Il lavoro su misura: “Forme” di personalizzazione nell’epoca della digital transformation

Soddisfare desideri: le sfide tecniche ed etiche della “personalizzazione”

La personalizzazione nei processi di produzione di beni e servizi rappresenta indubbiamente un aspetto tra i più significativi della trasformazione dell’industria e dei modelli di business. Un percorso avviato già da molti decenni, ma che ha subito negli ultimi anni un’accelerazione straordinaria. Questo cambiamento assegna un ruolo centrale al consumatore che, diventando protagonista della progettazione dei prodotti e servizi, si trasforma in un consum-attore e partner a tutti gli effetti [Fabris, 2003, 2010]. Il coinvolgimento dell’individuo nel processo produttivo dell’impresa, infatti, può assumere diverse forme e modalità di realizzazione secondo gli studi e le esperienze del più moderno marketing. Questa evoluzione è supportata dalle straordinarie opportunità offerte dalla tecnologia e dal paradigma della produzione on demand che rendeno sempre più efficienti ed efficaci le relazioni di collaborazione tra imprese, tra queste e l’ambiente, tra imprese e clienti.

Si tratta di una trasformazione che permette di immaginare risposte concrete alla progressiva e inesauribile crescita di rilevanza dei desideri degli individui. Renderli possibili esaudendoli “senza se e senza ma”, infatti, diventa il nuovo imperativo categorico di quest’epoca che cerca la loro più piena e incondizionata soddisfazione.

La prepotenza con cui i desideri conquistano, a marce forzate, ogni interstizio della modernità liquida è tale da interrogare direttamente anche il piano dell’etica [Bauman, 2006]. Fin dove ci si può spingere in questa baldanzosa ricerca di soddisfare i desideri? Quali sono le implicazioni educative e sociali di una corsa sfrenata che incensa l’ego senza preoccuparsi della ipertrofia che a esso provoca?

La ricerca del “pezzo unico”, prodotto della nuova sapienza digitale del nuovo artigiano

Sul piano dell’economia e gestione dell’impresa, far guidare la progettazione e la produzione di beni e servizi dai desideri degli individui comporta un radicale cambiamento anche dell’organizzazione del lavoro e delle competenze necessarie per rispondere a questa strategia.

Si fanno largo, così, grazie alle innovazioni tecnologiche, organizzative e gestionali nuovi approcci manageriali e strumentazioni che consentono di intervenire nei processi produttivi, nella gestione dei flussi informativi che presidiano la gestione delle merci e dei fornitori, nel miglioramento continuo della qualità, nella gestione ottimale delle scorte. Divengono allora famigliari gli approcci d’innovazione organizzativa-manageriale come il just in time, la lean production e il total quality management.

Mentre la prima innovazione, scrive Emilio Bartezzaghi [2010], vuole conseguire “flussi produttivi più stabili e continui con l’eliminazione sistematica degli sprechi… al fine di migliorare il servizio al cliente”, con il complesso di strumentazioni e metodologie che presidiano la “produzione snella” si vogliono conseguire più elevati livelli di prestazione anche grazie al forte coinvolgimento del personale a tutti i livelli, con la terza innovazione si introduce un approccio in cui “l’innovazione viene vista come processo continuo e incrementale, in cui il ruolo fondamentale del management è quello di stimolare e focalizzare l’impegno delle risorse umane”.

Secondo questa prospettiva si riserva un posto in prima fila anche alla flessibilità produttiva che consente ora, grazie alle opportunità offerte dalla tecnologia, la più spinta personalizzazione che trova nel “pezzo unico” ed esclusivo, di fattura artigianale, la sua attraente icona.

La fabbrica cambia pelle, infatti, e diventa più “postfabbrica” o “neofabbrica” assomigliando sempre più a “un insieme originale di produzione, progettazione, linee di robot…, digital manufacturing e stampanti 3D” [Calabrò, 2015]. E’ proprio qui che trovano fertile terreno per svilupparsi quei contatti fra artigianato e design considerati “una cifra costante del nostro sistema industriale” [Micelli, 2011]. E’ sempre in questo contesto culturale e operativo che nasce e si espande l’approccio della open innovation, ovvero di una innovazione che cerca il confronto tra professionalità e saperi eterogenei, anche molto distanti tra loro.

