La valutazione della credibilità nei colloqui di selezione

La crisi economica sta finalmente lasciando la Zona Euro, e una ventata di speranza sta avvolgendo il nostro Paese. Timidi segnali di ripresa sono emersi, e la possibilità di investire sull’innovazione tecnologica e su nuove risorse da inserire non è più un’utopia.

Chi opera all’interno dei processi di selezione deve saper scegliere con oculatezza chi assumere: troppo spesso infatti accade che i neo assunti eroghino buone prestazioni nei primi mesi per poi avere una flessione sul piano della motivazione e dell’impegno profuso in azienda.

Sappiamo che nell’ambito delle Risorse Umane il primo passo è in genere rappresentato da un’attenta valutazione delle informazioni disponibili sui possibili candidati. Attualmente quest’analisi, un tempo limitata ai curriculum vitae, è ampiamente arricchita dalle informazioni reperibili in rete all’interno dei vari social network. Questo dato impone una seria riflessione su un’indagine molto più esposta che in passato al rischio di una valutazione fuorviante per la presenza di dati che potrebbero discostarsi notevolmente dalla realtà. Il fattore legato alla desiderabilità sociale, sempre in agguato in qualunque forma di autopresentazione, trova infatti uno spazio molto ampio e completamente nuovo all’interno di questi strumenti di comunicazione.

Idealmente un colloquio di selezione dovrebbe poter generare il miglior punto d’incontro tra i bisogni e gli interessi delle due parti. In realtà questo non accade, o accade ancora troppo raramente, perché anche ai tavoli di selezione si mente. Una ricerca effettuata da EIA (Emotional Intelligence Academy) nel Regno Unito, mette in luce questi risultati. Un quarto delle persone che svolge un colloquio di lavoro mente nella stesura del proprio Curriculum Vitae. Le distorsioni e omissioni più comuni sono quelle che riguardano:

  • lo stipendio precedentemente percepito (23%)
  • il livello di esperienza precedente (14%)
  • il reale titolo di studio (13%)
  • date e durata delle precedenti mansioni (10%)
  • il titolo professionale riconosciuto (9%).

I numeri relativi a queste piccole o grandi menzogne sono in aumento, un dato che non sorprende all’interno di un mercato che, complice la crisi, impone ai candidati di distinguersi ed emergere in uno scenario sempre più competitivo e selettivo.

In alcuni casi la dissimulazione si limita a mere esagerazioni, spesso compensate dal lavoratore che si adatta velocemente al nuovo impiego. In molte altre situazioni però, ci troviamo di fronte a comportamenti e dichiarazioni realmente false e scorrette. In questi casi il nuovo assunto può risultare davvero non idoneo alla mansione, e la sua incompetenza può comportare danni ingenti all’azienda in termini di spreco di tempo investito e denaro elargito, oltre a ripercuotersi sulla vita degli altri potenziali candidati scartati ingiustamente durante l’iniziale selezione, anche se oggettivamente più competenti.

Oramai da diversi anni la nozione di competenza ha esteso il campo dell’indagine dalla formazione specialistica legata agli studi o a precedenti esperienze lavorative, alle cosiddette competenze trasversali che cercano di identificare e comprendere, nell’ambito di una visione più allargata, le motivazioni, i valori e gli orientamenti comportamentali del candidato. Mentire su questi aspetti risulta più difficile se chi conduce la selezione è preparato a cogliere aspetti di natura emotivo-comportamentale.

In termini più generali è bene ribadire che il colloquio di selezione non dovrebbe mai essere vissuto come una sfida, e questo vale per i due lati del tavolo. Il gioco asimmetrico teso a dimostrare chi è più bravo, chi vince e chi perde, non paga ed espone al rischio ben riassunto dall’affermazione che: “le aziende assumono per le competenze e licenziano per i comportamenti”.

I tempi sono maturi per poter cominciare a pensare che le conoscenze di cui disponiamo possono aiutarci a modificare la cultura che accompagna le attività di selezione. La tendenza a fornire dati non veritieri da parte dei candidati, a cui abbiamo precedentemente accennato, in fondo non è che la risposta, sicuramente non corretta, a una diffusa distorsione percettiva che porta a travisare il senso di questa attività.

Contrastare questa tendenza è possibile a partire dall’impegno per un miglioramento delle competenze di chi ha la responsabilità di gestire le attività di selezione. Deve migliorare la capacità di osservazione e la sensibilità degli operatori del settore, per poter estendere l’indagine alla sfera delle emozioni e delle motivazioni. Valorizzare quindi nella gestione del colloquio quegli aspetti legati all’intelligenza emotiva che svolgono un ruolo determinante nell’equilibrio del processo valutativo.

Oggi è finalmente possibile utilizzare una metodologia scientifica per facilitare questo compito impegnativo, uno strumento capace di rilevare gli indicatori di una possibile menzogna. Gli studi alla base di questa metodologia nascono dal lavoro di Paul Ekman, psicologo statunitense, professore emerito di psicologia presso UCSF (www.ucsf.edu), massimo esperto nello studio delle emozioni.

Le ricerche del Prof. Ekman sulla menzogna hanno portato alla scoperta delle micro espressioni, mimiche connesse alle emozioni che si manifestano e svaniscono nell’arco di una frazione di secondo. A partire da queste conoscenze, Ekman ha recentemente sviluppato il metodo ETaC (Evaluating Truthfulness and Credibility) a sostegno della valutazione della credibilità. La tecnica in questione abbina l’uso di domande mirate all’osservazioni di cinque canali di comunicazione:

  • Le espressioni e le micro-espressioni facciali (quest’ultime di durata da 1/5 a 1/25 di secondo)
  • Il linguaggio del corpo (reazioni posturali, gesti, prossemica e aptica)
  • I cambiamenti nella voce (timbro, frequenza, ritmo, ecc.)
  • Lo stile verbale (pause, cambio di pronomi, modi di dire, “slang” culturalmente correlati, ecc.)
  • Il contenuto verbale (resoconto narrativo verbalizzato dall’interlocutore)

Queste competenze nell’osservazione e nella conduzione dell’intervista incrementano sensibilmente la capacità di valutare la credibilità e di rilevare i possibili segnali di menzogna del proprio interlocutore. Chi è addestrato a cogliere questi segnali dispone infatti di uno strumento molto efficace, può ricavare preziose informazioni correlate alle emozioni che il suo interlocutore non è consapevole di manifestare, e verificarle all’istante attraverso domande mirate. Abilità che è importante saper gestire in modo etico, nel pieno rispetto della persona e della sua privacy.

Smascherare una menzogna è una sfida stimolante per il nostro intelletto, tanto da poterci indurre a intraprendere pericolose scorciatoie. Possedere un metodo ci aiuta a guidare la nostra capacità intuitiva nella giusta direzione. Nella stessa direzione sembra muoversi anche Conan Doyle quando affida al suo più famoso personaggio, Sherlock Holmes, le seguenti parole: “E’ un errore capitale teorizzare prima di avere i dati. Senza accorgersene, si comincia a deformare i fatti per adattarli alle teorie, invece di adattare le teorie ai fatti.”

A cura di: Diego Ingrassia, CEO I&G Management (www.igmanagement.it)

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