L’analisi della domanda nel Coaching Umanistico: vita tua, vita mea

Le aziende in cui interveniamo non sono certo oasi di felicità, anche quando vorrebbero esserlo. Ci chiamano per affrontare problemi e rimuovere ostacoli agli obiettivi. I problemi/obiettivi sono di diverso ordine e grado: possono riguardare l’azienda nel suo complesso, settori dell’azienda che “non funzionano”, relazioni fra individui, oppure direttamente “individui problematici” o “ad alto potenziale”. Ci dicono che i processi produttivi soffrono di sprechi e ridondanze, che il fatturato non è consolidato (e quando mai lo è), che l’organizzazione presenta sacche di confusione, che le fusioni e acquisizioni pongono problemi di relazioni, che nuovi ruoli necessitano di essere consolidati, che l’imprenditore deve affrontare la formazione di squadre manageriali ma non ha tempo, che si cerca e non si trova il personale adatto, che ci sono problemi relazionali in termini di conflitti, competizione, concorrenza interna e disconoscimento e spesso gravissimi problemi di stress, per non parlare di errori produttivi, ritardi, disorganizzazione, assenteismo, mancanza di iniziativa, disinteresse al lavoro… processi, fatturati, organizzazione, relazioni, team, ruoli, ricerca, sviluppo, motivazione, efficienza: sono tutti temi centrali nella domanda di coaching. Il problema che ci poniamo sin dall’origine è come leggerli e interpretarli.

Un primo modo per affrontarli spesso lo si rintraccia nella domanda stessa. Il paradigma prevalente è quello della correzione del deficit sulla base del dogma “si dovrebbe fare così”. È una posizione taylorista, tipica di chi pone la domanda ma spesso anche del consulente che dà la risposta. Lo scopo è la correzione del deficit, il quale a sua volta è misurato dalla distanza della realtà aziendale rispetto al modello ideale che ha in testa il committente piuttosto che il professionista. Quando il modello ideale manca (perché tutto oramai sta cambiando), dato un problema, la soluzione è l’azzeramento del problema. Questo paradigma è proprio anche della leadership “ortopedica” che pensa il miglioramento esclusivamente in termine di correzione dei difetti e soppressione delle mancanze. Oggetto privilegiato sono i comportamenti, se non la comunicazione. Si parte sempre dai punti deboli. Per esempio, se l’imprenditore è accentratore, la soluzione è la delega; se il problema è il conflitto, la soluzione è la comunicazione; se il problema è l’assenteismo, la soluzione è la motivazione. Insomma se il problema è -A, la soluzione è +A. Il Paradigma della riduzione dello scarto o della soluzione come soppressione compensativa del problema trova il corrispondente nel consulente che “a domanda, risponde”. Ciò che emerge da questa modalità sono l’isolamento del problema dal contesto che lo genera e l’intervento sul problema dando per scontato il contesto stesso.

Il metodo del Coaching Umanistico si differenzia da questo modello, cercando di affrontare problemi e esigenze in termini di Sviluppo della Cultura Aziendale.

In primo luogo la domanda viene sottoposta ad analisi. Lo scopo è comprendere il problema nel contesto. La domanda viene accolta cercando di individuare le risorse che il contesto aziendale ha a disposizione, ovvero le sue potenzialità e i suoi punti di forza. Non si può comprendere la domanda senza conoscere le persone che sono protagoniste del contesto che creano e che lo fanno funzionare dotandolo di culture. In particolare sono determinanti il senso, lo scopo e il significato dell’impresa, ovvero gli obiettivi per cui è stata fondata e che vuole raggiungere.

In secondo luogo il problema/obiettivo deve essere analizzato in un’ottica di sviluppo possibile. Quando un problema non viene risolto, è perché sorge da rappresentazioni culturali disfunzionali. È l’effetto di queste rappresentazioni che a loro volta, avendolo generato, ne impediscono anche la soluzione. Lo sviluppo, dunque, è sviluppo culturale. Così la soluzione dell’accentramento sta nella possibilità di costruire squadre manageriali, ovvero di superare una rappresentazione di leadership monocratica; il conflitto viene superato da una rinegoziazione di valori e di obiettivi e non dall’affermazione del “volemose bene”; se abbiamo problemi di assenteismo o di motivazione, cerchiamo di sviluppare le condizioni organizzative che permettano il fiorire di autonomia, relazionalità e competenze, o di sviluppare attitudini e vocazioni. Problemi comportamentali che derivano da disfunzioni culturali richiedono cambiamenti culturali per produrre nuovi comportamenti.

In terzo luogo, lo sviluppo parte dal problema come pre-testo e avvia un cambiamento culturale allenando i punti di forza, ovvero potenzialità, competenze, attitudini, risorse dentro un progetto di sviluppo fondato sulla rinnovata forza di una visione. Non esiste, infatti, sviluppo in astratto. Lo sviluppo è ciò che comporta l’affermazione e la realizzazione di un progetto. Un progetto di Coaching Umanistico è sempre negoziato, creato, affermato e condiviso come patto fra committente e coach. Superare i problemi non significa azzerarli, ma affrontarli nel realizzare gli obiettivi complessi (leggi visione) che l’impresa si sta prefiggendo. Così per un’azienda significa realizzare la visione e usarla come matrice per trasformare i problemi dentro obiettivi di sviluppo complessivi; per un team significa svilupparsi nell’elaborare una cultura che permetta il raggiungimento della meta; in una persona significa sviluppare un progetto di crescita personale, professionale e relazionale con – e dentro – il contesto entro cui opera.

In generale trasformare i problemi in obiettivi di sviluppo significa allenare le competenze e i valori presenti in funzione di obiettivi espliciti e condivisibili, frutto di una negoziazione costante, che valorizzi le risorse presenti secondo il principio “vita tua, vita mea”. Formulare un progetto di coaching significa creare un progetto di sviluppo che, a partire dalle potenzialità presenti, risolva i problemi raggiungendo obiettivi complessivi, che vanno dal cambiamento della cultura ai risultati di business. Obiettivi raggiungibili grazie all’allenamento scientifico delle potenzialità e delle risorse che sono già presenti in azienda e per le quali il Coach è un esperto sia nella ricerca che nell’individuazione e nello sviluppo. Tale progetto di sviluppo è lo scopo dell’analisi della domanda ed è il primo obiettivo di una Relazione di Coaching Umanistico. La Relazione di Coaching Umanistico è infatti una Relazione Generativa che produce e valorizza valori, regole del gioco, obiettivi-risultati i e potenzialità culturali. E questo avviene sin dal primo momento con l’analisi dei problemi posti al Coach.

 

Articolo a cura di Luca Stanchieri

Profilo Autore

Luca Stanchieri, direttore della Scuola di Coaching Umanistico (www.scuoladicoaching.it), laureato in Psicologia e in Economia, è il fondatore del Coaching Umanistico.

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