Le diverse sfaccettature del Diversity Management: le diversità legate all’età

Per poter parlare di Diversity Management (DM) è prima di tutto necessario chiederci cosa significa diversità.

La diversità in un contesto di lavoro si riferisce al riconoscimento delle disuguaglianze tra gli individui rispetto a diversi fattori quali l’origine, l’etnia, la religione, l’età, il genere, la classe sociale, la disabilità.

In realtà, le persone che ritroviamo all’interno di un’organizzazione sono tutte diverse l’una dall’altra.

Le diversità sono connotati che fanno di ogni persona un soggetto unico e, in quanto tale, portatore di valori in ambito sociale così come in ambito lavorativo e professionale.

La diversità e l’inclusione stanno diventando tematiche sempre più importanti nei contesti aziendali e nei luoghi di lavoro. Importante è ricercare una corretta valorizzazione delle diversità facendo proprio un approccio di cambiamento culturale ed organizzativo, che pone al centro la persona, per creare un ambiente allo stesso tempo inclusivo e produttivo.

Adottare un approccio di DM implica un cambiamento di natura culturale.

E’ importante, infatti, parlare della necessità di un cambiamento culturale, nel senso che l’obiettivo della gestione delle diversità è legato allo sviluppo di una cultura eterogenea-pluralistica in cui si confrontano sistemi di valori diversi. Proprio agendo sulla cultura si può perseguire l’obiettivo di una accettazione condivisa delle diversità. Si tratta di un aspetto importante ma, allo stesso tempo, non di agevole perseguimento dovendosi scontrare con non pochi preconcetti.

Il DM nell’ambito della gestione delle risorse umane si pone l’obiettivo di creare un ambiente inclusivo in cui le differenze degli individui non siano fonte di discriminazione ma oggetto di reale attenzione.

Le diversità, se adeguatamente valorizzate e gestite, possono contribuire ad incrementare il valore del capitale umano posseduto da un’azienda.

La diversità può avere effetti sia positivi che negativi sulle performance aziendali. Da un lato può causare la nascita di tensioni e conflitti con la conseguente riduzione del grado di inclusione; dall’altro la diversità può consentire alla stessa azienda di perseguire determinati vantaggi.

Come valorizzare le diversità delle risorse umane presenti in un’organizzazione in nome dell’efficienza e dell’efficacia gestionale? Come un ambiente di lavoro più inclusivo può permettere ad una azienda non solo di arricchirsi moralmente ma anche di essere più produttiva?

La risposta a queste domande può essere trovata cercando di dare concreta applicazione ai principi del Diversity Management, un approccio volto proprio a promuovere l’integrazione e il rispetto delle diversità.

Interessante al riguardo è la definizione di DM proposta dall’Unione Europea: lo sviluppo di un processo di accettazione delle differenze e di valorizzazione delle stesse come un potenziale dell’organizzazione, un processo in grado di creare valore per la stessa.

In altri termini si può definire come un processo che:

  • partendo dall’assunto che le persone sono una risorsa fondamentale per il successo di un’organizzazione, riconosce le differenze esistenti tra le persone che operano in azienda, superando l’assunto di considerare il personale come un insieme indifferenziato;
  • ha lo scopo di valorizzare il contributo che ciascuna persona può apportare nel perseguimento degli obiettivi aziendali indipendentemente dalle sue specifiche caratteristiche.

All’interno di un’azienda troviamo un patrimonio di diversità rappresentato in realtà da tutte le persone che ne fanno parte.

Se è vero l’assunto che in ogni realtà lavorativa ogni persona è diversa dalle altre, la ricerca della valorizzazione delle diversità si concentra su quel mix di caratteristiche che differenziano diverse tipologie di persone, sempre con l’obiettivo di generare in ciascuna di esse la capacità di creare valore.

Il DM si configura, quindi, come un approccio alla gestione delle risorse umane finalizzato al perseguimento di obiettivi quali:

  • la creazione di un contesto lavorativo inclusivo;
  • contrastare le discriminazioni;
  • impiegare e valorizzare in modo il più possibile efficace ed efficiente il contributo che ciascun soggetto può apportare per il perseguimento degli obiettivi aziendali.

Si può parlare di un salto di qualità nella gestione consapevole delle diversità delle persone.

La valorizzazione delle diversità ha, infatti, carattere qualitativo e ha l’obiettivo di creare un ambiente in cui ogni individuo si senta valorizzato mantenendo le proprie peculiarità.

