Lavoro agile, flessibile, “nomade”: il mondo dello Smart Working

Quando con il collega Guido Cremonesi abbiamo iniziato a interessarci da vicino al mondo dello smart working – un mondo fortemente legato allo sviluppo tecnologico, alla comparsa delle nuove generazioni in azienda, ai cambiamenti organizzativi in ottica di sempre maggiore flessibilità – era il 2013. Da tale interesse è nato un libro (“Smart Working & Smart Workers – Guida per gestire e valorizzare i nuovi nomadi”, Franco Angeli, 2016) e che aveva lo scopo non solo di delineare i confini di questo approccio, ma anche di fornire ai manager qualche suggerimento concreto di gestione degli Smart Workers.

In Italia, la diffusione dello smart working non è stata finora marcata (i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano parlano di circa 570mila lavoratori al 2019, circa il 3,6% della popolazione impiegata) e si posiziona agli ultimi posti della classifica europea, seguita solo da alcuni paesi dell’Est. La comparsa del Covid-19 ha drammaticamente rimesso al centro dell’attenzione la pratica dello smart working.

Un aforisma del matematico polacco Mandelbrot dice: “Nomadi per scelta, pionieri per necessità”e si adatta bene alla figura di chi è smart worker ‘dentro’. La pandemia ha invece prodotto una forte accelerazione dello smart working per necessità e in molti casi si è trattato di un ‘semplice’ lavoro da casa (il classico telelavoro). Nel nostro libro spieghiamo, in base alla letteratura esistente e alla nostra esperienza, che lo smart working nasce da un patto tra azienda e lavoratore che deve essere preparato, discusso, siglato e gestito da entrambe le parti in base ad alcune direttrici accettate e condivise. Un simile approccio non si improvvisa: occorre che il lavoratore abbia l’anima dello smart worker (con propensione tecnologica e orientamento all’autonomia e alla libertà della propria organizzazione professionale) e che il manager non soffra del vecchio paradigma del controllo sulla persona.

È inoltre da notare una curiosità, per così dire, semantica: l’espressione “smart working”è utilizzata nel nostro paese, ma in altre nazioni ci imbattiamo in altre definizioni. Ad esempio in Francia si parla di “lavoro nomade” (ci è piaciuto riprendere nel sottotitolo del libro la locuzione “nuovi nomadi” per indicare gli smart workers), mentre nei paesi anglosassoni si fa sovente riferimento al “flexible working”. Addirittura l’espressione “smart working” nella lingua inglese è semplicemente contrapposta all’’”hard working”: nel primo prevalgono il lavoro di pensiero e una minor fatica di esecuzione, nel secondo abbiamo grande sforzo e poco significato lavorativo. Un buon compromesso per indicare il medesimo e reale contenuto dello smart working è la formulazione “lavoro agile”.

Il trascinamento del cosiddetto smart working (o lavoro agile) operato dalla situazione pandemica lascerà di certo il segno, ma si stanno già avvertendo le prime avvisaglie di una sorta di dietro-front da parte di talune aziende. Alcuni lavoratori, professionisti e manager sembrano essere sollecitati dalla propria organizzazione a riprendere le modalità di azione precedenti, fors’anche perché si trattava di semplice lavoro svolto a distanza in maniera forzata dal contesto e non di reale smart working.
D’altronde non possiamo dimenticare che:

  1. il vero lavoro agile necessita di aspetti gestionali ben diversi da quelli utilizzati per le attività ‘stanziali’;
  2. il paradigma del controllo della persona è comunque nella nostra cultura imprenditoriale duro a cedere il passo ad altri stili gestionali;
  3. si pone un effettivo problema di misurazione del lavoro agile, elemento che fa parte integrante di quel patto tra azienda e smart worker e che deve essere pensato e concordato (cosa che non si è avuto il tempo di fare in questo difficile periodo);
  4. la gestione dello smart worker richiede in ogni caso un processo non immediato, sia per le caratteristiche peculiari di questa figura, sia perché il manager deve trovare il link corretto per ogni lavoratore agile tra 3 elementi essenziali.

