La pandemia e la scommessa per il management

I complessi scenari economici dei tempi attuali, aggravati anche dagli effetti sociali conseguenti alla pandemia da COVID-19, che ha colpito pesantemente tutti i paesi del mondo, mentre inducono a rivedere i processi gestionali fino ad oggi utilizzati per dare spazio a una società sempre più globalizzata, impongono anche la fattiva scesa in campo del management (e non solo della politica) per fornire risposte concrete alle attese di quanti stanno vivendo con ansia e sofferenza – anche materiale – questo infelice momento.

Ciò naturalmente a condizione che si tenga come riferimento la raccomandazione attribuita al grande Einstein: “i problemi significativi che affrontiamo non possono essere risolti dallo stesso livello di pensiero in cui eravamo quando li abbiamo creati”. Da qui la considerazione ormai improcrastinabile che occorre adottare nelle organizzazioni strumenti operativi con cui, tenendo conto della flessibilità del lavoro degli individui, si riesca a garantire un clima organizzativo in grado di assicurare quel benessere delle persone al lavoro, presupposto indispensabile e irrinunciabile sia per superare qualsivoglia crisi che per permettere alle aziende di indirizzarsi al successo.

Quando in ambito lavorativo un soggetto non sta bene (fisicamente e/o psicologicamente) anche il livello del proprio rendimento ne risulta influenzato; per questo è opportuno avere a mente che allorché si parla di benessere, sul piano linguistico si sostanzia l’unione di “bene” e di “essere”, che rinvia allo “stare bene”, nelle due direzioni di significato: “sentirsi bene” (sentirsi in forma) ed essere “percepito bene” (sentirsi adeguato alla situazione), nel senso di accolto, accettato, ascoltato, considerato, riconosciuto[1].

Ne consegue che il benessere organizzativo, vale a dire la capacità degli individui di agire in modo autonomo e consapevole, per realizzarsi pienamente utilizzando le risorse individuali e collettive disponibili e accessibili[2], va certamente associato alle azioni indirizzate al welfare, che Amartya Sen ha definito la “utilità individuale” da mettere in relazione con lo Stato o con l’azienda (per indicare, rispettivamente, la politica di una nazione che assicura garanzie sociali – come la scuola, la santità, la previdenza, il supporto alle aziende, gli istituti di sostegno del reddito (welfare state) – ovvero gli interventi posti in essere dal datore di lavoro al fine di offrire le migliori condizioni ambientali ai propri dipendenti (welfare aziendale).[3]
Per il filosofo indiano (premio Nobel per l’economia) accanto al welfare deve comunque coesistere il well-being, i parametri del quale guardano al benessere integrale, come condizione che include la realizzazione delle possibilità di ciò che l’individuo può fare o può essere, speculare alla realizzazione del personale progetto esistenziale (che la Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene presupposto per la integrità del proprio status psicofisico).

Atteso che al well-being deve provvedere il soggetto più prossimo al lavoratore, cioè il manager, chiamato a realizzare un processo di rafforzamento dei valori che costituiscono la cultura organizzativa utilizzando gli strumenti necessari a sostenere un clima lavorativo fortemente motivato verso il successo e la valorizzazione delle persone al lavoro, appare di tutta evidenza come per fronteggiare gli esiti dell’attuale pandemia competa al management, in primis, mettersi concretamente e direttamente in gioco, vieppiù se si considera che, come ricorda Bauman, teorico della modernità liquida, il benessere – essendo riferito al fattore umano – viene indubbiamente influenzato dall’esperienza degli individui, che i tedeschi definiscono in due modi: erfahrung (qualcosa che mi è successo) ed erlebnis (qualcosa che ho vissuto)[4].

In quanto innanzi esposto risiede la ragione da cui discende la necessità per il management di intervenire sulle persone al lavoro, affinché sia scongiurato il rischio che il contesto organizzativo oltre ad essere provato dallo sconvolgimento conseguente alla pandemia possa patire per l’influenza negativa di quei soggetti che, non stando bene manifestassero un rendimento non adeguato.