Le diversità in ambito lavorativo possono essere rappresentate, a mio giudizio, come una sorta di mosaico di persone nel quale ciascuna contribuisce con le sue capacità professionali e personali al buon funzionamento dell’azienda.

A questo punto ci possiamo fare la seguente domanda: quando un ambiente di lavoro si può ritenere inclusivo?

Quando ogni soggetto che vi opera riconosce l’esistenza stessa delle diversità, ha grande rispetto delle sensibilità e dei diritti altrui e sente di potersi esprimere liberamente perché accettato e valorizzato.

Parole chiave per riuscire a creare un ambiente di lavoro inclusivo sono: riconoscere, rispettare e valorizzare le diversità.

Un aspetto che viene oggi evidenziato è il fatto che un ambiente di lavoro inclusivo può diventare anche un ambiente di lavoro distintivo, cioè tale da contribuire a migliorare la reputazione e l’immagine dell’azienda.

Emergono alcuni aspetti significativi:

  • Il DM si può inserire in un contesto più ampio che è quello legato al concetto di responsabilità sociale d’impresa per i positivi impatti sul contesto sociale di un approccio gestionale che intende valorizzare le diversità; così come si può parlare di collegamenti con il concetto di responsabilità etica di impresa che prevede tra i suoi principi proprio quello di evitare qualsiasi forma di discriminazione;
  • La gestione delle risorse umane si deve attivare per riuscire concretamente ad implementare un ambiente di lavoro che supporti la valorizzazione delle differenze;
  • Significativo è il collegamento tra il DM e le misure riconducibili al concetto di benessere organizzativo che presuppone la capacità di generare un’adeguata convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando il benessere fisico, psicologico e sociale di tutti coloro che operano nell’azienda.

Per riuscire a passare dall’enunciazione di principi validi in teoria ad una concreta adozione di un approccio di DM occorre, in primo luogo, tener presente che si richiede all’azienda un triplice cambiamento:

  • un cambiamento culturale tale da creare una diffusa consapevolezza, a tutti i livelli dell’azienda a partire dalle posizioni di vertice, che è necessario rispettare e far rispettare le diversità, promuoverne l’integrazione e la valorizzazione;
  • un cambiamento nell’organizzazione del lavoro per riuscire a creare il citato ambiente di lavoro inclusivo;
  • un cambiamento di natura gestionale che investe le modalità di gestione delle risorse umane per riuscire meglio a integrare le differenti tipologie di diversità presenti nell’azienda.

La diversità in sé non genera in modo automatico un valore per un’azienda, ma è possibile, attraverso un approccio inclusivo, creare un ambiente di lavoro dove tutti i dipendenti non si sentono discriminati, ma anzi si sentano apprezzati, oggetto di reale attenzione e ascolto. Purtroppo, però, esistono ancora contesti professionali in cui la discriminazione continua ad essere presente.

Alcune aziende si sono avvicinate al tema del DM solo per cercare di migliorare la loro immagine, ma, in mancanza di azioni concrete, il livello di efficacia di tale avvicinamento è molto ridotto.

Le azioni di DM devono essere fortemente contestualizzate in quanto non esiste una soluzione valida in assoluto. Perciò, una volta deciso di intraprendere questo percorso, è necessario essere il più coerente possibile con la specifica realtà considerata.

Come sviluppare un’azione di DM?

Si possono individuare degli step:

  • Il vertice dell’azienda deve credere nell’importanza di attivare questo percorso ed individua i soggetti, interni o esterni, che saranno chiamati a gestire i diversi successivi passaggi;
  • Realizzare un Diversity Audit, cioè un’analisi della situazione attuale della stessa azienda al fine di capire la presenza di soggetti con diversità, l’atteggiamento dell’azienda e dei suoi dipendenti verso le diversità al fine di capire in che misura la volontà di ridurre e gestire le diversità è realmente diffusa nell’azienda;
  • Valutare le relazioni interpersonali esistenti nell’azienda per cercare di renderle più improntate alla valorizzazione delle diversità e alla creazione di un ambiente di lavoro inclusivo;
  • Definire una serie di interventi ritenuti più appropriati, tenendo conto che:
    • bisogna focalizzarsi su azioni concrete;
    • occorre coinvolgere tutti i dipendenti;
    • le azioni devono essere continuative e capaci di adattarsi alle esigenze specifiche della singola azienda e possono investire la ricerca e selezione del personale, la formazione, la valutazione del personale, i sistemi di valutazione, la comunicazione interna, il welfare aziendale.
  • Attuazione degli interventi
  • Verifica del grado di efficacia di quanto realizzato e della possibilità di ulteriori miglioramenti.