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CREA LA TUA SCARPA

DIS, Design Italian Shoes, è un’azienda che nasce nelle Marche dalla collaborazione di Andrea Carpineti, Michele Luconi e Francesco Carpineti attorno all’idea di costruire un progetto d’impresa che consenta a ciascuno di realizzare le proprie scarpe classiche da uomo e da donna personalizzate. La promessa di DIS è che tutti possono diventare designer del proprio stile. Un modo, poter creare le proprie scarpe, per affermare al meglio la nostra personalità e i nostri gusti. Una realtà resa possibile dalla configurazione 3D che consente di scegliere combinazioni innumerevoli di colori, occhielli, lacci, fodere, pellami e suole. La customer experience del pezzo unico su misura si estende fino alla possibilità di aggiungere un’incisione personalizzata dopo aver concluso la configurazione della scarpa. Una volta scelta la “forma” che meglio si adatta al nostro piede il processo produttivo è realizzato da maestri artigiani in tutte le fasi secondo il claim pubblicitario “Disegnato da te, fatto a mano da noi”.

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La personalizzazione tratto distintivo anche delle pratiche HR

La personalizzazione d’altro canto è un trend che interessa ormai da tempo anche le politiche e le pratiche HR. Si abbandona progressivamente la cultura dell’offerta uniforme, fondata sul riconoscimento di gruppi omogenei di dipendenti per interessi e bisogni, per assecondare piuttosto la retorica della crescente individualizzazione dei rapporti di collaborazione. Al posto del vecchio linguaggio trionfano vocaboli come preferenze e desideri alla cui soddisfazione la gestione delle risorse umane, divenuta ormai più smart, deve traguardare.

Anche l’approccio della gestione e valorizzazione della diversità nelle organizzazioni (diversity management) si evolve su questa linea. Concetto di per sé multidimensionale e quindi relativo, secondo Kandala e Fullerton [1998], la diversità è poi declinata “nelle sue numerose dimensioni, tante quante sono le caratteristiche che differenziano le persone tra di loro; caratteristiche che influiscono sugli atteggiamenti, sulle aspettative, sul modo di leggere il mondo che ci circonda e, in ultima istanza, sui nostri comportamenti” [Profili, Innocenti, 2016]. Gardenswartz e Rowe [1994] hanno proposto un noto modello che visualizza i differenti livelli della diversità che, partendo dalla personalità, si allarga di cerchio in cerchio verso l’esterno per ricomprendere dapprima le dimensioni interne come l’età, poi quelle esterne come lo stato civile delle persone e infine quelle organizzative come il ruolo/livello di appartenenza.

Come approcciare la diversità? E’ interessante osservare che sono sempre più frequenti le esperienze che guardano alla diversità come pratica “inclusiva”, nel senso che con essa ci si rivolge a tutti individualmente piuttosto che a gruppi o soggetti particolari, approccio quest’ultimo che in qualche modo escluderebbe sempre qualcuno [Boldizzoni, Quaratino, 2014].

People Analytics: far calzare a ciascuno le “forme” appropriate

Ascoltare e “comprendere” i bisogni delle persone per offrire soddisfacimento con risposte personalizzate è la finalità assegnata ai flexible benefit, esperienza che innova con altre anche gli approcci e gli strumenti del reward management. Inoltre, assecondare i progetti personali nel lavoro sembra essere anche la nuova frontiera del talent management che riconosce nella valorizzazione delle vocazioni personali il suo faro. Cercare il lavoro che risponde alla progettualità di ciascuno rappresenta per tali ragioni obiettivo e sfida importante sia per gli individui sia per il management delle persone, diventando così occasione per riscrivere le direttrici dello human resource development. Anche in questo caso l’innovazione sembra offrire un grande aiuto, perché consente ai people manager di individuare le “forme” più appropriate da far calzare a ciascun collaboratore.

La grande massa d’informazioni personali che l’internet delle cose e i big data mettono a disposizione consentono già ora di individuare quella che sarà con molta probabilità la killer application degli strumenti e delle competenze sin qui incorporate dalle pratiche: i people analytics. La performance delle donne e degli uomini impegnati nelle funzioni HR sarà misurata in futuro dalla loro capacità di leggere e interpretare i dati per farli diventare profili, predizioni di comportamento, mappe integrate di desideri, preferenze, competenze e motivazioni di ciascun collaboratore sulle cui istanze costruire nuovi contratti psicologici e pratiche di reward management. Consentire a ciascuno di scegliere la propria “forma” di lavoro e di soddisfazione sembra prospettarsi allora come la nuova frontiera da attraversare.

