La gestione delle emozioni è predittore di performance individuale e determina l’intelligenza sul lavoro

Parlerò in quest’articolo di come sia importante per un leader allenare non solo l’intelligenza cognitiva, con le capacità di analisi e problem solving ma anche le competenze emotive che oggi compongono il costrutto dell’intelligenza emotiva, sulla cui importanza nei contesti organizzativi e di business mi soffermerò. L’articolo ha l’obiettivo di scardinare la credenza che nelle organizzazioni le emozioni rallentino i processi di lavoro e il business e che vadano quindi represse o non considerate.

La prima premessa, che mi aiuta a sciogliere questa credenza, è che, tutti possono verificare sulla propria pelle come le emozioni siano determinanti per la qualità della propria vita.

Le emozioni esistono ed hanno una componente biologica e neurologica. Si manifestano nel nostro corpo sotto diverse forme e spesso in maniera non consapevole ed hanno luogo in ogni relazione che conti, sul lavoro, nelle amicizie nelle nostre interazioni generali.

Le emozioni sono portatrici di informazioni e possono rivelarci qualcosa di più profondo dei nostri pensieri e anche del nostro stato di salute fisico e psichico. Analizzando i dati sulla salute generale si comprende come sia molto evidente l’impatto delle emozioni a livello fisico. Gli agenti chimici prodotti dal nostro organismo a valle di scompensi emotivi rischiano di farci ammalare più spesso.

Le emozioni, inoltre, sono legate a ciò che pensiamo per cui influenzano notevolmente la nostra percezione della realtà e quindi la percezione che noi abbiamo dell’altro, andando ad influire sulle nostre decisioni e quindi sui nostri comportamenti.

Paul Ekman fu il grande ricercatore che con curiosità, coraggio e determinazione si spinse al di fuori dei confini geografici comuni per dimostrare alla comunità scientifica internazionale che esistessero alcune emozioni condivise tra diverse culture anche quelle meno istruite presenti ai confini del mondo.

Oggi questi studi, di fine anni 60, ci hanno particolarmente influenzato, per cui è “un sapere” condiviso il fatto che riusciamo a riconoscere, anche con il non verbale e l’analisi istintiva delle espressioni del volto, le emozioni identificate come primarie: felicità, rabbia, disgusto e tristezza a cui si aggiungono paura e sorpresa.

Nel 1983, Gardner, ricercatore di Harvard, ha sostenuto che l’intelligenza non fosse un costrutto quantificabile e raggruppabile numericamente, ma che fosse composta da diversi fattori indipendenti tra loro. Nel periodo di massimo splendore della psicometria e del comportamentismo, si scoprì che la mente, vuota, fosse permeabile e sviluppabile con l’allenamento e l’apprendimento di nuove abilità. Le forme di intelligenza individuate sono multiple e non si limitano allo studio di quella cognitiva, come le abilità linguistiche o logico matematiche, ma esiste anche un’intelligenza spaziale, una introspettiva, una corporea cinestetica, una musicale e una sociale.

L’intelligenza emotiva può essere classificata tra gli aspetti dell’intelligenza sociale individuata da Gardner ed è legata alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni.

Il concetto è stato introdotto nel 1990 dai professori Peter Salovey e John D. Mayer nel loro articolo “Emotional Intelligence”.

Rifacendoci alla definizione originaria, possiamo definire l’intelligenza emotiva come “La capacità di navigare i sentimenti ed emozioni proprie ed altrui, sapendo distinguere tra di esse per poter utilizzare queste informazioni al fine di guidare i propri pensieri e le proprie azioni”.

Il tema è stato successivamente trattato nel 1995 da Daniel Golemm nel libro “Emotional Intelligence” tradotto in italiano nel 1997 “Intelligenza emotiva che cos’è perché può renderci felici”. Il testo è stato un boom editoriale mondiale ed anche in Italia il tema dell’intelligenza emotiva ha iniziato ad essere studiato e considerato sia in ambito psicologico ma anche in ambito organizzativo/aziendale, grazie anche all’uscita del testo di approfondimento Intelligenza emotiva al lavoro.

Tutto questo interesse ci fa capire, ancora di più che le emozioni devono essere considerate una risorsa, anche per le organizzazioni e i loro leader; ognuno di noi ha la possibilità di utilizzare questa risorsa, emotiva, al fine di ottenere buone relazioni e benessere personale.

La gestione delle emozioni, però non è una competenza semplice perché non è innata e va allenata e sviluppata anche con percorsi di consapevolezza personale.

