituisce, come ha avuto modo di precisare la giurisprudenza, solo uno dei tanti fattori che determinano la qualificazione del manager, uno degli indici rivelatori della presenza del dirigente.

Di questo aspetto ha, evidentemente, tenuto conto la decisione prima citata della S. C., parlando, espressamente, di struttura “modesta” ma, è forse bene sottolinearlo, qui non si tratta di quantità (dell’organizzazione) ma, per converso, di qualità del lavoro, in relazione alla specialità dei poteri spettanti in concreto al manager.

Si pensi, così, ad un organigramma aziendale caratterizzato da una ampia delega ai (soli e pochi) dirigenti dei vari settori nei quali l’impresa si identifica: ad esempio, direzione generale, amministrazione e finanza, marketing e commerciale. Ebbene, in questi casi occorre focalizzare l’attenzione sull’”ampiezza” dei poteri del dirigente, avendo riguardo alle sue decisioni di respiro, tali, comunque, da influenzare la vita dell’intera azienda o di un suo ramo autonomo, interpretando i relativi concetti sulla base dei criteri visti nei punti precedenti.

Il concreto esercizio del potere direttivo e disciplinare, pure importante per la definizione del dirigente, non può, dunque, assurgere ad unico elemento discretivo, soprattutto nel caso in cui, essendo in concreto carente e/o limitato, il singolo manager guidi, in una veste di sostituto dell’imprenditore, la vita aziendale riferita alla sua interezza o ad una parte autonoma e, per ciò stesso, qualificante.

Si può dunque concludere, con la giurisprudenza, che al fine di poter riconoscere tale qualifica non basta la preposizione ad un nucleo organizzativo anche se formato da più uffici o reparti con compiti circoscritti al medesimo, ma occorre che il lavoratore partecipi nel suo complesso all’orientamento sul piano della scelta dei mezzi dell’attività aziendale, dovendo in tal caso l’attività del dirigente essere caratterizzata, secondo un criterio squisitamente qualitativo, dalla sua idoneità ad influenzare l’andamento dell’intera azienda o di una sua ramificazione autonoma (giurisprudenza ormai assestata da tempo: cfr., per tutte, già Cass. 12 dicembre 1989, n. 5509. La citazione del testo è tratta da Cass. 29 novembre 1985, n. 5934).

 

Articolo a cura di Pasquale Dui

Profilo Autore

Avvocato - Partner presso DV-LEX DUI VERCESI & PARTNERS Studio Legale - Professore a contratto di diritto del lavoro - Revisore Legale - Giornalista pubblicista

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