La guerra e le aziende. Metafore e realtà

Nessuno si scandalizza per il fatto che la gestione di un’azienda si possa avvalere di tecniche e strategie legate alla guerra. Sappiamo bene, ad esempio, quanto sia stato importante (e lo sia ancora) il manuale di Carl von Clausewitz[i] sulla guerra, abbondantemente applicato anche alle realtà aziendali dopo averne adeguato il lessico e adattate determinate situazioni.

Andando indietro nel tempo, la stessa cosa vale per il ricorso alla filosofia di Sun Tzu[ii] e del suo famoso e citatissimo lavoro “L’arte della guerra”, dal momento che le imprese hanno saputo trarne alcune delle basi teoriche su cui si fondano ancor oggi le più importanti regole imprenditoriali, di gestione d’impresa e persino riguardo ai ruoli, all’interno di un’azienda.

Il mercato, insomma, inteso come un campo di battaglia non è una metafora nuova e non turba più nessuno. Si dice anche in modo esplicito che il marketing stesso è una guerra, dove la concorrenza è il nemico e l’obiettivo è vincere la battaglia. Insomma, i termini guerrafondai nelle aziende ci sono sempre stati.

Ma il linguaggio bellico, in questi ultimi tempi, sembra diventato ancora più forte e pervasivo ovunque, compresa la medicina. Pensiamo alla recente pandemia e al potere di mobilitazione che il gergo militarista ha innescato, con gli interventi di emergenza, la richiesta alla popolazione di accettare sacrifici, in termini di obblighi vaccinali e anche di riduzione della libertà personale, ecc.

Sentire serpeggiare discorsi di guerra, in questo clima di tensione dovuta ai recenti drammatici avvenimenti in Ucraina, comunque, può fare una certa impressione a chi è più sensibile a questi temi.

Le metafore belliche fanno paura

Le metafore belliche, quando si radicano nei nostri linguaggi di ogni giorno (tecnici o meno che siano) orientano, che lo si voglia o no, le percezioni, i pensieri, gli atteggiamenti e anche l’azione delle persone.

Hanno una funzione interpretativa e trasformano quello che sta accadendo in qualcosa di incerto e minaccioso[iii]. E come sosteneva il filosofo francese Paul Ricoeur[iv], le metafore, mentre servono per descrivere una nuova realtà, allo stesso tempo contribuiscono a crearne una nuova.

Anche l’approccio con l’idea di emergenza sanitaria, che ci ha messo di fronte ad un cambio sostanziale e improvviso delle nostre sicurezze, del nostro lavoro, della nostra produttività e gestione organizzativa, rischia di non essere più un intervento eccezionale e fuori dell’ordinario ma una mobilitazione continua, una “emergenza emotiva costante” che ha conseguenze pesanti da punto di vista psicologico per le persone – con il ridimensionamento delle loro progettualità individuali – e strutturale per le aziende.

Quello che però preoccupa, a questo punto, è che tale mentalità emergenzial-militarista, che si sta diffondendo rapidamente, possa diventare prevalente e penetrare in maniera pesante anche nella struttura delle imprese, favorendo un ritorno a gerarchie e organizzazioni verticistiche e burocratizzate che possano vanificare qualsiasi tentativo di invertire tale tendenza, che pure sembrava essere in corso.

Le strategie militari entrano in azienda

Ecco perché abbiamo colto l’occasione dell’iniziativa di Olivander Consulting[v], che ha creato il primo team di professionisti in cui figura Claudio Spinelli, ex militare dei reparti speciali e membro della Task Force 45, per affrontare il tema del rapporto tra guerra e gestione delle imprese.

Abbiamo perciò posto alcune domande allo stesso Spinelli, a Riccardo Montanari, executive coach tra i primi LUXXprofile Master & Instructor certificati in Italia e a Luca Sartori, esperto di Organizations and People Care Consultant, i quali hanno studiato un approccio unico nel suo genere, dando vita ad una speciale task force.

Claudio Spinelli ha affermato: ““Per anni ho avuto l’onore di addestrare risorse nel contesto militare, oggi per me è una grande opportunità poter fare lo stesso mettendo in atto le mie conoscenze anche in ambito aziendale.”

Il metodo della Task Force di Olivander Consulting

L’unione delle tre professionalità di cui abbiamo parlato dà vita a un metodo i cui tre pilastri fondamentali sono:

  1. Nell’incertezza le persone cercano di ripristinare il controllo e creare prevedibilità. Compito del leader è creare e dare significato.
  2. Per governare l’inatteso le persone devono stare bene. Compito del leader è promuovere il benessere.
  3. La volatilità del contesto in cui agiamo richiede di essere flessibili. Compito del leader è adattare il proprio stile di leadership alle circostanze.

Prima la pandemia, poi la guerra, stanno condizionando l’attività di formazione dei nuovi leader anche in ambito aziendale. E’ giusto paragonare la situazione di crisi (attuale e futura) come se ormai fossimo entrati in una economia di guerra?

Risponde Claudio Spinelli – Credo sia opportuno e soprattutto fondamentale non parlare di guerra. Pochi, anzi pochissimi, possono utilizzare questo termine proprio perché la guerra l’hanno vissuta realmente. Io parlerei di condizioni particolari nelle quali è importante adattare tutte le risorse per trarre il massimo beneficio e gestire ciò che è inaspettato. Chi fa azienda sa bene che deve pianificare e prevedere gli andamenti del mercato a lungo termine. Per lungo termine intendo anni e non settimane. Un’ azienda che crede di poter vivere alla giornata ha fallito in partenza, soprattutto in tempi incerti come quelli che stiamo vivendo.