A confermare la mia ipotesi che le organizzazioni e i leader devono prendere maggiore considerazione e consapevolezza delle abilità emotive è la creazione di un gruppo internazionale di professionisti che hanno individuato in Six Second, un modello di riferimento per fare ricerca sulle emozioni nei diversi contesti di vita, individuale, scolastico ed organizzativo.

Dal punto di vista organizzativo l’intelligenza emotiva è stata evidenziata come predittore di performance individuale.

Le ricerche condotte in questi anni in tutto il mondo ci dicono che il 54,79% della performance individuale è spiegata dall’I.E. ovvero: più della metà della nostra efficacia personale dipende dalle competenze Emotive. Questi studi ci riferiscono anche che avere buoni livelli di Intelligenza Emotiva e quindi di performance significa anche avere ottimi livelli di:

– Efficacia: 51,4 %
– Relazioni: 28,6 %
– Qualità di vita: 38,8 %
– Benessere: 16,9 %

Gli studi dimostrano che chi ha un buon livello di Intelligenza Emotiva sa prendere decisioni maggiormente sostenibili, possiede un buon livello di consapevolezza e sa gestire in maniera efficace le relazioni personali. Ecco perché diventa fondamentale allenare queste competenze sia in contesti organizzativi che personali e sociali.

Goleman afferma che le capacità che fanno capo all’intelligenza emotiva funzionano in sinergia con quelle cognitive; chi è capace di prestazioni eccellenti dispone di entrambe. Quanto più le attività da svolgere sono complesse, tanto più conta l’intelligenza emotiva; una carenza in tale competenza può ostacolare l’uso dell’expertise tecnico e delle doti intellettuali.

A questo punto possiamo asserire che il management aziendale dovrebbe valutare di più gli aspetti emotivi e identificare per i propri leader anche percorsi di sviluppo su tali competenze.

Per asserire di avere un alto quoziente di intelligenze emotiva occorre allenare una serie di abilità. Il modello a cui faccio riferimento è basato sugli studi di Peter Salovey e Jack Mayer che identificano 3 macro aree con diverse competenze.

La Self Awareness
riguarda la consapevolezza: il vocabolario emotivo è vario e non sempre noto a noi, per cui le maggior parte delle persone fanno fatica a capire cosa provano nel momento in cui lo provano.

L’allenamento di questa area riguarda la dimensione dei propri pensieri, sentimenti e le susseguenti azioni.

Self Management
riguarda la gestione di se stessi. Significa saper sviluppare scelte più consapevoli e funzionali agli obiettivi che si vogliono ottenere.

Navigare le emozioni può essere evidenziata attualmente tra le competenze strategiche di un leader poiché non esistono più contesti organizzativi stabili. Una buona guida è quella che sa riconoscere le proprie emozioni e riesce a navigarle in maniera efficace per rispondere con prestazioni eccellenti anche quando i contesti diventano difficili da gestire.

Self Direction
riguarda la direzione di se stessi e di ciò che si vuole comunicare agli altri. Avere una direzione chiara permette di agire in maniera più consapevole a favore di se stessi e degli altri.

Termino quest’articolo riprendendo una frase riportata da Goleman in “lavorare con Intelligenza emotiva”: Doug Lennick vicepresidente esecutivo dell’American Express Financial Advisor: “le attitudini di cui hai bisogno per avere successo cominciano dall’intelletto, ma ti occorre anche competenza emotiva, per tirar fuori tutto il potenziale dei tuoi talenti. La ragione per la quale non otteniamo il pieno potenziale delle persone, va ricercata nell’incompetenza emotiva”.

Bibliografia:

  • Paul Ekman « Te lo leggo in faccia»
  • Joshua Freedman « Intelligenza Emotiva al cuore della performance»
  • Daniel Goleman «Lavorare con intelligenza emotiva»
  • Massimiliano Ghini «Intelligenza emotiva in azione»
  • Antonio Damasio «L’errore di Cartesio»
  • Massimo Perciavalle «Ottieni il lavoro che vuoi»

A cura di: Massimo Perciavalle

Profilo Autore

Business e Career Coach, riconosciuto come Professional Certified Coach da ICF; trainer d’aula, sono il fondatore della società di formazione e consulenza Make it So. Laureato in psicologia con indirizzo del lavoro e delle organizzazioni a soli 23 anni, ha iniziato la sua carriera come formatore sullo sviluppo di competenze trasversali in una società di Telecomunicazioni.
E’ autore dei libri farsi assumere in tempo di crisi e Ottieni il lavoro che vuoi editi da Franco Angeli. Ultimo lavoro editoriale Offline è bello sempre di Franco Angeli editore.

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