L’adaptive learning: la formazione su misura

Il tratto della personalizzazione sta investendo appieno anche il mondo dell’apprendimento e la formazione che ora diventa “a misura di partecipante” [Scapati, 2016]. Ma é possibile disporre di strumentazioni così intelligenti capaci di suggerire e modellare, incrociando e valorizzando le numerose informazioni sui collaboratori “stoccate” dall’impresa nei suoi magazzini di dati, l’esperienza di apprendimento più appropriata? Anche in questo caso la “chiave di volta” è la personalizzazione.

Con l’espressione adaptive learning, la letteratura accademica che sta approfondendo questo tema di frontiera e che ha preso le mosse dalla indagine sugli stili di apprendimento degli studenti [Truong, 2016], ci si riferisce dunque alla ricerca di strumentazioni capaci di mettere in relazione numerose variabili individuali e di contesto (si veda la figura di Amicucci Formazione) per individuare – grazie alla tecnologia e a un uso appropriato di quella parte dei people analytics che interessano il mondo dell’apprendimento (learning analytics) – percorsi di formazione su misura, calzati sulla “forma” distintiva e appropriata per ciascun individuo che è ora possibile configurare “ad arte” facendo dialogare numerose variabili come caratteristiche individuali, linguaggi e contributo dato dalla persona nello specifico contesto di lavoro, stili di apprendimento di ciascuno.

Cosa dobbiamo apprendere per far evolvere positivamente il percorso di umanizzazione del lavoro?

Che sarà di noi? Sono in molti a chiederselo di fronte allo smarrimento che può provocare il cambiamento; allo spaesamento che possono provocare le nuove visioni offerte dall’innovazione tecnologica; all’incertezza con cui ci interroghiamo sulle non sempre chiare implicazioni della trasformazione per la nostra vita. Cosa dovranno apprendere manager e collaboratori per procurarsi un biglietto e salire a bordo del treno ad alta velocità della quarta rivoluzione industriale? Come riusciremo a comprendere la direzione in cui stiamo andando? Quali approcci e competenze dovranno sviluppare le donne e gli uomini HR per dialogare positivamente con l’innovazione facendo in modo che la stessa non intralci il percorso di umanizzazione del lavoro che rimane la meta da inseguire? Sono questioni decisive non solo per le imprese e i loro numerosi protagonisti, ma anche per la politica, l’educazione e la società civile. Sono del resto i temi più affascinanti che hanno ormai prepotentemente riempito l’agenda di quanti, a diverso titolo e con differenti responsabilità, sono interessati a salvaguardare il lavoro come espressione e fonte di benessere per la persona e la comunità.

Suggerimenti bibliografici

  • Bartezzaghi E. (2010), L’organizzazione dell’impresa, Etas, Parma
  • Bauman Z. (2006), Vita liquida, Laterza, Roma-Bari
  • Boldizzoni D., Quaratino L. (2014), Risorse Umane, il Mulino, Bologna
  • Calabrò A. (2015), La morale del tornio. Cultura d’impresa per lo sviluppo, Egea, Milano
  • Fabris G. (2003), Il nuovo consumatore: verso il post-moderno, Franco Angeli, Milano
  • Fabris G. (2009), Societing. Il marketing nella società post moderna, Egea, Milano
  • Gardenswartz L., Rowe A. (1994), Diverse team at work: capitalizing on the power of diversity, Mc-Graw-Hill, New York
  • Kandala R, Fullerton J. (1998), Diversity in Action: Managing the Mosaic, London, Institute of Personnel and Development
  • Micelli S. (2011), Futuro artigiano. L’innovazione nelle mani degli italiani, Marsilio, Venezia
  • Profili S., Innocenti L. (2016), Valorizzare la diversità, in Gabrielli G., Profili S., Organizzazione e gestione delle risorse umane, Isedi, Torino, seconda edizione
  • Scapati A. (2016), Adaptive learning: per una formazione a misura di partecipante, https://www.skilla.com/blog_dett.asp?id=116
  • Truong H. M. (2016), “Integrating learning styles and adaptive e-learning system: Current developments, problems and opportunities”, Computers in Human Behavior, 55, 1185-1193

Foto di copertina estratta dal Catalogo della mostra fotografica “Il Lavoro Scomparso” di Vittorio Gioventù a cura della Fototeca Provinciale di Fermo, www.fototecafermo.it

A cura di: Gabriele Gabrielli, Adjunct Professor di HRM & Organisation alla LUISS Guido Carli, Professor of Practice in People Management alla LUISS Business School

Profilo Autore

Executive Coach e Consulente, docente di HRM & Organisation alla LUISS Guido Carli, Professor of Practice in People Management alla LUISS Business School, Presidente Fondazione Lavoroperlapersona (www.lavoroperlapersona.it)

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