Si parla sempre più spesso di strumenti eccezionali che dovrebbero essere messi in atto in situazioni di crisi nelle aziende. E la guerra è diventata la metafora più utilizzata anche in questi ambiti sia per familiarizzare le persone al nuovo clima, sia per imporre scelte dall’alto, che possono apparire sgradite ma “vendute” come necessarie. Per chi crede che in azienda il meccanismo comando-controllo non sia la soluzione migliore, questa situazione preoccupa non poco. Che ne pensate?

Risponde Riccardo Montanari -Daniel Goleman, padre dell’intelligenza emotiva, ha recentemente criticato molto la figura del leader che applica una leadership di comando-controllo, questo stile infatti mina l’essenza di una risorsa e di un team, sgretolandolo e diminuendo sia il clima di benessere organizzativo, che quello legato alla produttività. Inoltre è fondamentale costruire il “senso di appartenenza” ad un’azienda o ad una organizzazione, concetto nel quale crediamo molto, e le aziende che invece lo hanno trascurato, sono quelle che hanno prodotto il fenomeno della “great resignation”. Lo smart working si è rivelato poi uno di questi strumenti eccezionali, che hanno permesso di far fronte alle varie crisi vissute negli ultimi due anni.

L’idea della guerra, diffusa ad arte anche nelle aziende, è utile per far passare l’idea della necessità di una gerarchia ferrea alla quale non si può non sottostare? A questo punto, i collaboratori possono essere assimilati a soldati che devono “credere, obbedire e combattere”?

Risponde Claudio Spinelli – Per quanto riguarda la gerarchia aziendale va da sè che i leader alle volte devono prendere decisioni importanti e devono farlo nel minor tempo possibile. Questo è essenziale per salvaguardare l’azienda e i dipendenti. Noi aiutiamo le aziende nella formazione dei loro leader, che a differenza di quello che succede in una caserma, instaurano un rapporto più umano con i loro dipendenti, assicurando un rapporto di fiducia duraturo e proficuo. Torno sul termine poco o per niente appropriato come quello della guerra. Un’ azienda che vuole reagire alle difficoltà come quelle attuali, necessita in modo indiscutibile di collaboratori e non di servi ubbidienti.

Insomma, il timore è che, in un colpo solo, venga azzerata tutta la filosofia più avanzata in termini di gestione aziendale che faceva perno proprio sul senso di responsabilità e autonomia dei collaboratori. Un modo per tornare al passato (quindi, non una soluzione transitoria per affrontare le difficoltà del momento) e fermare il faticoso processo di democratizzazione all’interno delle imprese che si stava compiendo.

Risponde Luca Sartori – Un’ azienda vincente ha sicuramente al suo interno un team di uomini che ama il proprio lavoro e che vede nel suo staff dirigenziale una squadra di cui ci si può fidare. Dall’altro lato i manager hanno il compito di fornire tutti gli strumenti necessari perché i dipendenti possano fare il loro lavoro al meglio. Non vedo altre vie se non quella della collaborazione e della fiducia reciproca all’ interno di un’azienda. Passi indietro sarebbero fatali e irreversibili. Questo lo insegniamo come punto cardine.

Una delle caratteristiche del management è la capacità di trovare punti di compromesso. Una impostazione, in qualche modo militarista, può avere difficoltà a trovare compromessi rispetto a situazioni inizialmente divergenti. Questo approccio infatti richiede tempo ed energia mentale e si basa sull’ascolto e sulla comprensione delle esigenze altrui. Il manager in tempo di crisi saprà conciliare le esigenze contrastanti, interpretare, magari rinunciando al perseguimento di certi obiettivi immediati per altri più lontani ma che possono invece rappresentare soluzioni positive per tutti?

Risponde Claudio Spinelli – Un buon manager ha bene in mente che l’ago della bilancia deve pendere sempre dal lato meno doloroso per tutti. Nella fattispecie l’azienda deve produrre utili e per farlo deve lavorare a pieno regime, e questo può essere alimentato solo da un team vincente che lavora all’ unisono e che rema nella stessa direzione. Gli eserciti sono S.P.A. che non producono utile. Va da sè che una mentalità militarista sarebbe a dir poco catastrofica all’ interno di una azienda. Diverso è invece divulgare il senso di disciplina, pianificazione e conseguimento degli obiettivi, tipico del comparto militare. Quello che facciamo è trasmettere un mindset militare legato a stili di leadership naturali. Questa combinazione non conosce punti deboli.

Note

[i] Della Guerra, Karl von Clausewitz, Mondadori, 2007

[ii] Sun Tzu, L’arte della guerra

[iii] Metafora e vita quotidiana, George Lakoff e Mark Johnson.

[iv] La metafora viva. Dalla retorica alla poetica: per un linguaggio di rivelazione, Paul Ricoeur

[v] https://www.olivander.it/

 

Articolo a cura di Ugo Perugini

Profilo Autore

Ugo Perugini. Giornalista, blogger, collaboratore di “Vendere di più”- https://www.venderedipiu.it/, “Az Franchising” - https://azfranchising.com/az-franchising-magazine/ -, DM&C - http://www.dmcmagazine.it ; HR on line - www.aidp.it/riviste/indice-hronline.php. In passato, ha collaborato con “Beesness”- www.beesness.it ; Together HR, blog di Sky Lab http://www.togetherhr.com/bloghr-blog-risorse-umane/- “Senza Filtro” https://www.informazionesenzafiltro.it e altre pubbllicazioni
Il blog che cura è https://capoversonewleader.wordpress.com/

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