Tipologia di lavoro nomade -> motivazione e supervisione -> performance

Se la performance è lo scopo ultimo di ogni modalità lavorativa – ivi compreso lo smart working – diventa essenziale identificare il tipo di lavoro che può essere svolto in modalità ‘agile’ all’interno di una specifica organizzazione. Successivamente occorre tenere in considerazione il fattore umano dello smart worker (il taglio motivazionale da esercitarsi da parte del manager) a cui aggiungere una capacità di supervisione manageriale in base alla scelta di alcuni indicatori scelti e condivisi con lo stesso collaboratore agile (nel nostro libro ne parliamo in modo preciso).
Questa catena che conduce alla generazione di una prestazione, si inserisce in un cambiamento epocale per le organizzazioni in cui si perde sempre più l’unità di luogo, mentre l’unità di tempo è e sarà fortemente influenzata dall’unità di un progetto, di un contratto, di un mercato con lo smart worker in giro per il mondo o in altra location che non sarà più solo quella aziendale. È molto probabile che, al di là della refrattarietà di alcune culture aziendali, assisteremo a una crescita considerevole del numero dei veri smart worker rispetto ai professional e ai manager globalizzati oggi esistenti e che agili lo sono solo per la loro tipologia di business. E aumenterà anche il fenomeno del nomadismo cooperativo, una sorta di alleanza professionale emotiva ed operativa all’interno della propria azienda e tra imprese differenti.

Tutto ciò comporta, come indicato da molti osservatori, una sostanziosa rivisitazione del modello organizzativo. E su questo siamo tutti d’accordo. A nostro avviso, però, se dobbiamo immaginare un reale nuovo prototipo organizzativo che peraltro dovrà essere declinato rispetto alla tipologia d’impresa (area di business, prodotti e servizi erogati, mercati attivi o da attivare, piani di sviluppo, capitale umano presente e da sviluppare…), detto prototipo dovrebbe poggiare su 4 grandi pilastri, come se fossero architetture precise e armoniche intrecciabili tra loro:

a) l’Architettura del Tempo: analisi del fattore temporale legato al business aziendale e ai risultati da ottenere (quanto la presenza di smart workers potrebbe essere decisiva per migliorare tale area rispetto, ad esempio, a progetti ‘temporalmente’ critici per gli affari d’impresa);
b) l’Architettura Digitale: verifica dell’impatto tecnologico nelle attività dell’impresa, la sua corrispondenza attuale con le esigenze organizzative e la coerenza con le necessità di smart working;
c) l’Architettura Geografica: quadro del fattore geografico che incide sugli obiettivi e sulla mobilità degli smart workers;
d) l’Architettura Relazionale: studio organizzativo delle necessità di confronto virtuale e reale dei collaboratori aziendali, in primis dei lavoratori agili.

Dall’andamento congiunto di queste 4 architetture, pensate e identificate prima e rese operative dopo, non dipenderà tanto il profilo motivazionale e produttivo del lavoratore agile, quanto l’idea di un costante adeguamento dell’anima organizzativa in grado di supportare la vita aziendale. Anche perché, come affermava il poeta e scrittore T.S. Eliot: “Non smetteremo mai di esplorare, e alla fine della nostra esplorazione arriveremo laddove siamo partiti e conosceremo quel luogo per la prima volta”.

 

Articolo a cura di Tiziano Botteri

Profilo Autore

Ho sviluppato la mia esperienza all’interno di organismi internazionali e nazionali, approfondendo aspetti di Sviluppo Organizzativo e di evoluzione delle Risorse Umane, con particolare attenzione alle trasformazioni in atto nelle aziende, oggi sempre più rapide (dalla digitalizzazione al ricambio generazionale, dall’impatto finanziario globale ai mutamenti strutturali organizzativi).
Da anni seguo progetti, presenzialmente e a distanza, sul rafforzamento delle competenze professionali e manageriali. Sono executive coach e facilitatore allo scopo di favorire il consolidamento di figure direttive a rilevanza organizzativa e di team funzionali e trasversali.
Mi dedico da anni, anche insieme con colleghi, alla stesura di pubblicazioni dedicate alla leadership, ai rapporti interpersonali, all’integrazione intergenerazionale, ai mutamenti delle forme lavorative in azienda, trasferendo in tali scritti le «best practice» vissute personalmente. Ho all’attivo 10 libri diffusi da editori quali Franco Angeli, Etas-RCS, Egea Bocconi, Este e numerosi articoli per diverse riviste di settore.

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