Le abitudini nelle organizzazioni: come aggiornarle e renderle funzionali agli scopi

Occupandomi di cambiamento e lavorando su come rendere più agevoli e duraturi i nuovi percorsi intrapresi in vista degli obiettivi da realizzare, un buon agente dell’innovazione si pone subito la domanda: come superare gli ostacoli? E ancora prima: quali sono le resistenze che frenano la nuova rotta o le obiezioni critiche autolimitanti che incidono negativamente sulla fiducia nella possibilità che il nuovo soppianti il vecchio sistema? Ed ecco che ad un osservatore attento e sensibile al funzionamento degli esseri umani che guidano e gestiscono le organizzazioni non può scappare il peso consistente delle abitudini.

A livello aziendale si parla tanto di “processi” ma se non si ha consapevolezza lucida e piena delle abitudini che sottendono quei processi si rischia di restare in superfice, programmando scenari sulla carta molto futuribili ma che alla prova realistica dell’attuazione si rilevano immancabilmente deludenti e scostati dalla realtà.

Le abitudini sono sia individuali che collettive, si riferiscono cioè ai comportamenti ripetitivi e alle consuetudini che, automaticamente senza neanche farci caso, scandiscono la nostra vita privata e sociale.

Nelle aziende o nelle organizzazioni sono un sistema interessante da codificare perché derivano dalla somma degli schemi abituali dei singoli che ci lavorano oltre ai processi e ai sistemi che si sovrappongono in virtù degli scopi e degli obiettivi stabiliti per l‘impresa.

Già Aristotele ne sottolineava l’importanza dicendo che i comportamenti che si manifestano senza riflessione sono la prova della nostra natura più autentica. E secondo William James: “Tutta la nostra vita è soltanto una massa di abitudini pratiche, emotive e intellettuali (…), che ci portano inevitabilmente verso il nostro destino, qualunque esso sia”.

Ma perfino quando sono ben radicate nella nostra mente non sono ineluttabili e una volta identificate e comprendendone il funzionamento possiamo modificarle e sostituirle con quelle più appropriate. Il modo in cui pensiamo al nostro ambiente crea i mondi che ciascuno di noi abita, dal libro di Charles Duigg “Il potere delle abitudini”, ovvero siamo a noi a dare il significato agli eventi che ci accadono e ad organizzarli secondo le nostre inclinazioni. Come sempre è la consapevolezza che ci dà il potere di incidere sul cambiamento: osservando le scelte invisibili e automatiche e rendendole visibili ed esplicite. E’ anche la scelta tra subire gli eventi e governarli, tra tracciare la rotta o andare dove ci porta il vento o la corrente.

Infatti, per modificare un’abitudine è necessaria una decisione: identificare i segnali e le gratificazioni che guidano le routine e trovare delle alternative tanto più appetibili quanto in linea con le nuove rotte delineate. Bisogna cioè rendere visibile e fruibile la nuova terra desiderata perché fondamentalmente il nostro cervello è pigro e secondo le illuminanti scoperte delle neuroscienze sceglie e decide per l’opzione che richiede il minore sforzo sia intellettuale che fisico. Ecco perché le nostre agende sono pieni di buoni propositi mai attuati e di “farò” mai concretizzati. Anche nelle aziende si constata un ripetersi di usanze e consuetudini desuete, a volte anche nei rapporti interpersonali che creano malumori e rallentano lo sviluppo e l’ottimizzazione dei processi come dell’integrazione armoniosa del passaggio generazionale; la fatidica frase “si è sempre fatto così” è il miglior scudo per contrastare il cambiamento e per aggrapparsi ad un passato che non esiste più ma la cui mitizzazione rassicura ancora i conservatori e i detrattori dell’innovazione che hanno nelle loro paure e preoccupazioni l’abitudine più perniciosa.

Sono coloro che vedono nei giovani un pericolo anziché ammirare le nuove energie e competenze grazie agli studi più aggiornati delle nuove tecnologie; coloro che mantengono gli stessi processi anche spazio-temporali per non compiere lo sforzo di ricercare le soluzioni più idonee, che metterebbero i lavoratori in una condizione facilitante che incentiverebbe la dedizione e il loro attaccamento al lavoro. Coloro che ritengono di non aver bisogno di nuovi stimoli o di non dover ascoltare i dipendenti dai quali spesso arrivano soluzioni semplici e di facile attuazione ma che per pigrizia o per inerzia non vengono recepite.