La diversità legata all’età

Esistono diverse tipologie di diversità. Tra queste un aspetto non sempre adeguatamente sviluppato è quello legato all’età.

Se la valorizzazione del capitale umano è sempre più una leva fondamentale per migliorare le performance aziendali, occorre valutare le diversità in termini di età presenti nelle stesse aziende dove possiamo trovare all’interno dell’organico anche soggetti che appartengono a diverse generazioni.

Quali i fattori che hanno generato nel nostro paese tale tipo di diversità?

Le trasformazioni dovute al calo delle nascite, all’innalzamento dell’età pensionabile, all’innalzamento dell’età media della popolazione, all’aumento della speranza di vita, ai progressi delle pratiche sanitarie, all’innovazione tecnologica ed organizzativa che riducono i livelli richiesti di fatica fisica (a fronte però di un aumento della fatica mentale) hanno determinato un progressivo invecchiamento della popolazione lavorativa, ciò che implica la necessità di valutare con attenzione i relativi impatti sia sul mercato del lavoro, un mercato del lavoro che sempre più sta cambiando quantitativamente e qualitativamente e sia sulla gestione delle risorse umane.

Una volta superata la soglia dei 50 anni, fino ad un recente passato, si aveva la preoccupazione di concludere la propria esperienza professionale nel miglior modo possibile, oggi chi ha più di 50 anni sa bene di avere ancora un significativo futuro lavorativo davanti da affrontare insieme a colleghi più giovani e cercando, in ogni caso, di apportare il migliore contributo lavorativo. Risulta, quindi, necessario fare in modo che tali soggetti restino protagonisti delle loro attività in azienda, garantendo alla stessa la disponibilità di preziose risorse, depositarie di esperienze e di informazioni qualificate.

Si tratta di una sfida per la direzione delle risorse umane che deve essere in grado di contribuire a valorizzare le competenze di tutti coloro che operano nella stessa azienda.

L’invecchiamento della forza lavoro impone, infatti, l’adozione di soluzioni in grado di perseguire, anche con rifermento a tali soggetti, l’obiettivo di una maggiore valorizzazione.

Una direttiva della Comunità Europea ha introdotto per la prima volta la discriminazione di età tra quelle da contrastare in ambito lavorativo.

E’ emersa, di conseguenza, sotto la spinta di tale direttiva, l’esigenza di pensare a modalità gestionali in grado di, da un lato favorire soluzioni intergenerazionali e, dall’altro garantire un equilibrio tra la capacità di motivare la forza lavoro più senior e la capacità di mantenere attivo il mercato delle assunzioni dei giovani.

Oggi possono condividere lo stesso luogo di lavoro fino anche a quattro generazioni diverse:

  • Boomers: i nati tra il 1946 e il 1964
  • Generazione X: i nati tra il 1965 e il 1981
  • Generazione Y o Millennials: i nati tra il 1982 e il 1999
  • Generazione Z: i nati dal 2000 in avanti.

Ciò può creare delle problematiche (conflitti generazionali) ma anche delle opportunità nella misura in cui si riesce a valorizzare un mix di conoscenze, capacità ed esperienze, a farle interagire e collaborare in modo efficace pur avendo approcci lavorativi diversi. Ciò implica saper affrontare il tema dell’Age Diversity con interventi efficaci per riuscire contemporaneamente a gestire il prolungamento della vita lavorativa e a promuovere le pari opportunità tra lavoratori di diverse fasce di età.

La sfida per il mondo delle aziende si baserà, quindi, in linea con le indicazioni europee, sulla capacità di definire delle concrete linee di azione in grado di affrontare le diversità presenti tra le diverse generazioni nei luoghi di lavoro.

