Le Competenze Manageriali sono l’ X-factor
L’Italia è intrappolata in un basso livello di competenze. Questa volta non siamo noi a dirlo, ma l’Ocse nel suo recente rapporto sulla Strategia delle competenze. Il quadro non è incoraggiante: laureati under 34 al 20% contro la media Ocse del 30%, il 21% dei lavoratori sotto-qualificato, il 35% che opera in settore non correlato ai propri studi.
La prima osservazione riguarda gli anni di ritardo accumulati sul fronte della formazione universitaria, da sempre troppo disconnessa dal mondo del lavoro. Ma poi c’è un tema di aggiornamento professionale, che deve essere permanente e che deve accompagnare tutta la vita di un lavoratore per allinearlo all’evoluzione del mercato del lavoro. E questo, come dire, riguarda il presente. Infine c’è una riflessione da fare su quello che ci attende. Il futuro prossimo, per nulla lontano, che parla la lingua delle nuove tecnologie, dell’automazione, della digitalizzazione dei processi, delle funzioni, delle produzioni.
Quest’ultima prospettiva, di cui si discute molto, è quella che a mio avviso chiama in causa tutte le altre. Perché le presuppone e in una certa misura le investe tutte. Riguarda l’ambizione del nostro Paese di restare competitivo sulla scena globale e la possibilità delle generazioni più giovani di esercitare una leadership.
Pertanto, dobbiamo prendere molto sul serio il gap di competenze digitali di cui soffriamo. In circa la metà dei 4.362 corsi di laurea di tutte le tipologie che ci sono in questo Paese non è prevista nessuna formazione ICT.
E il tema delle competenze digitali e del capitale umano continua a essere il punto debole delle politiche nazionali.
Rispetto alla Gran Bretagna (50%) e alla Germania (39%), l’Italia può vantare solo un 29% di competenze digitali elevate diffuse tra i soggetti in età lavorativa. Il resto della nostra forza lavoro possiede competenze digitali definite medie (nel 36% dei casi) o basse (35%). Questi dati sono stati condivisi dal ministero dello Sviluppo Economico come a sottolineare lo stretto collegamento tra nuove competenze e sviluppo dell’industria del futuro.
Se l’impresa sta cambiando rapidamente, bisogna investire direttamente nella formazione del management, primo soggetto che promuove l’innovazione in azienda.
Abbiamo messo in campo un intervento che sfrutta la bilateralità e, in parte, si sostiene con un diretto investimento da parte della Federazione per certificare le competenze manageriali dei colleghi. Dunque, formazione finalizzata alla tematica 4.0 tramite lo short master condotto da Federmanager Academy, certificazione delle competenze manageriali con il progetto “BeManager”, formazione in azienda e politiche attive grazie agli enti della bilateralità.
Tutto questo perché siamo convinti che la sinergia tra imprenditori e manager è una chiave di successo, che si deve favorire l’inserimento dei manager all’interno dei contesti aziendali e, per le figure senior, aiutare a ricalibrare la propria expertise sulla base del fabbisogno aziendale futuro.
Certamente, serve la mano pubblica per fare sistema.
L’attenzione va posta non solo sul contesto normativo, ma anche sulla costruzione di ecosistemi di innovazione dove si valorizzi la cooperazione tra imprese, università, istituzioni e investitori. Per consentire alla nostre Pmi di crescere a livello dimensionale la via corretta è creare reti forti e resilienti tra tutti questi attori.
L’idea di istituire i cosiddetti Competence center è buona, ma ancora aspettiamo il decreto. Il ritardo che si è registrato sta danneggiando il Piano Calenda che finora ha puntato sugli iper-ammortamenti per gli investimenti in infrastrutture abilitanti. Tutta la fase 2, quella del “Lavoro 4.0”, stenta a partire mentre i territori più vivaci si stanno attrezzando e quelli più in difficoltà restano indietro.
Nelle more, Federmanager ha sottoscritto protocolli di intesa con i poli universitari individuati, come il Competence Center delle Venezie (con l’ateneo di Padova), e sta lavorando per fare lo stesso con Milano, Bari e Torino. Qui i colleghi si candidano per inserire managerialità nel tessuto produttivo, per fare da ponte tra mondo dell’education e quello dell’impresa.
Dobbiamo alzare l’asticella verso l’alto. Costringerci a livello di Sistema Paese a fare pianificazione anche rispetto alle figure professionali che saranno richieste nei prossimi anni. Impegnarci affinché i nostri figli non rinuncino all’ambizione di ricoprire ruoli apicali in azienda. Affinché i migliori non guardino all’espatrio come unica via.
Non saremo competitivi se, a partire dalla questione del lavoro, continueremo con logiche di livellamento al ribasso. Solo se si comprenderà che l’investimento in risorse umane qualificate è il principale investimento da fare, allora questo Paese avrà una chance di crescita misurabile e strutturale. Questo è l’X-factor su cui dobbiamo lavorare. E deve diventare un obiettivo di tutti: non solo del management, ma anche del governo, delle istituzioni anche locali e soprattutto delle imprese.
A cura di: Stefano Cuzzilla, presidente Federmanager
Stefano Cuzzilla è il Presidente nazionale di Federmanager dal maggio 2015. Nato a Roma nel 1965, laureato in Giurisprudenza, è dirigente industriale presso Techno Sky s.r.l. (gruppo ENAV). E’ Presidente dell’Assemblea FASI – Fondo di Assistenza Sanitaria Integrativa per i Dirigenti di aziende produttrici di beni e servizi.
Collabora con alcune università sui temi del welfare integrativo e del management tra cui l’Università Campus Bio Medico di Roma (UCBM), l’Università LUISS Guido Carli e l’Università Liuc-Carlo Cattaneo. Partecipa come relatore a convegni di studio su temi riguardanti la valorizzazione dell’immagine e del ruolo del management italiano, il futuro del welfare, lavoro e occupazione, politica industriale, fisco, previdenza. Attento alle questioni etiche, ha fondato e partecipa a numerose iniziative associative a scopo benefico e sociale.