Al contrario, una volta chiarito che possiamo modificare le abitudini come i comportamenti non più funzionali abbiamo la libertà e la responsabilità di delineare nuovi scenari e modelli con l’umiltà e la consapevolezza che dureranno fin quando saranno utili e che nessuna persona o nessun processo è immutato e insostituibile.

Come sempre l’unico ingrediente basilare per riuscirci è la volontà di credere che sia possibile, avere fiducia nel cambiamento e guardare al futuro con atteggiamento positivo e ottimista.

Da studi effettuati comparando programmi di formazione di alcune aziende di riferimento o leggendo le biografie di imprenditori di successo nati orfani o in contesti famigliari difficili o disagiati, il denominatore comune è la forza di volontà che diventa un’autodisciplina propedeutica a costruire il proprio futuro con determinazione e resilienza. Bisognerebbe fare della forza di volontà una disciplina da insegnare nelle scuole, di gran lunga più importante del famoso Q.I. il quale da solo, se non adeguatamente supportato da buone abitudini o attitudini comportamentali, non garantisce risultati costruttivi. Nei programmi educativi si dovrebbe trasmettere l’importanza di essere consapevoli delle proprie abitudini e di come rispondiamo alle situazioni e ai contesti di riferimento perché niente è immutabile e tutto si può trasformare e rendere più funzionale se solo ci crediamo e ci mettiamo all’opera con impegno, costanza e forza di volontà.

Un messaggio ancora più importante se allargato alle aziende e alle organizzazioni dove costanti revisioni e aggiornamenti dei processi decisionali e operativi potrebbero dar luogo a un “rinascimento” nel senso più alto del termine, un modo per riconsiderare a 360° i sistemi per modernizzarli e renderli più flessibili e competitivi con le nuove sfide che li attendono. Dopo un’attenta disamina del tutto, si deciderà cosa tenere e cosa lasciar andare perché se non si abbandona qualcosa non si può fare spazio al nuovo. Al posto delle vecchie abitudini potremo quindi innescarle delle nuove, scaturite magari col contributo di tutti o aggiornare quelle che si decide di tenere rendendolo più funzionali al nuovo assetto che il mercato richiede.

Quanto più in questa operazione si attingerà alla creatività e al pensiero laterale fuori dagli schemi coinvolgendo tutte le risorse presenti nessun escluso tanto più emergerà un diverso assetto “corale” in cui ognuno avrà dato il suo contributo. Spesso questi interventi non si fanno perché pensiamo di dover sovvertire tutto il sistema scoraggiandosi quindi prima di cominciare ma in realtà sono le piccole abitudini, quelle che diamo per scontato, che possono già segnare un’importante inversione di tendenza. Proprio perché dietro ogni gesto o comportamento è implicito un significato e un atteggiamento valoriale, cambiando anche una piccola abitudine sia comunicativa che procedurale si può innescare un virtuoso e incentivante nuovo processo evolutivo: provare per credere!

Bibliografia: Charles Duigg, “Il potere delle abitudini”, 2014, Tea

A cura di: Raffaella Iaselli

Profilo Autore

Business, executive e personal coach PCC, Professional Certified Coach, Membro Comitato Etica ICF Italia Chapter italiano della Federazione Internazionale Coaching.
Trainer per aziende, manager e team sullo sviluppo delle competenze trasversali: leadership, comunicazione efficace e gestione emozioni, sviluppo dei talenti e motivazione per mantenere un alto livello di energia e benessere. Certificata EQ Assessor Six Seconds e nella metodologia CoachingbyValues che utilizza spesso anche nei change management delle fusioni aziendali e nei passaggi generazionali per dare senso di scopo e congruenza ai sistemi.
Direttrice della Fondazione Olly Onlus, attiva nel supportare i disagi giovanili con sede in Biella favorendo sinergia e rispetto dei ruoli tra docenti e genitori a favore della crescita costruttiva delle nuove generazioni.

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