Una recente ricerca ha cercato di individuare, sulla base delle indicazioni raccolte su un campione di soggetti over 50, quali sono i rischi che possono maggiormente affrontare nel loro ambito lavorativo. Tra i rischi maggiormente indicati si possono ricordare:

  • non riuscire ad esprimere tutto il proprio potenziale in un contesto lavorativo che non riesce a valorizzarlo;
  • difficoltà a seguire le continue trasformazioni tecniche e professionali;
  • difficoltà ad instaurare rapporti di costruttiva collaborazione con i colleghi più giovani;
  • difficoltà a mantenere aggiornate le proprie conoscenze acquisite durante il proprio percorso professionale per far fronte alle richieste dell’azienda;
  • difficoltà a sentirsi realizzati sul piano professionale e personale;
  • vivere problemi di conciliazione famiglia-lavoro.

L’invecchiamento della forza lavoro ha portato allo sviluppo del concetto di “invecchiamento attivo” (Active Ageing) legato al fatto di continuare a lavorare traendo il massimo vantaggio dalle potenzialità di cui il soggetto continua a disporre. Le aziende oggi e nel prossimo futuro sono e saranno chiamate a progettare interventi che possano favorire tale “invecchiamento attivo” in ambito lavorativo degli over 50, valorizzando le loro conoscenze, capacità ed esperienze e offrendo loro una migliore qualità della vita lavorativa, dall’altro potenziando la capacità dell’azienda di gestire al meglio al proprio interno il tema dell’età.

Ma come riuscirsi?

Il primo passo è l’acquisizione di consapevolezza rispetto al tema, superando i pregiudizi che la categoria degli over 50 è portata a subire e che possono finire per oscurare i contributi positivi, in termini di esperienze maturate, di lealtà nei confronti dell’azienda, di affidabilità professionale e personale che tali soggetti possono ancora fornire all’azienda.

I principali pregiudizi fanno riferimento a:

  • resistenze nei confronti dei processi di cambiamento, specie in relazione all’adozione di nuove tecnologie che sempre più caratterizzano e caratterizzeranno il modo di lavorare;
  • una certa rigidità negli atteggiamenti;
  • tendenza ad avere una visione più orientata al passato;
  • una minore motivazione nello svolgimento del lavoro.

Oggi un over ‘50 sa che, come ricordato, la sua vita lavorativa prevede ancora molti anni di lavoro. Durante questi anni, considerando la velocità con cui cambia il contesto in cui operano le aziende, tale soggetto deve avere la consapevolezza che dovrà affrontare processi di cambiamento per rispondere alle diverse sfide che investiranno la stessa azienda, che nuove tecnologie cambieranno le attività finora svolte, che gli strumenti di lavoro andranno a modificarsi.

Le caratteristiche dei lavoratori senior più apprezzate sono l’affidabilità e la responsabilità. Tra le capacità riconosciute ai senior troviamo una maggiore fedeltà all’azienda, il rispetto della gerarchia, maggiore sensibilità agli interessi dell’azienda, capacità di leadership, disponibilità ad aiutare il collega in difficoltà, maggiore disponibilità a svolgere lavori più ripetitivi. Di contro i soggetti più giovani presentano capacità connesse ad una maggiore familiarità nell’utilizzo delle tecnologie, di maggiore creatività, di maggiore propensione all’innovazione, svolgono le mansioni in maniera più flessibile e sono più propensi al lavoro in team.

Un aspetto importante correlato all’aumento dell’età del soggetto è e sarà quello di contrastare l’invecchiamento delle competenze, di preservare la loro employability investendo nell’ottica della formazione (life long learning).

Appare così essenziale riflettere sulle condizioni di impiegabilità in modo attivo di tale soggetto, su come poter aggiornare le sue competenze, tenendo presente cosa si aspetta l’azienda dal lavoratore over 50 in termini di prestazione.

Prima di entrare nel merito di come concretamente muoversi per dare attuazione alla ricerca di una maggiore valorizzazione delle figure over 50, ritengo opportuno soffermarmi brevemente su alcuni aspetti.

La persona over 50 ha spesso dalla sua una serie di conoscenze, di esperienze, di abilità nel sapere come risolvere i problemi. In altri termini, dispone di risorse che possono essere messe a frutto con soddisfazione sia della stessa persona e sia dell’azienda.

Ma qual è il ruolo riconosciuto oggi e in prospettiva all’esperienza accumulata nel tempo?

Si può affermare che l’esperienza continua a mantenere un suo valore nello svolgimento delle attività lavorative come capacità di affrontare e di riuscire a risolvere problemi, di valorizzare quanto è stato realizzato in passato come punto di partenza per ricercare specifici miglioramenti; tutto ciò a condizione che non emergano atteggiamenti di rigidità e di resistenza rispetto ai cambiamenti in atto.