Nel contesto socio-culturale-economico che stiamo vivendo, pertanto, appare indubbio che per volgersi al cambiamento positivo il management dovrà superare quella “gestione dell’indifferenza” di cui parla Perillo nel suo volume L’insostenibile leggerezza del management, allorché descrive lo “approccio antiumanista”, proprio dell’atteggiamento di quanti vedono le persone al lavoro come “mera componente strumentale nel processo di produzione”[5]. È indispensabile allora che a quell’approccio, che denota evidente carenza di leadership, massimamente inaccettabile proprio in questa fase in cui risulta di tutta evidenza e urgenza legarsi alla guida delle persone prescindendo dal modello di gestione, si sostituisca la volontà di assicurare un ambiente di lavoro sereno e produttivo, proteso alla realizzazione del progetto più ampio di fare rinascere il nostro Paese. Soltanto a questa condizione si potrà determinare un rinnovamento funzionale a calmierare e le lacerazioni sociali e le ferite economiche conseguenti alle sofferenze determinate dalla pandemia.

La scommessa per il management, però, si badi bene, non è di reinventarsi; sarà sufficiente dare spazio alla creatività, intesa come “il luogo di relazione in grado di offrire l’occasione per l’affermazione professionale e la crescita di tutte le persone che sono nell’organizzazione” e in cui esistono i rapporti interpersonali[6].

La creatività invocata altro non è se non la capacità del manager di muoversi seguendo quello che alcuni autori definiscono il “pensiero divergente”, vale a dire la capacità di produrre una gamma di possibili soluzioni per un dato problema, in particolare per un problema che non preveda soltanto una risposta corretta, impiegando gli strumenti essenziali e tipici della leadership indirizzata al cambiamento per il successo: la comunicazione, il lavoro di gruppo e la delega[7].

Infatti vale la pena di rammentare che comunicare significa anche coordinare e facilitare la suddivisione delle responsabilità decisionali superando i confini gerarchici e funzionali, rafforzando così l’organizzazione del lavoro per team, che assume un ruolo strategico ancor più se sia in grado di stimolare l’apprendimento e l’innovazione. Date le condizioni dinanzi delineate, l’attività di delega consentirà di assolvere efficacemente al ruolo di dirigere, atteso che essa sostanzia il fenomeno relazionale tra i molteplici attori, ai diversi livelli, che responsabilizza l’intera organizzazione.

Quando una nave deve cambiare rotta è necessario che tutti gli uomini siano al proprio posto e sappiano, ciascuno nei limiti del rispettivo ruolo, verso dove e perché si stia andando (insieme) avendo a mente che una manovra mal gestita potrebbe produrre danni inaspettati e maggiori di quelli alla cura dei quali ci si deve dedicare, soprattutto se incalzati dall’ansia di fare presto.

Sovviene a tal riguardo una delle regole di Covey[8], che richiama l’ammonimento della favola della “gallina dalle uova d’oro” del grande Esopo.

 

Note

[1] De Giosa V., Di Sabato T., Le organizzazioni di successo, Youcanprint, Lecce, 2020.

[2] Cfr. Glendon A.I., Safety Culture, in Karwowski H., International Encyclopedia of Ergonomics and Human Factors, Taylor and Francis, London, 2001.

[3] Cfr. Sen A.K., Scelta, benessere, equità, Il Mulino, Bologna, 1986.

[4] Bauman Z., Vita liquida, Laterza, Bari, 2008.

[5] Citato in: De Angelis M.G., Benessere personale e benessere organizzativo: un binomio possibile, Franco Angeli, Milano, 2011.

[6] Si veda: De Giosa V., Di Sabato T., La creatività come presupposto per governare l’organizzazione flessibile, Leadership & Management Magazine, 12 luglio 2019.

[7] Cfr. De Giosa V., Di Sabato T., Cambiare le organizzazioni, Libellula edizioni, Tricase, 2015.

[8] Covey S.R., Le sette regole per avere successo, Franco Angeli, Milano, 2018.

 

Articolo a cura di Tommaso Di Sabato

Profilo Autore

Docente presso la Scuola di Alta Formazione della UNINT- Roma e Collaboratore del Consorzio Interuniversitario sulla Formazione – Torino.
Già Direttore vicario della Ripartizione Risorse Umane di UNISALENTO e Professore a contratto dei Corsi di Laurea in Scienza dell'Amministrazione - Facoltà di Giurisprudenza di UniTELMA – Roma.

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