Alcune ricerche evidenziano come la valorizzazione degli over 50 richieda specifici interventi in termini di gestione delle risorse umane partendo da alcuni presupposti, a mio giudizio, essenziali quali:

  • l’età non costituisce un parametro discriminante per determinare l’efficienza di un dipendente;
  • la formazione continua gioca un ruolo chiave;
  • elementi importanti sono gli aspetti motivazionali;
  • è importante riuscire a gestire adeguatamente i rapporti intergenerazionali;
  • oggi molti soggetti over 50 sentono di poter fare ancora molto di più nel lavoro che svolgono.

Proprio per affrontare i diversi aspetti connessi all’influenza del fattore età sulle performance lavorative, si è sviluppato un particolare approccio noto come Age Management, diretto a favorire anche un miglioramento della qualità lavorativa in tutte le fasce di età.

Con Age Management si definisce quel settore del DM che si occupa di attuare iniziative volte a favorire l’integrazione e la valorizzazione dei dipendenti di un’azienda, tenendo in considerazione l’età anagrafica di ogni singolo dipendente. In altri termini, l’Age Management è finalizzato ad individuare strumenti ed interventi che hanno lo scopo di valorizzare, riconoscere ed utilizzare i punti di forza di tutti i dipendenti di un’azienda a prescindere dall’età anagrafica, cioè nelle varie fasi della loro vita lavorativa nonché di favorire la creazione di un contesto di lavoro positivo di collaborazione tra soggetti appartenenti a diverse generazioni.

La diversità generazionale, se gestita correttamente, può valorizzare le persone e, quindi, consentire alle stesse di esprimere il proprio potenziale ed influire positivamente sui risultati dell’azienda.

Age Management non vuol dire, in ogni caso, solo gestione dei soggetti senior ma anche gestione delle persone nelle diverse fasi della loro vita lavorativa, siano esse giovani o anziani, da quando entrano in azienda a quando sono prossimi all’uscita.

Una corretta politica di Age Management dovrebbe portare al superamento dei tradizionali stereotipi sull’età (sia sui giovani che sugli anziani) e sviluppare un orientamento al confronto tra le diverse generazioni che possa consentire alle persone interessate di sviluppare appieno le proprie capacità e potenzialità (da un lato le esperienze dei senior, dall’altro le nuove conoscenze che possono portare le persone più giovani).

La sfida che attende le direzioni delle risorse umane delle aziende italiane nell’immediato futuro sarà quella di ricercare soluzioni in grado di garantire un equilibrio tra la capacità di motivare la forza lavoro più senior e la capacità di mantenere attivi i processi di sviluppo dei più giovani. Ciò investe e investirà dalle politiche di reclutamento, alla formazione, allo sviluppo delle carriere, alla flessibilità degli orari, all’organizzazione del lavoro, alle soluzioni adottate in termini di incentivazione.

Ma come sviluppare un progetto di Age Management?

Un’azienda che intende muoversi lungo questo approccio, deve in via preliminare svolgere un’attenta analisi delle proprie risorse e della propria situazione; solo sulla base di tale analisi si possono interventi costruiti ad hoc.

Alcune società di consulenza, in grado di supportare le aziende anche su queste tematiche, suggeriscono l’opportunità di fare una sorta di check-up per capire cosa gli over 50 presenti nell’azienda hanno fatto, stanno facendo e cosa potrebbero fare all’interno della stessa allo scopo di valutare le migliori possibilità di valorizzazione di tali soggetti.

Sulla base di queste valutazioni si potranno mettere in atto specifici interventi per valorizzare le competenze dei soggetti over 50, offrire loro una qualità migliore di vita lavorativa, migliorare le relazioni intergenerazionali.

Si parla, in primo luogo, di interventi che investono il tema della formazione.

Ritorna il citato obiettivo di fare in modo che ad un avanzamento dell’età non corrisponda un invecchiamento delle competenze.

Ciò ci consente di far riferimento ad un concetto oggi molto importante nella gestione delle risorse umane: il life long Learning, cioè un percorso formativo che prevede fasi di continuo apprendimento e che accompagna la persona lungo l’intera vita lavorativa per riuscire a stare al passo con i cambiamenti che interessano le modalità stesse di svolgimento delle attività richieste.

Altro punto da sottolineare è legato al fatto che nella realtà odierna è sbagliato pensare che sia ormai troppo tardi per imparare.

E’ importante che anche un over 50, considerando gli anni di attività che ancora lo riguardano, non smetta mai di investire sulla propria formazione, sul proprio aggiornamento professionale, sulla ricerca di migliorare anche le proprie capacità personali.

Cosa l’azienda può fare?

Può progettare mirati interventi formativi e di aggiornamento, ciò che significa che l’azienda si dimostra consapevole dell’importanza di investire in quella persona, credendo nelle sue potenzialità.

Altra tipologia di intervento riguarda l’avvio di un programma di mentoring che attraversa le diverse età della popolazione aziendale, finalizzato a favorire l’inserimento in azienda di soggetti giudicati con alte potenzialità mediante un periodo di affiancamento del giovane con una figura interna dotata di significative esperienze, conoscenze e capacità. Si possono prevedere interventi anche di reverse mentoring (è il soggetto più giovane ad affiancare il soggetto più anziano) finalizzati a favorire uno scambio di conoscenze, capacità ed esperienze da una generazione all’altra.

Le iniziative di ”reverse mentoring” sono attivabili, ad esempio, nel caso in cui i giovani trasferiscono ai più anziani conoscenze digitali in cambio di indicazioni sul corretto andamento dei progetti aziendali: si tratta di una sorta di scambio che, da un lato, favorisce un migliore inserimento dei più giovani, mentre, dall’altro, cerca di ridurre il digital divide delle figure più anziane. I dipendenti più giovani possono, quindi, aiutare i senior a familiarizzare con le nuove tecnologie, mentre i senior possono mettere a disposizione degli junior il proprio know-how e la conoscenza della complessità organizzativa, incentivando il trasferimento di competenze cross-generazionale. L’obiettivo è quello di stimolare la contaminazione del sapere aziendale senza barriere legate all’età.

Altre tipologie di interventi possono riguardare:

  • prevedere una maggiore flessibilità negli orari di lavoro;
  • soluzioni in termini di organizzazione del lavoro coerenti con le peculiarità di tali soggetti; si può far riferimento a:
    • creazione di team di lavoro che vedono la partecipazione ed il coinvolgimento di soggetti appartenenti a generazioni diverse
    • il ricorso, stimolato anche dagli effetti della pandemia, a forme di smart working, cioè modalità flessibile di esecuzione del lavoro allo scopo di incrementare la produttività e agevolare una migliore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro
  • la possibilità per un over 50 che ha avuto modo di lavorare per tanti anni di intraprendere un’attività imprenditoriale in relazione alle scelte di outsourcing dell’azienda;
  • ricorso a piani personalizzati di flexible benefit in grado di favorire nuove possibilità di conciliazione lavoro-famiglia; appare importante prevedere iniziative di welfare rivolte proprio alla popolazione lavorativa over 50;
  • garanzia della salute e sicurezza (forme di assistenza sanitaria integrativa, misure di prevenzione e di tutela);
  • previsione di riconoscimenti (premi, medaglie, ecc,) aziendali basati su criteri di anzianità;
  • coinvolgimento in attività di formazione come docenti nei confronti di colleghi più giovani; gli over 50 potranno trovare nuove fonti di motivazioni se indirizzati verso attività formative destinate a personale più giovane diventando anche un utile strumento di collegamento e di trasmissione di valori aziendali.

Il rischio rispetto all’applicazione di politiche di Age Management è che anche tale applicazione risulti più nominale che reale. Di certo le aziende più attive e sensibili sulle tematiche dell’occupabilità e della motivazione degli over 50 potranno diventare benchmark di riferimento per quelle meno attive.

In conclusione, importante è oggi ricordare che creare valore all’interno delle aziende significa anche convivere con molteplici diversità; ciò considerando che un’azienda è prima di tutto una comunità di persone chiamate a collaborare tra loro in vista di un fine comune.

 

Articolo a cura di Marco Giannini

Profilo Autore

Marco Giannini è Professore di Organizzazione Aziendale presso il Dipartimento di Economia & Management dell’Università di Pisa. Ha partecipato a numerosi progetti di ricerca concernenti innovazioni organizzative, evoluzione dell’organizzazione del lavoro, gestione del personale, sicurezza sul lavoro.

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